
Parte lontano, come un eco, verso le undici del mattino. Inizi a sentire un vuoto, e l’istinto prende il sopravvento. Basterebbe aprire il cassetto, andare alla macchinetta in corridoio, e tutto si placherebbe.
Ma no, io ce la posso fare.
Mi concentro, la pratica aperta sulla scrivania non ha nulla di invitante, si, ce la posso fare.
La controllo, la collego alla pratica virtuale, rilevo i dati che mi servono, scrivo, analizzo, preparo e stampo. L’icona della stampante sembra, invero, un toast fumante con sopra ancora lo scontrino. No, ce la faccio.
Inizio a cantare. Per radio trasmettono tutta la peggior dance anni ottanta che la storia ricordi, e perplimendomi ammetto di conoscere perfettamente ogni testo. Cori inclusi. Decido che è solo un’impressione se ora trasmettono "Appetite" dei Prefab Sprout.
Dietro la pianta, sulla scrivania, vedo la bottiglietta d’acqua: si, lei si! Bloccherà la fame, e tutto, fino all’una, sarà risolto. Svito il tappo, la porto alle labbra e la strizzo, fino all’ultima goccia.
L’occhio scivola testardo verso l’angolo destro del pc, calcolo di quanti minuti sarà avanti, o indietro. Lo stomaco inizia indegnamente a emettere gorgoglii inequivocabili. L’imbarazzo mi costringe a commentare ad alta voce, nel disperato tentativo di coprire il rantolo dello stomaco, il mio ultimo weekend. Lo sguardo dei colleghi, compassionevole, mi spinge a pensare….eh si, è necessario sacrificare una caramella.
Sul vasetto sopra la mensola, c’è un numero rappresentativo di dietorelle, dall’85. Ne apro una, ne lecco lentamente il dorso, e la richiudo con dovizia, rimettendola nel mucchio.
Rispondo alla posta, cercando di digitare con più veemenza i tasti, usando tutte le dita. Un po’ di sano movimento farà bene alla circolazione. E il codice morse della battitura riempirà la mia testa. Oddio, il mal di testa. Quello che perfora le tempie, offusca il video, implora zuccheri. Ma ce la posso fare. Si.
Prendo una pausa, inizio dalle notizie del corriere, disquisisco tra me e me (avere un doppio nome aiuta in questi casi) sul povero cristo che è morto di cancro una settimana dopo aver vinto alla Lotteria, e di quello che s’era mangiato tutti i soldi perchè convinto di morire di cancro, ma mica è più morto. Se non di fame. Sono cose che fan riflettere, queste.
D’improvviso, assieme ad un lacerante pugno allo stomaco, prende vita Lei: La Chiavetta.
(in sottofondo: colonna sonora de "lo squalo")
Si erge, altissima, portando con se le altre, inermi, chiavi dell’ufficio. Lei, rossa e grigia, col potere di due euro e venti dentro di se, che come sirena mi invoca. I miei colleghi prendono gli elastici verdi delle pratiche, resisti, mi dicono, e mi legano alla sedia. Il corpo inizia a tremare, una forza oscura mi attira alla voce suadente della chiavetta, che fa apparire sullo schermo, quale prodigio!, tutto ciò che può offrirmi fuori da quella stanza, alla macchinetta.
Fiesta, voglia latina di pandispagna e rum, con il vile cioccolato a ricoprirla. Kitkat, quattro artigli di biscotto uno in fianco all’altro, uniti e poi spezzati da un toccante e ritmico beat, dividendosi tra loro in fiammelle di cioccolato intorno. Giambonetti, letali crackers a forma di prosciutto, ma finire ingordamente uno dietro l’altro, in un rito isterico che da dipendenza, riconosciuto di diritto dalla legge 104 sulle invalidità permanenti. Highlander, petali gialli di colesterolo puro, inondati di micidiale salsedine, a tagliare le labbra, a bruciare sui tagli, intricandosi sulle mani, ungendole indelebilmente.
Intorno, scene di pianto, implorazioni, colleghi che mostrano la foto di mio figlio e del mio uomo, colleghe ciccione che si denudano la cellulite, e bada ben bada ben…
Non mi avrai, non mi avrai!! Collassando sulla scrivania, do’ uno schiaffo al mazzo di chiavi, e la vile maledizione abbandona la chiavetta, che si accascia, sconfitta, a terra. Applausi, strette di mano, testimonianze di stima.
Torno al lavoro. Manca solo mezzora. Cedo alle droghe pur di resistere, sniffo la colla stick gusto brillantante al limone. Reagisco al tentativo di addentare una foglia della pianta, motivando con la mancanza di mais e aceto balsamico, un must per assaporare un ficus benjamin come si deve. Ciuccio la matita, come fosse liquirizia, e traggo beneficio dal suo dna colmo di sintesi clorofilliana. Dicono faccia bene alle unghie.
Canto "per fare un albero", che partire dal tavolo è troppo lunga. Mi blocco arrivando al frutto. Ripasso la tabellina del sei, del sette e dell’otto. Quella del nove è facile, basta invertire le cifre dopo il percinque. Calcolo la radice quadra del mio stipendio, ma dalla radice non si fa un tavolo, che serve l’albero, e il legno, e il frutto…. e ciucciamo la matita ancora.
Mario si alza, e mette le mani sulle mie spalle: Sono orgoglioso di te, flauta. Sono le tredici in punto. Ora…pappe!!!!
Ce l’ho fatta, sono arrivata al traguardo della fine dello spuntino al colesterolo delle undici.
Ho smesso. (applausi)