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le aste….

le aste….

E’ il mio pensiero fisso. Lo sto che sto scartavetrando i maroni a tutti. Ma, vista la possibilità di poter cambiare finestra quando vi pare, non siete obbligati. (ma tanto, vi vedo, sa?).

Non se ne viene fuori. La maestra di matematica (e io oooodio la matematica..) ieri mi ha detto serafica: "….miglioramenti? ma proprio zero….". C’è da attaccarsi con la fune al primo ponte che trovo.

"L’apprendimento c’è, sa, ma è proprio nella manualità…insomma…scrive da cani…butta là… sa cosa…"

"Cosa?"

"…dovrebbe ricominciare dalle aste….."

Ma B.Z.C.N.S.A.*, ma se siete voialtri che avete deciso per fare sti programmi? Ed eliminare dalla Santa Prima Elementare le care aste che hanno insegnato a tutti noi bimbi a scrivere?? E all’asilo, era necessario insegnare il PUNTINISMO e lasciar passare quando usciva dai margini colorando?

"Sa, è un artista, non sente la necessità di rientrare negli schemi". E bravi. Bello. Massi, anarchia, libertà, fantasia… pazienza se poi non sanno studiare e mettere ordine nella testa. E nei quaderni. E quando arriva il momento di entrare nel mondo quadro, non sanno sopravvivere, con la testa per aria. E via, giù di frustrazioni ed inadeguatezza. Massi, non sgridiamoli mai. Non usiamo mai il frustino, quando il cavallo sgroppa, proviamo coi metodi dolci…eccerto.

E adesso questa mi guarda, e mi dice "deve fare quegli esercizi, sa, seguire con il segno il quadratino, iniziare da zero, prendere manualità con la matita, riordinare la mente…". Azzo, lo so, me ne rendo conto.

Ma, diamine, non ce la faccio. Sono confusa. E stanca, stanchissima. E devo tener duro, non devo dargliela vinta, e insistere, insistere per "raddrizzarlo", o più umanamente…inquadrarlo. Imparare che la fantasia è meravigliosa, ed essere un po’ svampiti è una incantevole fuga dal mondo, che però va affrontato, in assoluto, con chiarezza, concentrazione, quadratura. Legge di sopravvivenza, c’è un tempo per sognare, e un tempo per concentrarsi. Che il tempo passa, e anche gli altri passano, ti passan sopra.

Ci sono momenti in cui farei qualsiasi cosa per avere un papà vicino, che mi aiuti. Che mi supporti.

Ci son momenti che vorrei saper accettare quei compromessi, pur di averlo, ed esser meno testarda. E sapere davvero, dove cazzo sta il giusto e lo sbagliato.

E il Gabry invece continua a sorridere…..

 

 

*Brutta Zoccola Che Non Sei Altro, licenza un po’etica.

di corsa.

di corsa.

Venerdì pomeriggio in tv c’era un Anna Frank in bianco e nero. Con, come solo gli americani possono, un lieto fine. L’ho guardato, sprofondata sul divano cercando invano di riposarmi dall’ennesima settimana di fuoco. Poi c’era anche un altro documentario sul campo di concentramento per ricchi (li hanno ammazzati tutti anche lì), Terezin, dove andavano a finire gli artisti. E sentire anziani musicisti parlare di come suonavano ciò che avevano a memoria, per ore, un repertorio…in concerti, in opere…in orchestra…con un coro che ogni settimana "cambiava" elementi, riuscendo a tenere comunque ogni settimana una recita del Requiem di Verdi. Come se la musica possa superare l’orrore.

E Gabry, tra un disegno e l’altro, guardava con me. Finchè mi ha chiesto.

Spiegare il nazismo ad un bimbo di sei anni. Senza farla troppo lunga, senza spaventarlo, senza far troppo la morale. Senza menarla con l’uomo cattivo, senza descrivere mucchi di cadaveri nudi ammassati qua e là. Senza impaurirlo, ma facendogli percepire il gelo che ho sentito visitando uno di quei "posti". Voglio sappia dove arriva l’odio, il disprezzo, la presunzione. E, giusto giusto, che sappia cos’è successo, visto che a scuola lo studierà forse forse in quinta liceo, veloci veloci, giusto per finire il programma in tempo.

