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C’è quello spazio fra alti alberi d’un prato, con un’acustica sublime, che io chiamo il posto delle streghe. Suono, e sembra che ci sia pubblico qui, anime sequestrate nella corteccia, fate dispettose nascoste nei cespugli, vite passate e istanti mancati, tutti intorno a me. Provo a sedurli, col Syrinx di Debussy così tremendamente gothic, qui. Ma poi, incespando in quei ultimi passaggi, che come sempre dimentico, me ne vado arrampicando note che un vento caldo di mare mi suggerisce.

Mi chiamano, si inizia. Un borgo di campagna, a due chilometri dal mare, un perimetro di case comunicanti, famiglie allargate e geranei ai balconi, e lì il nostro palco. Anziani con la sedia pieghevole sul terrazzo, politici in gessato impeccabile a fianco al signore del piano terra, col pantalone corto e le ciabatte. Dopo il concerto ci invitano tutti in cantina, e portatevi un maglioncino che li fa freddo, e la mia famiglia musicale preferita attorno, tutti un po’ ubriachi, a discutere di cose serissime, che il giorno dopo avremo dimenticato.

E quando bevi la macchina è di burro, segui la mezzeria con apprensione e passi attraverso le solite strade senza riconoscerle. Passo anche davanti a lì, dove ti ho amato la prima volta.

Forse anche questa mia nuova vita, in fondo, è sempre la stessa, solo che sono un po’ ubriaca e non la riconosco. E ti amerò, ancora una volta.

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Si. Sono io il re del mondo.

Basta saltare sulla sedia gridando "giomp!….ai sei giomp ai sei ouououo..ai sei giomp" e sei subito in sella al pianeta. Che tanto i van halen sono sicuramente scandinavi e la pronuncia non la so. Basta fare un trenino con le poltrone girevoli dell’ufficio, e chiamarle per nome, tutti in un girotondo di amore e amicizia e felicità e cetera. Che non muovo il collo manco fosse incementato sulle spalle a far blocco unico (sarà che m’è sceso il tartaro sulla carotide, vallo a sapé),  tutto per aver dormito ieri pomeriggio con ivano* con testa obliquamente disposta sul poggiabraccia, membra rovesciate a pancia sotto e braccino che penzola triste sul terreno, con primo passaggio indolenzimento, poi colorito blu, poi cancrena. Boccuccia aperta e zeta sibilante che esce, modello baloon, dalla testa bionda arruffata, che non si capisce ndo sta la faccia, manco fossi la barbie contorsionista. Una bella immaginetta per demolire l’immagine sexy dei miei lettori.

(*ivano, il divano)

Eh si. Avevo tutte le mie energie rock (che io sono rock, minkia se sono rock, vacca boia se sono rock!) e il chiodo del liceo, tolta la polvere e qualche tarma, ancora in tinta con la minigonna dell’epoca, con pericolosi automatici che la chiudono, indi respirare con cautela che non c’ho più vent’anni. Ero capace di fumarmi un pacchetto di Malboro cattive anche, bere birra (la weisse del lidl, che la ainechen non è mica rock!) e provare a vincere il torneo di rutto modulato con un’interpretazione delle quattro stagioni ( senza peperoni).

E invece niente. Mi son rassegnata sul divano, ebbra di film altamente positivi come "shakespeare in love", e relativo pianto di commozione. Ma diciamolo, mi son commossa anche durante il documentario su Tortora, col refrain della rubrica di Portobello "dove sei". Minkia, il dove sei.

Ho detto, reagisco. Alzo le sedie della cucina, e giù di mocio. In sottofondo, esecuzione commuovente a cappella di Roxanne, con tono semiubriaco all’abbisogna. Al quindi Roooocccseeeen la mia gatta inizia a lanciarmi a sputo, uno ad uno, i sassolini della sua lettiera. Desisto.

Prendo la bici, con un sole maiale, che io e Cacciari e il De Luca ci mangiam le mani pensando che si poteva stare a far la hola per Vasco, a sta ora. Il nano sborone mi passa sfrecciando, improvvisiamo una sfida stile peppone-doncamillo. Non ci sono chiari i ruoli.

D’improvviso mi scuote la coscienza questo mio non sapere più quale che sia la mia fede politica. Dopo un paio di secondi di smarrimento, mi ricordo che c’è sempre Pannella, che non si sa mai dove cazzo stia, ma c’ha sempre ragione anche se non lo vota mai nessuno. Oh yeah.

In parco il nano trova un altro nano, fanno combutta e mi coinvolgono nell’innovativo gioco del chi ce l’ha. Ribadisco che io ce l’ho, e pure d’oro, ma i bimbi non capiscono. O meglio, mio figlio capisce, e mi batte sulla spalla come un’infermiere del reparto psichiatrico. La madre del nano acquisito attacca bottone, partendo dal che ore saranno, per poi parlarmi della sua crisi matrimoniale. C’ho scritto "parlami dei cazzi tuoi" in fronte? Forse si. Il marito non la bada, non la ascolta mai, ha altri hobbies e non pensa altro che a quelli, non sta mai con lei e i figli e passa più tempo in ufficio e in palestra che altro.

