
Mentre gli snocciolo opinioni massacranti intinte di zucchero, Michele ascolta frantumarsi le sue certezze, metà difendendo, metà ammettendo i limiti di questo suo trio. Mi dico, sarebbe meglio che glielo dicessi chiaro e tondo, sembrate suonare tre pezzi diversi contemporaneamente.
Ma stiamo andando a fare una serata, non posso smontarlo così già ora. Che ho messo le scarpe basse.Che ho paura di farmi notare.
E pensare che anni fa me li magnavo tutti.
Arriviamo, sotto quel bellissimo campanile. Michi rabbrividisce nelle sue braghe corte e sandali, io sono intimorita. Che cazzo, lo stato di insicurezza che ho addosso mi è così nuovo, ed incontrollabile. Incontro i compagni di cordata, stringo mani, sorrido, e dopo minuti due iniziano a parlare, il solito gergo.
Il jazzista ha nomi, pezzi, discorsi che mi stroncano. Io che non mi riesce ad essere così. Appena ne conosco uno che "so" annuisco contenta, ma sembrano tutti discorsi da grandi.
A tavola si allargano i discorsi sul teorico, posso infiltrarmi. Butto lì qualche intervento, mentre lo faccio si girano verso di me, in religioso silenzio. Sento il loro giudizio nascere da ogni mia locuzione.
Ognuno dimostra a parole, si crea una sua reputazione, un suo rispetto, già ora. Ti crescono i timori, di salire sul palco con questi che si presentano come mostruosi signori del jazz. E io tento la carta della modestia assoluta, che stona, stona, non sono convincente. Mi riascolto e mi sento presuntuosa.
Ci alziamo tutti, ci portiamo al palco e iniziamo a incastrare cavi e leggii. Nel palco non c’ è spazio per me e michi. Io mi infilo in fianco all’organo, ho l’orgoglio che batte, ma il volume del mic del flauto è basso, troppo basso. Passa un pezzo, ne passano due, io abbozzo giusto qualcosa.
Fanno pezzi che non conosco. Hanno arrangiamenti che sbircio dai leggii, ma non ci son dentro, faccio fatica. Michi, lui s’è rassegnato ancor prima di provare. E’ giù dal palco, guarda, ascolta e impara, dice. Io non posso, mi han chiamata per suonare, a prescindere se ho le palle o meno di mettermi in discussione.
Attaccano un altro pezzo, un blues rovesciato sembra. Mi giro verso il mixer e alzo. Alzo a palla. Ah ecco, eccolo il mio flauto, sopra tutti loro, bene. Non aspetto che mi sia data voce. Rubo le idee, cerco il feeling con almeno uno di loro.
C’è il batterista, che sembra esserci, e ci siamo, ci siamo.Gioco con le poliritmie, e lui apprezza, mi dirà che ho "davvero ritmo", e so che un jazzman si taglierebbe le vene per lungo pur di non fare un complimento. Il bassista ogni tanto mi guarda, non so se perchè mi si vorrebbe fare a fine serata o perchè pensa, orcoboia, è brava sta ragazza. E’ ovviamente la prima ipotesi.
Inizio a capirci. Chiamo Michi, lui di mettersi in gioco non se la sente. Già fare due o tre pezzi per lui è abbastanza…. Mettiamo in piedi qualche standard, e i "grandi" un po’ s’incartano. Che far bene le cose complicate è forse più facile di far bene quelle più scontate e semplici.
Io come brava tennista respingo ogni tipo di tiro, anche rotolando in terra, che sia un pallonetto o una schiacciata. Corro su e giù per tutta l’estensione del campo, e gioco, gioco bene.
Arriva la Garota de Ipanema, richiesta dai cinque che costituiscono il pubblico. Ed è il pane di ogni flautista. Veloce, funky, che ne so, so solo che le dita vanno con meno inibizione della mia testa. Non ho assolutamente idea di ciò che sto suonando, le note escono come suggerite dall’auricolare di Ambra, e ci stanno tutte. Sembra andare in bicicletta dopo mille anni di sedia a rotelle.
Il cuore batte a mille e mille all’ora. La testa mi gira. Suoni che partono dalla stazione dell’anima, scivolano sui binari delle mie vene, ed escono così, come emozioni gridate, a disposizione di chi voglia prenderle con se.
Mentre torniamo a casa, e Michi mi parla di ear-training, accordi e chissà cosa diamine, io mi godo ancora l’ebbrezza di quelle note. E la bellezza di non sapere un cazzo di niente. Ma quel cazzo di niente lo suono molto molto bene… e il resto lo posso sempre imparare, che ho così tanto tempo.
Mi piacerebbe cantare stasera, finchè non ho più voce. Mi piacerebbe suonare quelle note che stasera mi avanzava di dire. E allungare il tempo insieme,che non voglio addormentarmi, voglio continuare a passeggiare con lei fino all’alba, a quest’amante bellissima, che mi ha assassinato e resuscitato mille volte.. Io e questa zoccola, di musica.