Un po’ con le leggi che il Berlusca sta approvando in sti giorni….buttate là…come non significassero nulla…di corsa, per "finire il programma"….

 


 

qualcuno mi spiega come mai ruini sta zitto zitto? mi legittimano la pistola e lui non proferisce verbo?

no dico. ditemi il trucco.

pallida

pallida

Sono così pallida stasera. Dormo male, fa freddo, ho ancora sto mal di gola, la testa otturata dalla stanchezza e dai pensieri.

Sono così pallida stasera. Vorrei credere che andrà tutto bene, che posso star serena, che posso chietare le ansie.

Sono così pallida stasera. Arrivo in palestra e ti vedo nel tuo kimono bianco, con la cinta quasi sulle ginocchia, spettinatuccio e con le gote rosse rosse (sembri un umbriacone della valsugana…). Il Maestro mi chiama alla fine della tua lezione, sa mamma è distratto (odio, odio, odio quando sti insegnanti mi chiamano "mamma", che diamine) (secondo me ci trovan gusto a etichettarti così) (come fossi un ruolo, mica una persona) (e oggi poi, mi sento tremendamente inaccettabile come mamma….), ha la testa sempre altrove, eppoi è così chiacchierone. (diamine, ce ne son di peggio) io a Gabry tengo molto, oggi gli ho parlato, chissà che pian piano superi questo momento di empasse. Sa, è ancora piccino (lo so, lo so, siete voi a non ricordarvelo) ma così adulto in tante cose…. (ecco, questo si che è un commento che odio. come a sottolineare che "visto quello che ha passato, blablabla"…ma fottetevi tutti….).

 

Sono così pallida stasera. Vorrei tornare a casa per abbracciarti e coccolarti tutta la sera, e invece ogni volta devo sgridarti, farti predicozzi amari ed inutili. E mi sento incredibilmente una pessima madre.

Gabry….

si mamy?……che pallida che sei. Stai bene? Dai che stasera preparo la cena io. Siediti e stai buona che faccio io.

Gabry, ascolta, il Maestro mi ha detto…..

tieni le ciabatte mamma. domani è l’ultimo giorno? e non insegni poi? evviva! così stiamo insieme!! tre giorni (ditini della mano che si aprono) e facciamo tante cose, e mi racconti la fiaba?….

Si, okay, Gabry….ascolta….

-….e facciamo un bel disegno insieme….e una torta…e guardiamo un bel film….e mi aiuti a fare i compiti….

cico, ascoltami…

– così leggiamo insieme, e devo fare un disegno, sai che bello, e non ti faccio arrabbiare….così giochiamo insieme….io mica mi diverto "giu"….e….

– …..eh…Gabry…

-….si mamy?

 

-…………………………………………….niente.

   





nessun titolo

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Arrivi in un ospedale. Io che purtroppo son avezza agli ospedali.

Porti i tuoi vecchi a fare una visita. Anzi, è mia madre (mamma mi riesce poco e male) a dover controllare ste ginocchia. Questo è un luminare, diamine, il tipico che da del lei ai familiari, e del tu al paziente, trattandolo come fosse un deficiente. Se mia madre non avesse una paura blu (e un dolore cane) lo apostroferebbe col suo modo austroungarico. Ma tanto non sente nulla.

Guardo i miei vecchi. E mi ritrovo a fargli da babysitter. Da "interprete", volendo dirla meglio, da "assistente". La pudicizia di mia madre, i discorsi che sviano di mio padre, questo gran magnate dell’ortopedia che mi parla, come fossi io a decidere.

Li vedo lì, l’azzurro degli occhi di mio padre, ancora incredibilmente in corsa. Quelli scuri di mia madre, ancora severi e con una luce perfida, sospettosa. E si perdono, in un bicchier d’acqua, cozzando con la mia innata e vitale organizzazione precisa degli "eventi".