Le dico "su, vedrai che passa, è la crisi dei 45". In realtà dovrei dirle "su, vedrai, s’è fatto solo l’amante".

Torno a casa cantando Help dei Bitols, a tre voci, cercando di sfidare la velocità del suono per farle combaciare, e modestamente ci riesco. Mio figlio mi guarda compatendomi. Che c’ho l’anima rock, e voi non mi capite.

 

heineken jammin festival sospeso..

heineken jammin festival sospeso..

Sto bene, sono tutta intera. Bagnata, bagnatissima.

L’Heineken Jammin’ festival, almeno per oggi e domani, è finito. Una tromba d’aria (insomma, diciamo una tempestata con vento forte e grandine..) ha divelto i tralicci (le torri) che sostenevano l’amplificazione, attorno al palco. Non ha divelto le centinaia di tende di fronte a me, ma i tralicci si.

Io e Katy eravamo fuori, sotto un eroico ombrellino pieghevole azzurro, in attesa di ritirare i pass per entrare. Ringraziando il cielo, Katy non ha il dono della puntualità… e non eravamo dentro.

Finito l’acquazzone, mentre mi avvicinavo alla porta rossa, sono iniziate le sirene. Ambulanze, vigili del fuoco, sembrava New York. Servizio d’ordine ovunque, ma biglietterie funzionanti. Dopo un po’, recupero i pass, e la tizia della biglietteria, una volta capito che sono "la bionda del comune", mi passa la busta, con l’occhio…pietoso. Mi spiega cos’è successo, stanno sfollando, tutti fuori, non si sa se riprenderanno.

Chiude la biglietteria, chiudono i cancelli, tutti fuori.

Avviso gli amici, in giro le strade sono intasate da ore, e adesso è ancora peggio, se possibile. Le ambulanze non passano, le sirene sono l’unica musica, assordante, che si sente, assieme all’elicottero dei vigili del fuoco.

Tutti a casa. Un cordone umano, una folla di metallari, ma soprattutto di ragazzi fradici di pioggia e delusione, tentando di tranquillizzare mamma nonostante le linee a singhiozzo (i tralicci accoglievano a quanto pare i ripetitori di rinforzo installati dalle quattro ditte di telefonia). Ho fatto qualche foto, le pubblicherò domani.

Volete la mia opinione?

Venezia si è ribellata ad un altro pink floyd.

Ne volete un’altra?

Era giusto un po’ di vento. Portatemi le arance.

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La signora qui presente sarà il vostro (semiserio) inviato all’heineken Jammin’ festival. Io e Katy ,mia compagna di avventure, nonchè gnokka riconosciuta dall’Istituto gnokkologico italiano, andremo all’avanscoperta dell’universo rock-metal.

Sempre che ne esca intera.

Chiedete, e vi sarà risposto.

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A me le faccine non piacciono.

Odio quando te le mandano via cellulare, talmente piccole che non capisci se è una linguaccia o il gesto dell’ombrello.

Odio quando mi ritrovo in messenger e debbo decifrare il senso della frase da un rebus, sballando con O che saltellano o punti interrogativi roteanti. Peggio se, non avendo il messenger aggiornato, vedo stringhe. E’ come andare ad una cena di blogger, quando tutti parlano di un blog che non leggi. Frustrante.

Odio quando me lo scrivono sulle mail. Che devi collegarti al web solo per vedere una faccina gialla. I pac.man del futuro, tze.

Oggi poi, dal novello sposo sviluppina, le faccine han scioperato dai commenti. Dicono turni di lavoro da alitalia, solidarietà coi secondini di Corona, o per un’Opa per comprare la Disney. Dicono che vogliono più visibilità, e la miglior cosa è… sparire. Così poi ci mancheranno da morire.

Respect per le faccine.

Peccato che da sempre i blogger provino a sparire per lo stesso motivo, ma non se li fila nessuno uguale.

Per dire.

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Esimio signor Estivo T*.,

mi pregio di inviarLe questa mia per umile colpa di un estremo bisogno di conoscenza.

Un brivido pervade le mie spalle nude, trattenendo l’impeto di accoccolarmi sotto il pullover di cotone bianco che cinge i bordi della mia poltroncina d’ufficio. Ma l’aria, carica di benefica pioggia, è quasi piacevole, non fosse per un sole scherzoso che entra schiaffeggiando i suoi lampi e tuoni, con tanta baldanza.

Da due ore oramai la sento brontolare, come il severo fagotto del nonno del Pierino e il Lupo di Prokovief. Quasi romantico, un vecchio marito un po’ "rustego", come si dice a Venezia, ma affettuoso nelle piccole cose.

