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Ho bisogno di ferie.

Ho bisogno ESTREMO di un lungo, piacevole, durevole, evasivo periodo di ferie.

Dopo aver stampato una dispensa di tecnica vocale per Laura, l’ho rilegata, e stavo per applicare il timbro tondo dell’ufficio tra una pagina e l’altra.

Ho bisogno di ferie. Assolutamente.

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Questioni di genarchia. Schiacciata dal tacco delle prevaricazioni, dove tu sei un niente, una pedina da usare a piacimento, spostare, schiacciare, umiliare. Chi fa sbaglia, chi non fa non sbaglia mai, sebbene nel caso, l’errore è solo una scemenza gerarchica che ha motivo d’essere solo per le guerre di supremazia del "potere", tra barchette della flotta (insignificante flotta in mezzo al mare).

Ho risolto un problema, mi ripeto, debbo esserne soddisfatta a prescindere. Certo, dovevo esser più furba, agire col benestare della gerarchia, che se ne sarebbe presa oneri e meriti. Meriti, direi. In barba allo spirito di collaborazione, ma mi ripeto, non è il mio mestiere, non è il mio modo di pensare e agire

In un nano secondo, nella mia testa passa un treno di decisioni fulminee: chiudo il pc e adesso cazzeggio. Chiedo il part-time. Chiedo la mobilità. Me ne vado. Me ne vado. Me ne vado, che nessuno è indispensabile. Me ne vado, e tanti saluti. Non è questo il mio mestiere.

E’ iniziato nel peggior dei modi, questo anno malefico. Con un sesso selvaggio con pelle che nemmeno ricordo, e tortellini freschi e fuochi d’artificio in strada. E giù, a rotolare in un next-day negativo, sfortunato, gli incubi, le grida soffocate in gola, la rabbia inarrestabile.  Ma tengo botta, in modo egregio, con lo stoico sorriso.

Me lo ripeto, non è il mio lavoro. Ripenso ai miei progetti, ai miei investimenti mentali, mi ripeto l’obiettivo di tutto ciò, inspiro ed espiro lenta.

E vado ad insegnare. E a provare. E a studiare il Barbiere di Siviglia, di nuovo in orchestra (dopo… quanti anni?).

 

E’ San Valentino. Non come l’anno scorso, ma è san Valentino. E io sono innamoratissima, di me.

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Mi allontano correndo. Mi nascondo, mi difendo.

Ho percorso qualche chilometro, non ho ascoltato chi mi chiamava. Ma sentivo chi mi chiamava.

Mi son fermata dietro a un albero, col fiatone. Mi sono seduta a terra, abbracciando le ginocchia, infreddolita. Aspettavo, un’idea, un motivo, la forza di riprendere a correre via. Perchè mi ha fatto cadere di nuovo, e mi brucia un sacco. Avrei potuto lasciar perdere, ma non ne potevo più.

Perchè ero proprio convinta, una volta partita. Le ragioni della rabbia non hanno mai tanta forza. Mi son voltata piano, non ho visto nessuno. L’ho fatto ancora,  appena ho sentito di nuovo chiamarmi, mi son sporta troppo dal mio nascondiglio… mi ha vista.

Volevo mi vedesse. Volevo mi chiamasse. Volevo accorresse qui, e trovandomi mi avrebbe convinta a tornare indietro. Avrei voluto mi parlasse piano, con calma, trovando un compromesso, un accordo.

Ma quel gioco lo conoscevo. E non volevo più giocare, ne’ tornare indietro, ancora una volta. Adesso sto qui, ad aspettare che le voci si perdano, per poi, se avrò coraggio, giocare da sola, fino a che farà buio.

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Ci son cose inspiegabili.

Già il fatto che mi debba mettere a studiare un repertorio fusion in dieci giorni. A me che la fusion proprio non va giù.

Ma ancor più inspiegabili.

Tipo questa: il mio ex marito che mi passa tutta la discografia di Pat Metheny e quant’altro, dal suo pc al mio Ipod, sotto casa, computer appoggiato al sedile dell’auto.

Noi che non ci si parla da mesi se non via avvocati.

