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Tag: jazz

Ho un concerto.

Ho un concerto.

Amici: HO UN CONCERTO.
Mi vien da piangere dalla commozione. E no, non è una battuta.

Non so nemmeno se mi sento pronta, se sono ancora capace.
Ho una serie di paure, dimenticherò le strutture, sbaglierò quel tema, andrò a fragole in quel giro di solo, chissà se verranno ancora a sentirmi, tutti pensieri che addirittura superano il “che cazzo mi metterò che ormai vivo in felpa”.

In questo momento mi rendo del tutto conto che cosa ci è passato addosso, cose che non abbiamo detto, non abbiamo pubblicizzato ne’ confidato a nessuno: quel dolore sordo, perdere la nostra identità, il nostro essere, il motivo per cui ci si svegliava la mattina. Sono un musicista, ma se non suono allora cosa sono?

Quando Paolo mi ha confermato la data mi è partita la paura, l’inadeguatezza. Io, che ho una faccia di bronzo da sempre, che ho fatto il primo concerto a 8 anni, io inadeguata. E poi, pian piano, la paura di illudersi, magari ce lo annullano di nuovo, cazzo e se mi ammalo?, metti che piove, e via così.

Io indietro non voglio tornare. Io nemmeno voglio voltarmi, a guardar dietro, a quel giorno in cui vedevo solo concerti annullati, di tutti, dai piccoli ai grandi, tutti a casa. E fan culo ai balconi e ai video-collage suonati a distanza. Fatemi suonare per voi.

Ora vado a studiare.

Poi compro una felpa nuova. Coi lustrini.

Il peggior nemico di te stesso sei te, te stesso che non sei altro.

Il peggior nemico di te stesso sei te, te stesso che non sei altro.

Stai lì in mezzo e pensi, boh, sono in pericolo. Non sai se andare in un verso o nell’altro, non hai nessuno a fianco, son andati già avanti, o indietro. Non sono più a portata di voce.
E allora, allora che cazzo fai.
Potresti trovare un’uscita, o un’entrata. Oppure star qui, ferma, aspettare che arrivi qualcuno, o magari un’idea decente, o crepare e basta.
E allora passi il tempo: se crepo chi si preoccuperà? Minchia, nessuno.
Forse i gatti. Gli amici scriveranno post in bacheca, condivideranno foto, era così un raggio di luce, rimarrai pesssempre nel mio cuore, come no.
Quanto durerà, una settimana? Non sono un cazzo di nessuno, non faranno concerti in mia memoria, ne’ festival, ne’ borse di studio, ne’ aule di conservatorio. “Ah s’, quella lì, bionda, ma è morta anni fa no?”.
Il “ma è morta”: cosa cazzo ti frega? Son figa anche da morta. E lo so che diranno “bionda” e “morta” nella stessa frase.
Ma prima dovranno trovarmi. Sempre che si accorgano che son qui.
Sempre che si accorgano che son scomparsa. Che non son più lì fuori, o lì dentro.
L’unica è aver lasciato un riferimento. Un riff. Un campione. Qualcosa che casualmente portasse a “..a proposito… ma quella bionda che…” “ah ma è morta?”.

Posso solo sperare che prevalga la faccenda del “era una bella persona, pagava sempre la Siae, solare/pazza/piena di vita”. (Prima, ‘che adesso è piena di morta).
(Morta, con la a, esattamente).
Metti che ne scrivano un articolone. Metti che non ho la sfiga di crepare in un giorno in cui c’è un’altra notizia più figa. E quindi “donna scompare/signora di mezza età/mamma/professoressa di flautoh/blogger” e magari “col sogno della musica”, per giustificare il fatto che non son famosa come Ligabue.

Okay, non val la pena crepare. Più la cosa del titolone che la morte in se’.
Bisogna uscirne. Trovare un modo. Capire perché diamine, ogni tanto, ci si sotterra nei pensieri, sotto strati di cose che pugnalano perché ci si ostina a vederle dal lato della lama.