Io a fare due battute a lei, distesa sul lettino, con solo la gonna alzata un poco. Che una contessa non si sveste. Il luminare strazia il suo selfcontrol impiantandole i pollici sul ginocchio, e decide per una infiltrazione, "intanto, per tirare un po’ avanti". Perchè tra il suo peso, non incredibile ma eccessivo per una diabetica con le ginocchia in pezzi, va sistemato. E mi guarda, questo sapientone. Come se io potessi controllarla.

Già. Io che lavoravo in figurella. Io che potrei, ma sto lontana. Eppoi, eppoi ho più confidenza con la postina che con mia madre. Io che le parlo, facendo una paradossale tirata d’orecchi ad una contessa settantenne, che diventa una bambina. E io che cerco di capire perchè diamine mi sento estranea a sta cosa.

Li porto a casa. Insistono per rimborsarmi della benzina. Mi consolo, non sono la sola ad aver una certa confusione col termine "figlia". Mi chiedo se mio fratello, che vive ancora con loro, li avrebbe accettati; forse funziona così. Non so.

Penso spesso che vorrei portare i miei vecchi qui o là. Vorrei che mi conoscessero, cavolo. Mia madre non mi ha mai sentita cantare. Ne’ suonare jazz. Ne’ tante altre cose. Siamo sconosciuti imparentati. Forse è da qui che ci si sente soli tutta la vita.

 

lo sciroppo

lo sciroppo

– buongiorno

– ah, buongiorno signora.

– vorrei uno sciroppo.

– si. di che tipo?

– …..aehm, per la tosse.

– si, certo. ma il tipo?

-….tipo? ho la tosse. da giorni. vorrei uno sciroppo.

– si capisco. ma vede, ce ne sono diversi tipi: sedativo, fluidificante, espettorante, antibiotico, cortisonico, sintomatico,  per il catarro intenso, per infiammazione alle alte vie respirazione, bronchiale, polmonare, extraforte, per la tosse nervosa con un leggero normalizzativo d’umore,  antispastico, per la notte, per bimbi, per anziani, per diabetici, per donne incinte, per fumatori…..lei fuma?

– eh?

– facciamo così. faccia un colpo di tosse. in base a quello si capisce.

– e taci che non ho chiesto un preservativo.

– ….prego?

– …nel senso….chissà come mi esponeva i vari tipi ….e in base a cosa decideva…

– ….prego???

– no, ehm. Sedativo. Molto sedativo. Così mi passano anche altre voglie.

– è sicura?

– no. ma il bromuro non ce l’ha….quindi, si. massi. sicuramente si.

ecco a lei. sempre simpatica, anche al mattino presto. (segue risata sincera)

– eh già, lo diceva anche il mio analista, prima di suicidarsi.

 

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Non c’erano mai tanti bambini con cui giocare. E allora lasciavo papà e Franz a lavorare in casa, quel piccolo orgoglio dei risparmi di un veneziano che adora la montagna, a far malte, impianti elettrici, e chissà cos’altro…io ero troppo piccola. E quando non ero piccola, dovevo salvare le mani per suonare. Eppure li avrei aiutati così bene. Sarei stata anche più brava di Franz, e meno pigra.

E andavo su per il sentiero dietro casa. In piena estate, con tutti quei fiori, con i grilli, le farfalle. C’era un profumo intenso, un silenzio, il deserto intorno, e il sole a picco. E io bambina, sempre da sola, che per dieci mesi l’anno vivevo nel cemento, le chiamavo "mie", quelle montagne.

Salivo su, fino a una casetta inondata da geranei colorati, tutto in un ordine svizzero, il legno intagliato dei parapetti, le tendine tirolesi. Li dentro ci stava la Signora Vittoria.

Era una donnina diversa dai montanari. Era bella, anche se già di mezza età, senza accento, senza intercalare, una nobile, un’intellettuale. Nella sua cucina c’era una stufa a legna, un tavolo, un cucu’ che alle sei regalava un teatrino di marionette che giravano, suonavano, un gioco d’altri tempi. E la donnina che andava su e giù sull’altalena della molla.