E’ prossima la fine del mondo, vi ho avvisato.

 

 

Domenica di pensieri sparsi

Domenica di pensieri sparsi

Mi accorgo con sconcerto che mio marito assomiglia in modo disdicevole a Scamarcio. A me Scamarcio non piace. Oddio…. a guardarlo bene però… mah.

In base a nuovi dati percentuali, noto che gli uomini che passano nella mia vita hanno spesso avuto donne molto diverse da me. 
Ciò merita una riflessione. Probabilmente rappresento un fenomeno di rottura. Un momento di trasgressione, di ribellione, di evasione.
La ex di mio marito, una volta vistasi scippare l’uomo, s’era voluta trasformare in una donna esuberante, vistosamente sexy, a suo modo trasgressiva e provocatrice. E bionda, ecco. Per riavere Scamarcio.

Il ricordo mi torna fuori dopo aver notato che in un altro caso una controparte mi è totalmente dissimile. Buona e brava, film preferito Anna dei miracoli e Marcellino pane e vino, letture… libro Cuore. Uno choc, è una guerra impari, non posso competere. La tigre e il canarino.

In altri casi, la brava fidanzatina, la moglie sottomessa, la donnina di casa fedele ed accondiscendente.

La mia riflessione prosegue: per stessa loro ammissione, non darei l’impressione della cattiva ragazza. Anzi, il fuoco dentro, il gran cuore, la sofferenza, la donna con la D maiuscola, definizione che mi fa sorridere, e spaventa al tempo stesso. Sono dunque una donna forte, indipendente, intelligente, e tante altre belle cose. Me ne han dette tante, in questi otto anni post-Scamarcio.

Ma in sostanza, indubbio, son belle parole a mascherare il vero fascino che a quanto pare posseggo: la trasgressione.

 "..tu sei peggio di un amore, sei una malattia…. inguaribile". Un virus, la fisicità, probabilmente l’attrazione di pelle, un legame che si identifica non in caldi abbracci ma in torbidi pomeriggi di passione. Nulla di legato a quel secolare fascino femminile, materno, dolce ed indifeso.
Nemmeno essere una madre (apprensiva e morbosamente affettuosa come so di essere) riesce a esprimere un mio lato "buono".

Il fatto di costituire una "tentazione" mi urta. Ho la seria impressione di dover spiegar molte cose a molte persone. Ma anche no. Ho sposato Scamarcio, ho amato Doc House, e sono Kylie Minogue in Two Hearts in mezzo al coro dell’Antoniano.

Metto una gonna cortissima e vado a provare. Ostia.

 

 

ps. Che poi, è tutto fumo e poco arrosto. Mannaggia.

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– Ecco, dopo un botto è l’ora di aria nuova, fla.

Fisso la collega, da dietro ai miei occhialetti da contabile, col timore di sentirla proseguire il discorso. La imploro, con lo sguardo, di non proseguire il discorso. Te prego fèrmate, non proseguire il disc…

Si insomma, la tua vita è piatta, esci, vai per locali, vedi gente, cambia stile.

Il mio unico neurone scende dalle mie orecchie, si siede sulla tastiera del pc e, grattandosi la testa, mi chiede cosa cazzo racconto in giro, per dare un’opinione sballata della mia vita privata.

– Perdoname, ma sono la flauta, io. Esco, vado per locali e vedo gente da 34 anni. E il mio stile, insomma, non è male. Io mi piaccio. Ostia se mi piaccio. Oddio… ti sto prendendo sul serio…

Ma non so…. dovresti dare un’immagine diversa. Te devi trovarti una relazione stabile, appagante, basta folleggiare…

-… ma se mi dici di andar per locali, beh….lì si folleggia….

Fla, Zio Barilla, capiscimi. Devi dare l’impressione di essere disponibile.

Il mio neurone fà cenni eloquenti e si sniffa la colla in cerca di evasione.

