nessun titolo

nessun titolo

Ho aperto il blog dell’Accademia.

Qualcuno se ne sarà accorto, o se ne accorgerà presto, perchè mi sto inguaiando col cambio di login.

E’ un po’ da ridere, l’Accademia ha di aristocratico non solo il nome, ma anche i prof, la segretaria, il direttore. Diciamo che sto facendo opera eversiva, a buon pro per gli allievi. Che, come dire, facendo una rapida riflessione, son gli unici dei quali attualmente mi interessi qualcosa.

Ieri riflettevo con gli amici sull’adolescenza, prendendo di mira una collega che con la tragedia greca della figlia 16enne ci sfascia le balle da anni. Saper dire di si, e di no. E continuare a dire di si, o di no, senza ripensamenti di comodo.

Ho pensato alle "mie" ragazze, a quanto sono cresciute. Ho pensato che io, come maestrina di canto non propriamente politically correct, posso da sempre spiare dal loro punto di vista il rapporto coi genitori, ma ringraziando il cielo non ho figlie femmine.

E ho pensato che, una settimana fa, ho fatto tutto un lungo discorso ad un padre che affronta con la figlia un discorso delicato… e son state tutte cazzate. Perchè non l’ha affatto affrontato. Come un flash, m’è  stato chiaro tutto il giochino, al solito, per prendermi per il culo. E’ che io cerco sempre di credere….quando poi, basta far due conti, e sono tutte cazzate. E mi sono girati i coglioni, che rimango un’ingenuona fastidiosa.

E tutto questo mentre manca un mese e Igor parte per il Portogallo.

Cosa c’entra? C’entra, diamine, c’entra!

 

nessun titolo

nessun titolo

 

La rabbia mi brucia la testa.

Ho costretto le mie dita a sopportare d’essere schiacciate dall’arroganza degli altri. Ho vincolato le mie scelte alle esigenze di coloro che avevo di fronte. Un senso di cortesia, di sudditanza, di incredulo servilismo per non creare problemi.

Mi domando se stavolta ce la faccio, a togliermi di dosso la forza di gravità di quelle responsabilità che non ho voluto mai.

Ho girato ore tra gente immersa in un prematuro shopping natalizio, famigliole mal accostate, insofferenti, cariche di scemenze inutili nei carrelli. Ho cercato di rinsavire, di reagire al peso di una bugia, che nemmeno è bugia, è cosa non detta. Sono entrata in cerca di una maschera nuova dentro cui sparire. E incapace, son fuggita in un parcheggio sotterraneo, gli occhi gonfi di lacrime rabbiose, come i bambini a cui negano un gelato.

Ho deciso di riprovarci, sono andata altrove. Ho cercato la via d’uscita all’ansia che mi strozzava, ho cercato un pensiero felice. Che troppe cose, troppe cose mi pugnalano tutte insieme, e non va bene, non va.
Reagisco, trovo altre maschere, qualche mantello a ripararmi, qualche sciarpa a salvare la mia gola dalle parole sbagliate.

Ed è bastato che mi apparisse davanti d’improvviso, sant’uomo, e tornasse utile la totale irresponsabilità di un padre, e la sua incapacità di far fare un compitino di italiano al nano biondo. Quasi vergognato,  "sai non sapevo, te sei più brava…" e mi buca la rabbia lo sguardo azzurro del cucciolo. Il suo abbraccio, con solo sei ore d’anticipo, e poter stare con lui insperatamente, e i pensieri gravitano attorno a lui, nella sana routine che impedisce di pensare.

E forse…. era solo melanconia.

nessun titolo

nessun titolo

Dopo aver sentito "question de fiiling" con Tiziano ferro, è evidente che ormai Mina la dà a tutti (la voce).

Prossimamente canterà anche con me, in una versione de’ "pin floyd" dei Pitura fresca. Ho già contattato il figlio per avere il demo già registrato dalla mamma.

Aggiungo poi, che la versione del negretto romanticone (alias Craig David, che assieme a James Blunt concorre al premio "somiglio a Povia" dell’anno) che ha rubato il riff di "let’s Dance" di Bowie, va eliminato dal pianeta terra con 120 frustate.