Lo so che mi gira intorno, aspettando il motivo buono per sbottare. E per Diana, lo faccia! Non trattenga in se’  quest’ansia, le fa male alla salute. Potrebbe scoppiare, e tempestare. E per il mio buon cuore, e buon bere, la prego, si trattenga, si esprima come sa fare lei, con un leggiadro, breve, intenso bacio alla sua terra, alla sua natura bisognosa di attenzioni, da giorni soffocata dal sole cocente.

In sostanza, se devi piovere, PIOVI! Che son stufa di aspettare "che passi sta burrasca". Azzo.

*Temporale, se non si fosse capito.

blograduno veneto!

blograduno veneto!

I veneti lo fanno meglio.

Spritz, cicchetti, e festa in piscina.

Ignoro organizzatori, partecipanti e quant’altro, ma ricevo volentieri il loro invito, e lo passo a tutti voi, amici cari.

Il loco è Montebelluna, con possibilità di traino o passaggio with me da Mestre, passando per Treviso. La data è il 23 giugno (sabato), dalle 19.30 alle 02.00, quota da versare entro la prossima settimana (dieci euro, giusto l’entrata alla piscina all’aperto..). O ci vado dassssola, o venite con me. Il link è questo.

Secondo me c’è gnokka, ve lo dico, amici.

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Attualmente ho un fucile puntato, se scrivo. Ma ho tre riflessioni da fare.

In 8 giorni, con una cremina della Garnier o cos’altro, vanno via pancetta e fiancotti. C’è una pubblicità che gira. Otto giorni. Otto giorni e sparisce tutto.

Siamo consce che è una straordinaria cazzata, ma tutte, proprio tutte lo imbucheremmo nel carrello. Passeremmo alla cassa, nascondendo la scatolina sotto la scorta di o.b., dentifricio e tortellini grana e pere. E la cassiera n. 5, infierirà, gridando alla collega n. 32, che manca il codice "sulla creeeema scioglipanciaaaa…l’anticelluliiiteeee". E tutti i single bellocci d’Italia, riuniti attorno a noi (nascoste invano dietro al cartello "prossimo cliente" sul nastro trasportatore) ci guarderanno con scherno.
Mai vergogna simile. Già avete subito analoga vergogna dalla farmacista, che gridò al collega in magazzino che ci servivano tre scatole di "… Vagisil creeeeema, più l’Antiemmorroidil Forteee". Taci che quella volta del Piattolax non c’erano altri clienti. 

Ce n’è un’altra che gira: il MaiPiùCoda. Uno shampoo che, dopo una notte di sesso sfacciato, ti lascia la chioma fluente. Certo. MaiPiùCoda, ma dopo una sveltina. Dovrebbero scriverlo, dovrebbero.

E infine, voglio aderire all’iniziativa spontanea della brava Leti: sosteniamo tutti il Comitato Contro le Colombe Single. Anche se il decoupage non è il mio forte.

E come disse Forrest Gump, non ho altro da dire su questa faccenda.

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Vorrei saper scrivere qualcosa che vi faccia male.

Che vi ferisca, che vi umili, che vi tolga ogni briciolo di dignità.

Vorrei togliere il velo ipocrita che contorna la vostra bella vita, togliervi le certezze su cui dormite ogni notte, buttarvi nella fossa di quelli che lottano per sopravvivere. Mettervi li, sulla sedia della cucina, a fissare la fuga delle mattonelle del pavimento, alla ricerca di soluzioni. Farvi sentire come i mortali, che non sanno se domattina avranno ancora un lavoro, se potranno portare i figli al mare, con la paura, costante, soffocante, continua, di scivolare giù senza poterne uscire, con troppo da spendere e nessuna forza più per farcela.

Ma con l’orgoglio, immenso, di non chiedere niente a nessuno.

In mezzo ad una strada, ma a testa alta, cazzo.

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Hai mai pensato che vivi una vita che non è la tua? Questa sensazione di prigionia, forse è per questo che la provi.

Prova a pensarci..qual’è stato il periodo della tua vita più felice? Perchè si, sei stata felice. Pensaci. Non era per un uomo, per un lavoro, per una stagione. Era solo perchè era quel momento, senza un motivo, se non l’incoscenza di volersi sentire liberi. Aprire le braccia, gridare, ridere senza coprirsi con la mano, vedere senza bende sugli occhi, amare senza sapere che tutto finisce.

Quella era si, autentica felicità. Inesperienza, immaturità, incoscenza. Nessun limite, se non il bordo. Nessuna rete sotto, tanto non cado. E la gioia era gioia, e il dolore straziava l’anima. Ci si innamorava dell’amore, totalmente, senza regole, fuori dal mondo intorno. E si odiava, da uccidere.

Che sia quella la vera vita, e non questa nostra recita, dell’essere grandi?