Quella cazzo di lama. Ci si specchia dentro la tua età, i tuoi sforzi per costruire qualcosa che non è mai abbastanza. E te la infili nel costato senza che nessuno ti spinga, come se il masochismo fosse la miglior cura per poterti rialzare.

E bon, ti alzi. Tipo automatismo, o forse hai solo freddo. Quindi ti alzi. Ed esci, o entri. Vai avanzi per inerzia, fiato pesante, corpo pesante, testa di ghisa senza una idea decente che sia una. Barcolli, strisci, ti disperi, piangi, sudi, puzzi. Ma smetti subito, perché “donna morta – puzzava pure” è un titolo del cazzo, quindi ti concentri e stimoli le ghiandole ad espellere vaniglia, liquirizia, incenso, anche sapone di marsiglia all’occorrenza.

Eccoli qua (sti bastardi) gli altri. Manco si girano. Li vedi, manco s’accorgono che sei arrivata, tu e l’iperventilazione, hai l’affanno dei tuoi pensieri che boicottano ogni sogno, ogni obiettivo possibile. Il peggior nemico di te stesso sei te, te stesso che non sei altro.
I bastardi continuano a fumare, a parlar tra loro. Manco si sono accorti che non c’eri. E allora fai finta di niente, come quando inciampi e fai i due passetti di corsa come se tutto fosse calcolato.

E tiri innanzi.


No, non c’entra niente la speleologia.

Come depositare un’elaborazione di un brano di altri

Come depositare un’elaborazione di un brano di altri

Ipotizziamo di voler depositare in Siae, invece che un nostro pezzo originale, un nostro arrangiamento. Non intendo solo cambiare organico, tipo La Flauta che vuole arrangiare il Tristano e Isotta di Richard Wagner, per flauto, piano, voce recitante e diggey… ma una propria versione, con testi differenti e accordi pieni di undicesime diesis e drum’n’bass che pompa.
Lo arrangia, lo incide, lo suona anche in pubblico: che si fa, scriviamo “R. Wagner” sul borderò, anche se oggettivamente è una estrema elaborazione dello spartito del buon Richard?

Ve lo dico: io di solito, amen, scrivevo proprio R. Wagner. Stessa cosa quando suono la nostra versione di Teardrop, dando i diritti ai Massive Attack, o al buon Herbie Hancock per Maiden Voyage, anche se ci somiglia pochissimo.

E se invece volessi depositare e ricevere i diritti per la mia elaborazione di un brano, posso farlo?

Sì. Posso farlo. Non è una passeggiata, non è detto che mi riesca, ma posso farlo.

Un po’ è descritto sul sito Siae, un po’ (molto di più) mi è stato spiegato dal mio amico Luca Ruggero Jacovella, mio insostituibile mentore.

Innanzitutto: il termine usato da Siae è elaborazione creativa, quindi non vale fare un arrangiamento di Tanti auguri a te per coro gospel:  deve avere una valenza artistica.
E bisogna esserne certi, perché non è un deposito “automatico”, bensì dovrà essere vagliato da una commissione Siae (il Comitato Elaborazioni della Divisione Musica) per la modica cifra di € 12,40 + IVA 22% come diritti amministrativi di procedura. Alla fine, se verrà considerata genuina elaborazione creativa, gli verrà assegnato un “punteggio” in ventiquattresimi (il diritto d’autore è sempre diviso in ventiquattresimi).
Quindi il Tristano della Flauta, con buona pace dell’amico Wagner, potrebbe diventare “DallaValle-Wagner/TristanUndIsolde” e fruttarmi 4/24i del diritto d’autore.