E aggiungo pure dell’ultimo video delle rinate Spice Girls. . La babyspice incartapecorita, la MelCiccia con gonnina a tubo per mascherare la pancia (che il mondo ricordi che lei c’ha un figlio con Eddie Murphy, ostia…), la Posh che mostra le tette che non ha mai avuto, la Ginger che mostra le costole per ricordare che non è più grassa (e fa una decisa impressione, all’ora di cena…) e la Melsportiva, che nonostante una voce infelicemente stridula è l’unica a potersi permettere qualche controcanto (si dice sia l’unica intonata). Insomma……. è una metafora eloquente della cena delle medie diec’anni dopo: tutte a dimostrare d’essere diventate donne e sempre magre e belle. In attesa che le rimettano nel sarcofago.

Se la musica è tutta qui, andiamo bene.

freddo becco

freddo becco

Ogni matrimonio funziona, volendo. Ogni storia funziona, basta dargliela e non avere pretese.

Ma quando hai smantellato a fatica i rimasugli dei bei sogni, quando hai sulla schiena ancora i graffi delle storie passate, non ne vuoi più di dolore. Nemmeno una briciola. E appena ricominci, io ti spingo via. E stai lontano, molto lontano. Non ammetto più nulla che ferisca.

I compromessi possono far comodo, ma forse si dovrebbe far sul serio. A quel punto avrei diritto a pretendere. E come sopra, non funzionerebbe più.

E’ il giorno sbagliato per chiedermi perchè sono single. Parliamo del tempo: freddo becco.

 

 

 

 

il duello

il duello

Misero, era misero.
Nessun altro aggettivo, se non spregiativo, insultante, rabbioso.
Disprezzo che pulsava nella mente, mentre da lontano lo sentiva entrare nella stanza.
Nella mente il vuoto. Tutto aveva perso motivo d’interesse, c’era solo un obiettivo, eliminarlo. Per ciò che aveva fatto, detto, scritto, per ciò che rappresentava ai suoi occhi: l’arroganza del superiore.

S’era finto amico, per ferirli meglio: uno ad uno, li aveva sciolti dalle riserve, fino ad aprirgli la giacca ed offrire il petto alle coltellate. Senza sensi di colpa, sostenuto dalla frustrazione di non sentirsi all’altezza, di sentirsi inferiore agli altri piccoli soldatini. Soldatini da calpestare, perchè non obbedivano.

Lei era l’anarchica. Troppo presuntuosa per sopperire a comandi deboli, troppo sicura di se’ per farsi demolire dalle minacce. Nuotava nelle certezze della ragione, la sua coscienza linda e ciò che aveva costruito erano una corazza inscalfibile, una reputazione vergine di ogni colpa, inattaccabile.

Ora basta, si disse. Aprì il cassetto della scrivania, killer freddo e preciso, prese il telecomando e definì la vendetta. Medioevo, disse. L’epoca del sangue.

Salì in sella, nel tintinnio dei pezzi d’armatura.  Abbassò la visiera dell’elmo, pareggiando le redini e controllando di non frenarle in alcun modo. Lasche, le lascia lasche. Non dovrà aver tentazione di fermarsi…perchè di fronte lui la guarda, con la vacua convinzione che si fermerà. Alzò l’asta a fatica, si mise in posizione. Attese con calma il segnale, attorno un rumore ovattato di nulla.

Speroni, poche falcate, e lo sguardo che non si abbassa. Ne’ ora, ne’ mai. Il lungo braccio di legno appuntito coi suoi colori, vibra nella velocità del galoppo, teso, senza indugio. E ferisce. Trema di rimbalzo per il colpo contro il costato del suo nemico. Lo manda a terra. Un tonfo sordo nel terreno, una nuvola di polvere e sangue.

Alla fine del campo, recupera le redini, si ferma, si volta.

– Oh, taci che se n’è andato. Che odio, non lo reggo più. …oh, fla….fla!!

Chiude il cassetto, e prende la cucitrice. Mette punti nell’aria, arma pericolosa solo per qualche foglio bianco.
– L’epoca sbagliata, mannaggia.

come scegliersi un uomo

come scegliersi un uomo

Leggevo la Toby, e m’è venuto da pensare: la scelta di una casa, dice lei, è stata ben più semplice di quella di un uomo.

Eh no, bisogna diventare pragmatiche. Farsi uno schema preciso, con credenziali e optional precisi.

Tipo: quando cercavo una casa, avevo delle caratteristiche precise.
Termoautonomo, due camere più cucina ampia da far da salottino, primo piano, garage, luogo tranquillo e vicino scuola di Gabry. E porta blindata (che Mestre è il Bronx), finestre con vetrocamera. Non assolutamente umida. Costo: max 150mila.