Andavo sempre dalla signora Vittoria, a prendere le caramelle. Ma non mi fregava una cippa delle caramelle. Mi piaceva stare lì, a guardarla mentre sfaccendava, rimpinzava la stufa a legna, cucinava la polenta, preparava con attenzione la tavola, la tovaglia a scacchi bianchi e rossi, due piatti, due bicchieri, le posate, i tovaglioli. E la bottiglia di rosso, che un bicchiere fa sempre bene.

Non era sposata. Viveva con suo fratello, falegname, uomo silenzioso, e buono. Lo incontro ancora, lui. Vive ancora lassù, ormai solo, avrà duemila anni credo…e mi saluta ancora. Anche se non ricorda chi sono, ne sono certa.

Mi sedevo sulla panca e le raccontavo…chissà cosa…la mia vita "cittadina", tanto lontana da quei suoi ritmi lenti; la scuola, la musica, e la solitudine. A casa nessuno mi badava, mi annoiavo. Avevo sei, otto, diec’anni, dodici. Passavo due mesi all’anno lì, e il mio amato papà usciva a passeggiare così poco con me. Avevo ettolitri di fantasia, ma alla fine si finiscono i giochi immaginari. Anche se, si, amavo quei prati, quei boschi, quelle montagne.

Era una vera signora. Mi guardava e consigliava con quell’intonazione serena, buona, confortante. Una duchessa tra gli alberi intorno. Una regina, tra i rudi montanari. Una letterata, in mezzo a poveri diavoli.

Devo averglielo chiesto, un giorno, perchè non era sposata. Per me bambina, era un’assurdità, due fratelli che vivevano insieme, senza altri legami. Non ricordo cosa mi avesse risposto.

Forse ha avuto un amore perduto, e lei, bella e colta, ha deciso di rimanere a farsi compagnia, con quel fratello burbero che vedeva solo al tramonto. Chissà se sorrideva, quando quella bimba bionda impertinente le diceva che si sentiva sola. Lei, che la solitudine la viveva, ma era ormai dolce compagna.

 

Ieri sera preparavo la tavola, due piatti, due bicchieri, le posate, i tovaglioli, e il vino, che un bicchiere di rosso fa bene, e l’ho rivista come un flash, nei miei stessi gesti. Nei miei stessi gesti. Nei miei stessi gesti.

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Vorrei esistesse un manuale della brava mamma. Un supporto online dove cercare di risolvere i mille dubbi. Perchè coi figli non c’è la freccetta indietro dell’undo, non puoi "provare" e semmai "annullare". E ogni programma è diverso, non puoi nemmeno chiedere ad un amico come ha risolto il bug. Non posso farmi nemmeno uno scandisk quando vedo che sbarello.

Ieri sera ho parcheggiato la macchina sotto casa, ho spento il motore e ho ascoltato il silenzio. Mi son fermata un istante. Quella solita sensazione d’essere una pedina in sto ingranaggio infernale, niente di più, solo una rotella che deve girare sempre, che non deve fermarsi, senza nemmeno saper bene  perchè e percosa. C’era una luna piena stupenda ieri sera, l’avete vista?

Mi ha preso il solito morso di solitudine, quel dannato senso di "non gli frega una cippa a nessuno di me", che prende, l’ho scoperto da ricerche di mercato, il 90% delle donne single.

Il mio nipotino (ma poi, da divorziata sarà ancora mio nipote?) batte sulla finestra, con l’ingenuità dei cuccioli…mi chiama con un sorriso da risvegliare il sole. E Gabry, con la sua bella giacca rossa da moto, già pronto per venir di sopra.

Mi abbraccia, forte. E’ tutto il giorno che aspetto il suo abbraccio.

Ho voglia solo di coccolarlo, di farmi raccontare la sua giornata, la scuola, il basket, il karate. Ho voglia di famiglia.