Ipotizziamo invece ch’io voglia incidere una mia versione del successo di Laura Pausini “La solitudine”, quindi un brano non di pubblico dominio.
In tal caso, sempre che sia una valevole elaborazione creativa, la commissione non serve. Yuhhu.
Però, visto che il brano non è di pubblico dominio, devo chiedere autorizzazione all’autore e all’editore. E anche se magari io e Laura Pausini siamo amiche su facebook e ci mandiamo i poke (no, vabbé), Laura non è autore, devo chiedere a  Angelo Valsiglio e Pietro Cremonesi, autori delle musiche, ed ad Federico Cavalli, autore con Cremonesi del testo. Inoltre, devo trovare l’editore (e devo arrangiarmi, Siae può solo fornirmi gli elenchi degli editori per contattarli) e chiedere il suo consenso. Anche in caso di solo riadattamento del testo (una versione in veneziano della Solitudine potrebbe svoltarmi la carriera) prevede la medesima procedura.

Insomma, tutti quanti devono autorizzarmi e sottoscrivere la “Dichiarazione di espresso consenso all’elaborazione”. Inoltre, presenterò anche il Modello 150/B, ovvero una bella relazioncina su come ho trasformato La Solitudine in un brano che spazia dal Jazz alla Jungle con testo in veneziano, con una valenza creativamente interessante.

In tutti i casi dovrò presentare, come sempre, spartito dettagliato dell’originale e della mia elaborazione, o supporto sonoro se non tutto è trascrivibile su pentagramma.

Ne vale la pena?

Forse sì, forse no. Dipende. Molti di noi incidono proprie versioni di brani di altri, regalando i diritti anche se la propria versione è innegabilmente differente. Ma visto che qui vogliamo esportare creatività, e non cloni di musiche di altri, esorto tutti a provarci.

Io, col Tristano di Wagner, ci sto lavorando. Sai che figo. DallaValle/Wagner. Madonna santa.

Incidere un disco – 3. Prima di entrare in studio

Incidere un disco – 3. Prima di entrare in studio

Insomma, ce l’avete fatta.

Avete definito i dettagli del progetto, avete la band, domani sarete in studio a registrare il vostro capolavoro.

Ovvio, mica vi mollerò qui sul più bello.

Per le prossime due puntate, mi avvarrò dei consigli e l’esperienza di tre amici: Claudio Zambenedetti, fonico dell’Imput Level Studio, Mario Marcassa del CatSound Studio e Max Trisotto, sound engineer, che mi hanno raccontato cose che voi umani, eccetera, al fine di darvi qualche dritta in più.

Per tempo fate una pre-produzione a casa (ovvero registratevi un pre-disco in sala prove), in modo da definire già la bozza definitiva del risultato che volete ottenere in studio.
Io di solito preparo un bel block notes con una pagina per brano, con tutti i dettagli: ve lo consiglio vivamente. Fate una tabella precisa con: tonalità, bpm (tempo metronomico, fondamentale per impostare il click) e struttura (intro, strofe, chorus, assoli) ben definiti. In caso di incisioni su tracce diverse, è bene fare uno schema preciso su quali strumenti suonano e dove, quali assoli fa la chitarra, i cori in che pezzi e in che ritornelli servono, eccetera. Servirà a gestire al meglio il tempo e il lavoro di ogni singolo, oltre ad evitare di dimenticare, alle dieci di sera, che manca l’ukulele nel quarto brano (ed il fonico ha già spostato i microfoni). (Che poi, poco male, se manca l’ukulele, ma vabbé).

(cos’è il click? è una sorta di metronomo che sentiremo in cuffia mentre incidiamo, che ci farà andare tutti a tempo. E’ obbligatorio se registrate uno strumento alla volta, è utile se suonate contemporaneamente ed avete una sensazione di “mal di mare” nel tempo metronomico. Il metronomo è il miglior amico dell’uomo).

Verificate gli arrangiamenti, eventualmente chiedendo a qualcuno di più esperto. Mi capita di sentire dischi di miei allievi in cui piano e chitarre suonano contemporaneamente il medesimo accordo nella medesima ottava, cacofonie che esprimono onomatopeicamente il termine. Come è vero che un buon arrangiamento rende bella anche una canzone mediocre, il pessimo arrangiamento assicura delle porcherie inenarrabili.

NON C’E’ TEMPO DI DECIDERE NULLA o quasi IN STUDIO, QUINDI PIANIFICATE TUTTO A CASA, A GRATIS.