– Cioè, te dici che se mi dimostro più "disponibile" poi mi troverò una relazione stabile? …ma dove ho detto che voglio una relazione stabile? Ho restituito due mesi fa il solitario, per dire…

Fla, tu DEVI mettere la testa a posto. Assolutamente. Quindi, smetti di tirartela e calala, ogni tanto. Così gli uomini sapranno che non sei una tigre che li sbrana, ma un tenero cerbiatto da proteggere.

E se ne và. Rubo la colla al neurone. Probabilmente Marghera fà buca, e tutti i fuori di testa scivolano qui dentro. Esco dall’ufficio e incontro il Collega Giovane e Carino. 

– oh, secondo te sono un cerbiatto indifeso?

– eh? te?? assolutamente no tesoro.

-….trombiamo?..

E’ scappato. Spaventato. Tornando alla mia scrivania pesto qualcosa… ostia cos’è? ….ah…il neurone.  Aspetta che scrivo un post…..

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*

Ho visto cose che voi umani….

 

Bambini di quattro anni vestiti da spiderman, con inquietanti pettorali di gommapiuma .

Damine color confetto, truccate da trans, antipatiche e odiose come solo le bambine di nove anni sanno essere.

Assortimento di cowboy con identico costume, che all’Auchan quelli sono, e le nonne che cuciono un originale costume di carnevale sono estinte dal Secondo Giurassico.

Pallottole di pelo colorato, indecifrabile, con faccini di neonato che spuntano con sguardo post-LSD, incastrati in passeggini che non fanno per niente pandant.

Mamme vestite da streghe. Anzi, mamme streghe vestite (come non bastasse) da streghe.

Papà disperati. In mezzo a nuvole coriandolacee e ricoperti di fili gommosi fosforescenti, cercando intorno un complice alla fuga, muovendo il labiale, chiedendo A I U T O. Loro volevano solo trombare, quella sera. E invece prima son arrivati i figli, i pannolini, no stasera ho mal di testa, e adesso l’apocalisse: il carnevale in piazza. Tutto per una trombata. Ma me lo taglio, io, me lo taglio.

Le nonne. Le nonne che trascinano i bambini in questi vortici di caos, per far vedere alla vicina del piano di sopra "quanto è bello vestito da pulcino il mio nipotino" (di quindici anni).

Le squadre di ragazzetti. Vestiti da punk, coi capelli gialli e chiazze di schiuma in tutto il corpo. E la giacchetta jeans con le scritte, fatte con l’uniposca venti minuti prima, questi ignavi, non possono nemmeno capire cos’era essere un paninaro autentico.

Le famiglie vestite da pagliaccio. E non commento oltre.

Un unico comune denominatore: tristezza. Tutti con un muso lungo, ma lungo, a comprare un sacchetto di coriandoli a venti euro, una bomboletta spray di stelle filanti a centoquindici, un palloncino a forma di Burt Simpson con regolare fideiussione e rate fino al duemilaventiquattro.

Io e il nano percorriamo, quasi indenni, la bolgia. Ci infiliamo in un bar, tramezzino e spritz. In un angolo, una famiglia. Sfinita. Distrutta. I tre figli, una Winx* e due gemelli  cowboy, han finito le stelle filanti dello spray, e si menano direttamente con le bombolette in testa. I genitori sono incapaci di reagire, sguardo vacuo, nemmeno un tentativo di sedare la rissa.

Abbraccio mio figlio, con trasporto. Torniamo all’agenzia viaggi da dove eravamo appena usciti. Abbiamo deciso, tour archeologico e crociera sul Nilo. Per il villaggio vacanze con tante tante famiglie e tanti tanti bambini e tanta tanta animazione, non siamo ancora pronti. Non ce la possiamo fare.

 

*eppure anche nelle winx c’è una flauta….

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Stamane telefono e gatto, in cerchio, a chiedersi cosa diamine facevo alzata alle cinque del mattino.

Gatto infastidito dal non avere il letto caldo su cui appallottolarsi, telefono in crisi di inservibilità. "Crollo degli sms, e ora nemmeno per la sveglia le servo!" (Giuro, testuali parole).

Con la mia indomita consapevolezza d’esser nel giusto, mi sento dire "ah no è colpa tua che non mi vuoi", ed ho un attacco convulsivo notando che anche il mio gatto pensa uguale.