Ecco, bisognerebbe fare uguale: uomo dai 25 ai 40, single o separato, anche con figli, bellissimo e intellettuale, possibilmente musicista, sportivissimo, affettuoso e che veda solocheme. Orfano di mamma (evitiamo la suocera a priori). Economicamente in grado di non farmi pagare in pizzeria.

Poi, a seconda dei casi, si valuta se si può fare a meno di qualche caratteristica: se è calvo, se mammà è ancora viva ma la si può uccidere lentamente col gas, se è stonato o in pizzeria bisogna fare alla romana.

Io ad esempio, ho trovato un’alternativa: la casa l’ho trovata, ma invece che pagarla 150mila, sono in affitto. Idem con l’uomo, non è fisso ma a contratto, parttime.

Basta adattarsi.

nessun titolo

nessun titolo

Ci provo, ad aver fiducia.

Perchè la mia frustrazione mi uccide. Provarci, a tirar su due voti. Passare weekend sopra due pagine, provarle tutte, e trovarmi il lunedì sera, per l’ennesima volta, con un voto nullo. E non capire.
Non capire se è colpa mia, colpa sua, colpa di maestrine egocentriche piene di giustificazioni.

E’ ora che mi sento sola. E’ ora, che tutto il mondo ha altro da fare, e non so risolvere. I discorsi di mio padre, gli enunciati di mio marito, i resoconti della disattenzione scolastica delle maestrine. Ma mai, mai nessun vero consiglio. Io lo seguo, ripeto ogni parola, preparo schemi e schede, ripasso con lui per ore, fino all’entrata in classe. E nulla.
Ora che volevo ricominciare la mia vita, non posso.

L’impotenza di me, madre, che non sa più insegnare, che non sa più risolvere, che non sa più trovare soluzioni, miracoli, aiuti. E tutt’intorno, solo gente che mi ripete, è distratto, in due ore non fa nulla, continui errori, ha la testa altrove. Il mio piccolo genio con la testa altrove.

E mi manca, ah si, oggi mi manca un vero marito. Qualcuno che si prenda carico, che vada avanti lui a guidare questa carovana di cose da insegnargli, che vada lui a combattere contro le scuse delle maestrine …che son sempre troppi in classe, che c’è poco tempo, che Gabry è distratto, che non finisce niente in classe, che tutti gli altri 24 riescono mentre lui no… Lo vorrei, un padre che si sieda in fianco a lui a darmi il cambio, a dirmi…adesso basta pensare a lui, riposati, e placa i tuoi sensi di colpa.

A letto senza cena, sgridate e minacce. E basta cartoni, e basta karate, questa volta ti cambio scuola. E trovarsi a piangere davanti al pc, impotente, senza sapere più cosa fare. Ho fallito, ne convengo. La grande professoressa, eccola lì, sa insegnare giusto quattro vocalizzi. Che sa solo sgridare, minacciare, brava deficiente…lo fai piangere e basta, giusto quella soddisfazione.

Non lo so, non lo so più come aiutarlo. Psicologi e altri idioti stanno a dirmi da anni che "passerà". Io, che alla sua età mangiavo libri e scrivevo racconti sulla carta del pane, io che sono così tanto nelle sue vene, non riesco a svegliarlo.
E penso di cambiargli scuola davvero, non insegnare più e provare a seguirlo dopo la scuola ogni giorno, colmando le mancanze di maestrine in carriera. E provare a fare altri sacrifici, lasciando perdere gli altri progetti.

Da giorni non dormo, forse solo mio padre ha compreso. Sarà perchè lui vede un solo sguardo e comprende, sarà che con gli altri "la butto sempre sul ridere". Sarà che non so più raccontarmi davvero.

Gli ho mandato un messaggio, davvero non riesci a venire al colloquio? E’ importante, ho bisogno del tuo aiuto. sei suo padre, aiutami. Ma lui è a Bucarest, o chissà dove. Cancello il messaggio. Piangerò finchè la solitudine non sarà alleviata dal sonno.

la guerra dei poveri

la guerra dei poveri

Mi viene in mente al liceo. Che gli scioperi li facevo solo al liceo.
Tutti in corteo, inneggiando contro il ministro di turno. Tutti esagitati, col fremito del non-corretto addosso.
Eppure, mi guardo intorno e vedo anche i secchioni stavolta. Tutti zitti, ad un lato del portico, a guardare, a seguire uno slogan sottovoce, è il massimo che possono dare. Ma taci va, almeno ci sono.