I miei tre fonici di fiducia mi hanno ribadito, all’unanimità, un punto principale: avere TUTTA la strumentazione a posto. “Ossia no pedali della cassa che cigolano o pelli distrutte per i batteristi, corde troppo vecchie sulle chitarre (mentre sul basso vanno bene) e ottave non regolate, fiati con problemi (una volta perdemmo mezza giornata per un bocchino di un clarinetto che “oh, ma a casa non mi dava tutti questi problemi”“(Trisotto).
Non serve avere chissà che strumentazione, l’importante è che funzioni bene e sia di pratico utilizzo. Non serve a niente avere l’ultimo modello di testata per ampli o l’ultima pedaliera con effetti stratosferici se poi si usano dei cavi Jack ossidati, saldati male che generano ogni tipo di ronza” (Zambenedetti).
Ed è bene arrivare in studio già abituati ad accordare perfettamente il proprio strumento: “Sembra banale, ma specialmente i chitarristi si basano sul loro accordatore trovato nelle patatine, una corda alla volta e via… credendo sia tutto a posto. Inoltre bassisti e chitarristi non controllano quasi mai l’esattezza della regolazione del manico nelle ottave, per cui fanno un accordo di Do maggiore e sembra a posto, ne fanno uno di La bemolle ed è un disastro, ma per le loro orecchie va bene. L’accordatura vale anche per la batteria. Una batteria bene accordata suona mille volte meglio di una scordata…” (Marcassa).

Quindi, prima di uscire di casa, verificate bene i cavi, l’accordatura del Rhodes, rivedete l’uso degli effetti (il pedalino che gracchia da anni, in studio continuerà a gracchiare) ed eliminate il superfluo, imparate ad accordare la batteria (perché diciamolo, a qualcuno che ora sta leggendo sorge nuova che anche la batteria si debba accordare…), verificate che il proprio strumento a fiato sia intonato, che tutte le chiavi chiudano, che si abbia l’ancia giusta.
Portate tutto ciò che può servirvi (partiture, fogli pentagrammati, cavi di riserva, reggichitarre, bacchette di ogni tipo, scatoloni di ance, eccetera).

Per i/le cantanti: registratevi seimila volte prima di entrare in studio, da soli e durante le prove e controllate dove rischiate di stonare, la pronuncia e la comprensibilità delle parole, le dinamiche e l’interpretazione delle varie frasi. Se registrate a tracce separate, segnatevi dove prender fiato e dove eventualmente spezzare l’incisione (prima le strofe, poi i ritornelli, eccetera). Segnatevi dove vorreste un rinforzo, dove fare le seconde voci o i cori. E ricordatevi, non serve gridare, lavorate di sfumature e chiaroscuri, esasperate i dettagli più di quanto lo possiate fare live.

Se dovete fare un assolo, riprovatelo quanto potete, strutturatelo se non vi sentiti sicuri, trascrivetelo al limite. E’ matematico che arrivati in studio andrete in panico e magari inciderete dei pasticci. La verità è che più li ripeterete e peggio sarà. Ne rifarete una trentina di versioni, di seguito. E terrete buona la seconda track.

Bene.
Ora, passate dal supermercato e prendete qualche bottiglia d’acqua, qualche biscotto, un pacco di merendine. Se l’incisione vi occuperà tutta la giornata, prevedete una pausa pranzo in qualche posto nei dintorni, è meglio uscire all’aria aperta e ricaricare le pile per il pomeriggio/sera, il lavoro in studio è estremamente stancante.

In studio NON portatevi dietro figli, amici, morosi/e, genitori, avvisate tutti che non esisterete per tot ore (e che spegnerete quindi il telefono). Dovete stare tranquilli, a vostro agio, liberi anche di andare in crisi e piangere davanti al microfono alla sesta volta che sbagliate un’entrata, concentrati su ciò che fate e orientati verso il miglior risultato possibile. Anche un videomaker o un fotografo possono sconcentrarvi, fate tutto prima o dopo, o in una track di prova.
Bene, andate a dormire. Domani dovrete arrivare puntuali, lucidi, riposati e carichi.