Mi dice una bugia. Gabry, dimmi la verità, sei stato tu. Dimmelo, non voglio litigare, non voglio essere autoritaria, non voglio sgridarti. Sono stanca, con quest’influenza che mi stordisce, in ufficio era un inferno, a lezione mi son sgolata, contro i mille problemi di sti ragazzi… Sono a pezzi. Vorrei raccontarti quanto mi sento una briciola invisibile in mezzo a tutto, vorrei dirti che vorrei finalmente quell’uomo tutto per me, che ho un macigno addosso che mi schiaccia, vorrei chiederti se tu che mi conosci, sai dirmi cosa mi manca.

Stasera hai deciso di sfidarmi, di vedere fin dove arrivare. E io devo far la mamma, accettare la sfida, decidere di accorciare le redini, sopportare le tue sgroppate senza cedere. Da stasera hai sciolto il patto, vai a dormire da solo, in camera tua, ora non transigo più. E tu piangi, prometti, prometti, ammetti la bugia…ma non posso più darti tempo. Hai tradito la mia fiducia. 

Ho passato la notte cercando il tuo sonno, il tuo braccio che mi cerca, i tuoi piedini freddi. Sentendomi dannatamente sola. Alle sei hai bussato alla mia porta, mentre mi vestivo. Senza rancore, tutto addormentato, si ho dormito bene mamy, mi vesti tu?.. ti porto dalla nonna, buona scuola, un bacio, corro sennò perdo il treno…..

Tiro su due lacrimoni vigliacchi, stringo il paltò in questa gelida mattina, e torno al mio posto, di rotellina del sistema. Un po’ più sola, mai l’avrei pensato, di ieri.

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Della mutanda.

Questa la racconto.Dopo l’input di Hoplà, non potevo esimermi.

Ho solo un paio di mutande nere.

Penso di aver ancora la 40, e mi addobbo con quei perizomini assurdi (niente più pizzo, lo ripeto, è fuori moda, mannaggia) che ingigantiscono ancor più tutto ciò che sta attorno. Masochismo, okay. Per andare a cavallo, o per la visita agosistica annulae, sfoggio un paio di boxerini aderenti (che alla fine fan sempre l’effetto di cui sopra..), o qualche mutanda nuova di zecca, giusto per il ginecologo. Eppoi, qualche body da urlo (che non metto da millenni) e qualche coulotte, scomodissima ma bellissima. L’omo che ultimamente mi sopporta non gli frega una cippa (e lo dice pure..) di quello che indosso, purtroppo, son mezzucci che non lo sviano (eppure, la coulotte è strepitosa, capperi…vabbè..)

Beh, dicevo, ho un solo paio di mutande nere.

E non sono mie.

Mi son svegliata una mattina, a casa di un’amica, e avevo addosso quel paio di mutande.

Da quel che ricordo, la sera prima avevo un concerto, in una bellissima villa con piscina. Prima e dopo il soundcheck, tutti in piscina, quindi costumino e via. Poi però il costumino è bagnato, e la biancheria è in macchina. E sia, mettiamo i pantaloni in raso e il top, che tanto sta su da solo .

Era il primo weekend che Gabry stava col padre, ero in crisi patocca. Ed ho bevuto il bevibile, fumato il fumabile, suonato (mi sembra, boh, mi pare..) e piangiucchiato pure un pochetto, in un angolino.

E la sera, ho portato a casa la mia amica, e….buio.

Lei dice che mi sono addormentata nel suo letto, ma dopo essermi messa un paio di mutande che lei mi aveva prestato. Lei dice.

So solo che mi son svegliata nel suo letto, con lei accanto. Erano le otto di mattina, io dovevo andare ad allenare e le ho lasciato un biglietto sul tavolo, uscendo poi da casa sua accostando la posta senza far rumore. E mentre allenavo, sopra Secret (il mio cavallo) pian piano realizzavo…e mi chiedevo…..

Beh, così insomma. Ho un solo paio di mutande, di Virna peraltro.

Il biglietto?…c’era scritto solo…."E’ STATO BELLO??"