Saremmo un esercito, ma la codardia ne frena la maggioranza. Pochi, ma rumorosi.

Fischietti, campanacci, cartelli. Avanzi da centro sociale, ragazze di buona famiglia, cinquantenni con figli, tutti lì, in un clima di isterico entusiasmo. Nell’attesa, un tu cosa fai, dove lavori, che inquadramento, ah si, anch’io. Io ci provo, a buttarla nell’ironico. Nel sarcastico.
Eppure, ognuno è li per se stesso, e mi guardo bene da chi dice cosa.

La guerra dei poveri.

Fa freddo, la nebbia della laguna entra nelle ossa, tossisco e perdo la voce. Quando inizia una parvenza di rissa, sono giusto l’ultima fila a difendere. C’è più polizia di noi manifestanti. E tra loro, precari come noi, non sanno da che parte mettersi.

Dopo l’udienza dal filosofo, delucidazioni e rimandi di colpe, e grandi promesse, il gregge si sparpaglia per le calli. Si arrotolano striscioni, si tolgono i cartelli. Un passetto l’abbiamo fatto, gli abbiamo chiuso un po’ d’uffici… e altre scemenze dette per consolarci.

La gente intorno, qualche sindacalista, ci dice "capisco, come sia difficile…"
Un cazzo, non puoi capire proprio un cazzo.

Saliamo sul primo pullman, a caso, ci fissiamo le scarpe. Finite le parole, esaurita la rabbia, in tasca le nostre speranze stropicciate. Noi, il futuro dell’Italia degli illusi.

nessun titolo

nessun titolo

Scende dalla macchina, un’ondata di gelo mattiniero la investe, stordisce.
Mamma le alluga venti euro, metti che ti serva qualcosa. Mamma che ha gli occhi rossi, il trucco di ieri ancora addosso, la matita nera sbavata, i capelli che implorano cure,e un vecchio pile addosso che la trasforma in qualcosa di insignificante. E lei sente pena.

Ieri sera papà è arrivato tardi a danza. Solo dieci minuti di punte, ma fanno male. Un dolore che sopporti finchè non ti si atrofizzano le gambe, e le muovi come fossi un automa. Tutta un tirare, dalle mollette sui capelli, al body troppo piccolo, a quelle dannnate punte. Le gira la testa.
Papà sarebbe un buon ascolto, ma papà è lontano con la testa. La passa a prendere, ma appena lei inizia a raccontare, lui alza il volume della radio. Ce l’ha con lei, ce l’ha col mondo. Papà sta con un’altra.

Non lo sa se dirglielo a mamma. Sono il mondo dei grandi, nonostante i suoi 17 anni vedano tutto. Il dolore freddo, le curve della statale, casa non arriva mai. Papà manda un messaggio. Giulia sente la rabbia salirle in testa, si volta, guarda fuori. La nebbia s’appiccica sul vetro, il riflesso del nulla a svelare il suo imbarazzo.
Poi lui, lui si ricorda d’un tratto d’essere li con lei: e inizia, inizia la solfa su Marco. Marco che è troppo vecchio, Marco che la abbraccia in pubblico, e lei chi si crede di essere, già donna forse?.. E Giulia scoppia.

Papà perchè non parliamo di te. Papà che non ci sei mai, papà che mamma piange ogni sera che non vieni, papà che ti ho visto che fai lo scemo con le altre, papà che non pensi a noi e non ci rispetti, papà sei un bastardo.
Le parole sono ancora nell’aria dell’abitacolo, un semaforo rosso lascia il tempo per uno schiaffo. Forte, bollente, dilania l’orgoglio, la fiducia. Lui che la chiamava Giulietta. Lui che con uno schiaffo, si dichiara colpevole.

Rinchiusa in camera, l’ipod nelle orecchie, odia il mondo. E quella famiglia, che è poco famiglia. E quelle punte, che dieci minuti sopporti, poi inizi a impazzire.            

Scende dalla macchina, un’ondata di gelo mattiniero la investe, stordisce.
Mamma fa manovra, e riparte. Giulia entra in classe, come ogni giorno. Incapace di dire la sua, impotente per poterla sviare, quella sua vita.