 Ho detto lucidi. Mettete giù quella birra.

 

 

Puntate precedenti:

Incidere un disco – 1. da dove partire 

Incidere un disco – 2. La scelta della band

Soundreef, oppure i miei diritti me li gestisco da solo?

Soundreef, oppure i miei diritti me li gestisco da solo?

E’ un po’ che amici e colleghi mi chiedono cosa ne penso di Soundreef… ne ho parlato anche con Luca Ruggero Jacovella*, mio buon amico nonché punto di riferimento su norme, guazzabugli e leggende metropolitane sulla Siae ed il diritto d’autore. Insomma, uno di quelli che dialoga, che prova a cambiare le cose in Siae (grazie a lui e a Victor Solaris di SosMusicisti è stata abolita la norma allucinante di “sovrapprezzo” per esecuzioni oltre i 3 musicisti…) e non si lamenta e basta dietro un monitor. Cerchiamo insieme di dipanare un po’ di questioni.

borderò

  • Soundreef Live è l’alternativa alla Siae? Quindi se mi associo non pago più la Siae?

Non è del tutto così.
Soundreef è un’alternativa alla riscossione dei propri diritti senza passare attraverso Siae. Ma possiamo farlo pure da soli.

L’autore può benissimo contrattare, oltre al cachet, anche i diritti dei propri pezzi. Quindi: ci si può affidare a se’ stessi, invece che a Soundreef, prendendo il 100% dei propri diritti, mentre Soundreef te ne assicura il 68%.

Quindi: “ciao, sono il gruppo “laflauta&iballaballa”, sono 10 fiorini di cachet più 2 fiorini di diritti. Non serve chiedere e compilare il borderò, ti rilascio una certificazione in cui ti dichiaro che sono pezzi miei e non sono autore Siae”. Apposto così.

Nel caso in cui si ritenga complicata questa “contrattazione” dei diritti, la soluzione Soundreef può essere una valida alternativa: hanno una metodica simile a Siae (permesso – ma online, borderò – ma online, deposito brani – tramite altro partner, e pagamento diritti – ma sempre analitico) oltre ad un’assistenza legale. Ma attenzione, parliamo SOLO di brani “inediti”, niente cover ne’ brani di altri. 

Luca:   Si, è proprio così.
L’artista (non iscritto a SIAE) può trattare autonomamente i propri diritti d’autore, così come il cachet della serata. Oppure, se una band propone solo ed esclusivamente proprio repertorio autorale,  si può passare a Soundreef. Si evita di dover contrattare di volta in volta i propri diritti (magari capita di vederli anche negati perché “comunque si viene già pagati per suonare …”).
Se però la band, o i singoli musicisti, prevedono di suonare anche solo qualche rara volta, un brano “famoso” del repertorio mondiale, allora costringerebbe il locale a richiedere ben due permessi: uno a SIAE per anche un solo brano noto, ed uno a Soundreef per le proprie opere.

Ricordiamoci di specificare di nuovo che chi è già iscritto Siae NON può contrattare da solo i propri diritti col locale. Il rapporto di adesione, o di “mandato”  è esclusivo, e la contrattazione dei diritti è collettiva.

  • Spesso si rimane in Siae perché si hanno diritti che provengono da lavori che passano in radio o televisione, mentre i diritti che passano attraverso i live scompaiono nelle pieghe del borderò rosso…  E’ possibile aderire a Soundreef  “a metà”, ovvero solo per i concerti?

Luca: E’ possibile, entro il 30 settembre di ogni anno, comunicare a SIAE la “limitazione di mandato” per una categoria di diritti,  valevole per l’anno seguente. Quindi, nel caso da te citato, l’autore può rimanere iscritto SIAE raccogliendo diritti su diffusioni radio-televisive, ed iscriversi a Soundreef per la sola musica “live”.