Indi: parlo con telefono, sono in telepatia col gatto. E dopo l’ultimo post contro la psicoterapia non posso nemmeno cercarmene uno bravo.

Ma soprattutto: è evidente che quando sono "felicemente impegnata" (a settimane alterne) esco a cena con ex, colleghi o con improvvisi estimatori, e con grazia mi sento di declinare le avances propostemi.
Nelle settimane alterne, in cui il "felicemente" è sostituito da giramenti ovarici, non c’è trippa per gatti (ma nemmeno croccantini primo prezzo da discount).

Ecco. Io sarei infedele. Giuro tesoro, ti tradirei con chiunque. Avendone.

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Grida d’aiuto. Accorri.

Qualcuno cerca il senso del cerchio, qualcuno cerca di spezzarlo, rompere con l’ascia la sfera che rotola, e travolge le proprie cose.

Liberarsi dal mantello di solitudine, aprire il petto alle frecce. Picchiate, picchiate, non voglio più nascondermi, difendermi, se dovete uccidere uccidete.

Fuoco che consuma, lieve come un pugnale di fiele premuto con dolcezza, centimetro dopo centimetro a ucciderne le forze. Pian piano cade la mia cenere, sparisco, volo via, mi disperdo nel niente.

Legatemi all’albero maestro miei prodi, impeditemi di cedere in tentazioni. Scacciate il demone, uccidetelo, e fatemene bere il sangue, che io non possa più volerne un sorso.

Liberatemi. Porgetemi il braccio, che annego nel mio destino. Tiratemene fuori, asciugate i miei capelli, ridatemi un amore puro come le illusioni, aquilone per i miei sogni, tenaglia per le catene del passato, gioia di sorrisi che ho scordato.

Che altri rimangano, io me ne vado. Mi appendo ad una chiave di violino, che vola via, in un paesaggio di Magritte. E sparisco, nel cielo pastello, ho provato finchè ho potuto mio signore. Ho gettato il mio tempo nel mare, e non mi ritrovo più. Datemi pace, mio signore, che non amo più, e sono angosciata, che forse non ho amato mai. E’ solo vuoto, inutile e grigiastro. E pigrizia, e comodo, e compagnia.

E nel cielo, dondolando l’anima in una ninna nanna per occhi stanchi, sparirò.

 

Oggi ho messo un maglione caldo, a coccolarmi.

Oggi ho messo un maglione caldo, a coccolarmi.

Bastano i quattro giri di chiave della vicina di sotto a svegliarmi. O la ventola del frigorifero, dalla cucina. O un motorino che passa. O Gabry che si rigira.

Bugie, bugie, bugie, mi copro la testa col cuscino per non sentirmi pensare. Per evitare alla mia testa di implodere, per la troppa rabbia, quella che tutto il giorno soffoco. E tento di non pensare, di cancellare come al solito ed andare avanti. Cancello, chiudo, e proseguo.

Faccio un breve calcolo, siamo ad una media di quattro ore di sonno a notte. Ho finito il libro di Mauro Corona, sono a metà di quello di Casson. Già, la sua inchiesta sulle morti al Petrolchimico concilia un cazzo il sonno. Ma debbo interrompere i pensieri.

Programmo le mie vacanze egizie, preparo gli arrangiamenti per scuola, e la scaletta per il trio. Alle quattro del mattino. Provo ad iniettarmi musica prolacrime, per sfogarmi, macchè, le ho finite. Prenderei un’ascia per tirar giù quadri e pareti, così, per allargare orizzonti. E allora mi rimetto, matita alla mano e flauto dolce, alle quattro e mezza ormai, a trovar nuovi accordi, nuovi modi, nuove idee.

E’ come questa storia d’amore: la riarrangi, la trasformi in tempo dispari, la incastri con qual’altro pezzo. Ci inserisci citazioni, o un ritmo diverso, aggiungi e togli strumenti, voci, parole.

Ma c’è sempre qualcuno che non va a tempo.

Oggi ho messo un maglione caldo, a coccolarmi.