l’ira
Ira.
Stomaco che si torce, bile che sale, ostruisce i pensieri, inacidisce la bocca, le parole, i pensieri.
E’ veleno, puro incontrollabile arsenico che come nebbia grigia rende cianotiche le sensazioni.
Accade nella giornata più normale. Non c’è premeditazione, l’ira ti prende, cattura, è una trappola aperta davanti al tuo cammino.
Eccola lì, piazzata come tigre attenta ad aggredirti, attendendo il momento propizio per piantarti le unghie addosso. Attende nella tua auto, mentre attraversi la città, ed ogni curva, ogni auto che incroci e affianchi lei soffia sul tuo collo. Alimenta la musica nella tua radio, ti scarica adrenalina nelle vene. Si accoppia con la caffeina del caffè, al bar. Sa bruciarti le labbra, nascosta nel ripieno innoquo di una briosce troppo calda.
Il suo spettro nascosto nelle mail, nelle brutte notizie, nel non accettare la delusione che forse…quella casella è vuota.
Ti guardi dentro, ti spaventi. L’insoddisfazione ti lacera, come acido distrugge la tua autostima, il controllo. Il tuo controllo.
Distratto lavori, insisti su quella strada che non senti tua, oppresso da quelli intorno, quelli che ti pestano i piedi. Rispetto, ti ripeti, voglio rispetto.
La vedi, mentre sei in coda dal capo. Arriva con un pantalone troppo stretto, la caviglia che balla sicura in tacchi appuntiti, lo sguardo stronzo dietro ai rayban. Nemmeno ti guarda. E tu vorresti fotterla, fotterla, fotterla. Strapparle quel sorriso superiore, farla sentire come lei fa sentire te, sentirla godere mentre le ridi in faccia. E vederla scappar via, poi, raccogliendo i suoi stracci, e scampoli di orgoglio. Quello che lei, con quei tacchi, straccia ogni giorno.
La tigre paziente si liscia il pelo, attende.
Sai innervosirti per una pausa pranzo perduta, tu li, di fronte al pc con un panino stantio, un’unghiata della tigre e via, la camicia non è più candida. E li sale, la rabbia. La reprimi, la soffochi. Asciughi malamente, tamponi la macchia, con mani che tremano. Imprechi, sottovoce, e infine ridacchi, massì.
Esci, sei nel parcheggio. E’ quello del commerciale, sicuro, che aprendo la portiera della sua auto ha graffiato il fianco della tua. L’ira alberga sempre nella carrozzeria dell’auto.
Eccoti. A casa. Il tuo focolare domestico. Sotto la doccia, troppo caldo-troppo freddo. Ti tagli cercando di farti una barba rabbiosa, il sapone brucia, il respiro alto rimbalza nello sterno. Ci provi, a stare calmo.
E ci provi, a prepararti la cena. Che lei non c’è-non c’è più-non c’è mai stata. Colpa tua, colpa sua, colpa di un’altro, di un’altra. Di un destino, del suo essere troppo bella, di esser stato tu troppo idiota, a perderla. L’orgoglio batte ancora cassa, mentre tu ti vuoi dar ragioni, cazzo di ragioni. E certo, bruci tutto. L’olio, la carne, il pane bruciato invade la casa, e la tigre ti assale. Getti tutto, gridi. Lanci tutto in aria, l’ira si impossessa di te, e devi distruggere, distruggere, tutto, ogni cosa. Mobili, bicchieri, libri, telefoni. Cadi, cadi in un vortice, non sai aggrapparti al controllo. Parole come pugnali trafiggono l’orgoglio, devi rompere, rompere qualsiasi cosa. E sai solo tirar fuori il peggio, e ancora di più, che non hai più bestemmie che dissetino la tua rabbia. Fino a che non distruggerai i vetri, i sogni, i ricordi, fino a che….ti autodistruggerai.
E crollerai, li, in terra, abbracciandoti le ginocchia, impaurito da te stesso, i singhiozzi a far sussultare lo stomaco.
Il graffio dell’ira scolpito nell’anima.