Ancora una specifica: il problema vissuto in prima persona dai musicisti “piccoli autori”, che non percepiscono quanto dovrebbero in base all’attività live, è vero esclusivamente nell’ambito dei permessi per “trattenimento/già concertini” (borderò rossi). Mentre invece, nei permessi per “concerti” (borderò blu) ed anche “trattenimenti con ballo” (sempre rossi ma con voce d’incasso diversa), la ripartizione avviene in modo analitico (e quindi, i diritti di ogni brano inserito nel borderò vengono corrisposti all’autore). 

Però il borderò blu, che dovrebbe essere quello corretto per il jazz, io stessa lo vedo di rado (nella foto: l’ultimo borderò che ho compilato…rosso….), e non parlo di locali, ma di teatri, festival…. Costa di più, ed alla fine Siae “favorisce” il locale (che per carità, versa comunque troppo) cercando di fargli pagare il minimo, a scapito dell’autore (per la quale Siae dovrebbe lavorare…).

Luca: Si è vero. Il permesso per concerti (borderò blu) ha un costo minimo di circa 100 euro + iva, quindi anche più del doppio di un permesso per trattenimenti. Ma qui entra in ballo anche un criterio di valutazione molto discutibile applicato dalla SIAE: loro distinguono in “Spettacoli/Concerti” quando il pubblico è “passivo”, e in “Trattenimenti/già concertini” quando il pubblico è “attivo”, e l’evento musicale assume carattere accessorio rispetto all’attività principale del locale. Può sembrare surreale ma queste sono le “categorie” di pensiero applicate.

Quando guardiamo le foto e i filmati d’epoca del jazz in America, con tutti i grandi che hanno fatto la storia di questa musica suonare davanti a tavolini con bicchieri e a un pubblico giustamente “partecipativo”, beh … applicando le categorie usate dalla SIAE, sarebbero tutti “Trattenimenti”, quindi una forma inferiore allo spettacolo d’arte vero e proprio! Da cui la ripartizione non-analitica (“perché tanto si intrattiene con i maggiori successi già identificati …”).

Vorrei concludere col mio solito “sermone”: c’è bisogno veramente di nuove forme di pensiero e di cultura musicologica per gestire i diritti derivati da attività creative degli artisti sempre più trasversali e innovativi rispetto al passato. E’ curioso notare però come anche la modernissima SoundReef adotti terminologie e parametri identici a quelli della SIAE.

Già, curioso….

*Luca Ruggero Jacovella, musicista, consulente tecnico in Musica per il Tribunale di Roma, ha redatto un appello pubblico e relative linee guida per il riconoscimento del diritto d’autore nelle improvvisazioni jazz. Collabora con SOS Musicisti. Ed è una gran bella persona (okay, questo non è nella biografia ufficiale).


Domani approfitterò nuovamente di Luca, parleremo di come tutelare la propria musica senza passare dalla Siae (consigliatissimo ai giovani autori).

(Avete domande o volete delucidazioni? Chiedete, nei commenti, e vi sarà risposto. Guai a voi se vi lamentate di Siae, però, eh. Qui cerchiamo soluzioni, mica rissa..)

#siaenograzie – gli appuntamenti a Mestre, 12 aprile 2014

#siaenograzie – gli appuntamenti a Mestre, 12 aprile 2014

1277865_10152248080194706_2134413700_oCi siamo, sabato è il 12 aprile.

Il buon Andrea Caovini è riuscito, sbattendosi abbastanza, a fare rete, a riunire noi musici di buona volontà ed esercenti di altrettanto buona volontà per organizzare una serie di eventi, tutti appunto nella giornata del 12 aprile 2014, sotto l’egidia del diritto d’autore, come diritto degli autori e non come proprietà della Siae.

Sia chiaro. Io non ce l’ho con la Siae. Sono un’associata, figuriamoci se. Faccio solo tutto il can can possibile perché voglio provare a cambiarla. A renderla trasparente, innanzitutto, quindi facendo informazione, e poi provando a spingere, assieme a molti altri, verso una vera svolta.
Una svolta con la testa dei musicisti, quelli che lavorano nel 2014, non quelli salvificati da un successo radiofonico negli anni 60/70/80, e che ora campano con il pagamento degli altrui borderò.

Quindi: la lista dei locali e musicisti che hanno aderito e relativi eventi la trovate qui, l’evento generale su facebook da poter condividere è invece quest’altro . Ricordate, ogni condivisione, like e partecipazione fa aumentare la risonanza dell’iniziativa (indicizzando la cosa). Quindi, se non potete partecipare almeno fisicamente, fatelo coi social: facciamo girare. Facciamoci sentire.

A Mestre (casa mia insomma) due locali e molti musicisti hanno autonomamente organizzato due eventi distinti. In entrambi i casi tutto ciò che verrà suonato è esente da qualsivoglia richiesta di pagamento di diritti d’autore: sono tutti brani in common creative, o improvvisati, o della tradizione. Io mi sto attivando per partecipare ad entrambe le jam che seguiranno ai concerti principali.

Siete tutti caldamente invitati, amici musici, sul palco; pubblico sostenitore (che paga la Siae su ogni device che acquista, siamo tutti azionisti eh..) in platea a dar man forte.

 

Il primo appuntamento in ordine di tempo è dalle 18 al Palco

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“All’ora dell’aperitivo sabato 12 aprile: ad una resident band acustica, formata dal trio EVE (Elisa Vedovetto-Francesco Clera-Federico Della Puppa) e da Anna Maria Dalla Valle, si aggiungeranno via via altri musicisti che hanno già aderito all’evento, tra i quali Roberto Borghetto, Paolo Corsini, Toni Costantini, Michele Russo e altri che si aggiungeranno in una jam acustica nella quale agli echi ambient e spiritual jazz si sommeranno brani classici esclusi dal diritto d’autore, avendo superato la soglia dei 70 anni”

(cliccate sulla fotina per aderire all’evento su FB e per farlo girare)

 

 

Dalle 20 parte il secondo evento, al Palaplip di Mestre:  “ANKENO’ – Serata live per i diritti d’autore, contro i doveri d’autore”.

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20:30 –Mr. Wob & the Canes. Voodoo blues
21:30 – Salvi & Liberi Subito. Neoplasia veneta su corpi in decadimento
22:15 – Fabio Zona e i Supernova feat. Acoustic Spirit. Rock d’autore from Roma
Jam session finale

(cliccate sulla fotina per aderire all’evento su FB e per farlo girare, ve l’ho già detto prima!)

 

Condividete. Avvisate amici, stampa, chiunque possa esser utile.

Usate l’hastag #siaenograzie per dire la vostra, su twitter, su facebook.

E se passate ai due eventi qui sopra, passate a salutarmi.

 

Notizie dal consiglio di sorveglianza Siae

Notizie dal consiglio di sorveglianza Siae

Vi giro le novità dal consiglio di sorveglianza SIAE, le proposte di AssoAcep (che condivido in pieno) nel loro Notiziario di fine anno.

Leggetele. C’è molto di ciò su cui andiamo ragionando da mesi: borderò online, diritto di improvvisazione, fondo pensionistico… Leggete e condividete.

Facciamogli sentire che ci siamo, a questi coraggiosi che portan avanti le nostre comuni proposte giù in consiglio!

http://issuu.com/assoacep/docs/notiziario_acep_set-dic-2013

Quando “suoni come un uomo” sembra un complimento

Quando “suoni come un uomo” sembra un complimento

Rileggevo Matteo Bordone,  stamane, come pure Alex Ross che disquisiva di un simile argomento, di quanto la musica classica (ma pure quella non classica, eh) possa essere maschilista, omofoba e quant’altro.

In verità non mi son mai sentita di affermare che ci possa essere maschilismo nel campo musicale. Ma lo penso. Eppure come tante cose, cerco di non dirle, per non avvalorarle, per non darle pubblicità, per non convincermi che ci sia solo una preferenza sessista e non effettivo valore o non valore delle persone. Se una donna non fa carriera è semmai perché non è sufficientemente brava (=coefficente di bravura maggiore di quello medio richiesto in un uomo, probabilmente), e non perché è “solo” donna.

Il problema è che ho un pochi di sassolini nelle scarpe. E capite, coi tacchi danno ancor più fastidio.

Quando studiavo in conservatorio, preparandomi per il mio primo diploma, era palese che certe carriere erano impossibili. Bordone cita i Wiener Philarmoniker, che fino al ’97 non ammettevano donne nel loro organico; io vi cito invece la Fenice di Venezia, che fino a vent’anni fa non ammetteva donne fra i fiati dell’orchestra. Quindi, se volevo fare l’orchestrale, era palese che non era il caso di sperare in una carriera nell’orchestra della mia città. Idem per Vienna, certo.  Non che la carriera di studentessa fosse stata tanto diversa: ero una ragazzetta caruccia e i dubbi su quale fosse il tipo di talento più apprezzato erano abbastanza palpabili.

E lo ammetto, crescere nel dubbio che siano gli occhioni azzurri a decretare il posto di primo flauto (o di bocciatura, in caso di commissione femminile) fa incamerare molte insicurezze. I commenti “innocui” di insegnanti o anche il solo ODIOSO “brava e anche bella” (ma cazzo mi frega del bella, ostia) sono spesso il dazio da pagare, ma accorgersi che un tal docente insiste nel fare due ore di lezione non certo perché tiene alla tua carriera, o perché “sente” il tuo talento, è una montagna che crolla in testa appena ci si confronta col mondo reale. E non sto parlando di molestie, sia chiaro.
Ma in un ambiente in cui il talento e lo studio sono fondamentali, non saper valutare se stesse perché confuse da un marpione di turno crea molti danni.

Ancora peggio se si pensa di sfruttare la propria avvenenza per far carriera: c’è sempre una più figa di te. E soprattutto c’è sempre quella più brava, che invece di perder tempo a darla via, studia, e si prende il tuo posto.

Ora, visto che gli elenchi mi piacciono e risvegliano l’attenzione dell’annoiato lettore, vi propongo una serie di frasi che mi son state rivolte negli anni. Non me ne vogliano coloro che si riconosceranno.

1. “Brava ma soprattutto bella”. E’ un complimento?? Ammettilo, l’hai detto mille volte, senza nemmeno farci caso. Difatti quando vieni ai miei concerti mi dici “vengo a vederti” mica “vengo a sentirti”. Te lo spiego: se fossi in lizza per Miss Uzbekistan capirei, ma in quest’ambito devo essere brava, ma soprattutto brava.

2.  “Bel bel pezzo, non sembra nemmeno scritto da una donna”. Pure questo è un complimento, “il brano è talmente bello che non potrebbe scriverlo una donna”. Maria Schneider (la compositrice, non quella del burro), vattela a sentire, forza.

3. (ascoltando un disco) “Ma come si chiama il flautista?” “Anna Maria D.V.” “Ma giura! Una donna? Sembra un uomo!”. Questo è peraltro stato detto da una stessa donna. E sì, voleva pure questo essere un sincero apprezzamento, come se per spaccare un woofer di energia bisogna avere per forza il pisello.

4. (A parimerito con “musicista con le palle quadrate” e “cazzuta”) “Suoni come se tu avessi il pisello”. Vabbè, questa non la commento.

Ci sarebbero molte altre infelici frasi da elencare… ma non sono specificatamente “apprezzamenti”, semmai atteggiamenti misogini e beceri, scemenze basate sul luogo comune e la paura, perché sempre quella è, delle donne.

La mia “tattica” di solito è di scordarmi di essere una femmina, col rischio di ritrovarmi in un clima alle prove che nemmeno nella peggior caserma. E’ sempre un equilibrio difficile, non devi rompere i coglioni, ma devi anche diplomaticamente tirar fuori le unghie per difendere i tuoi spazi (gli assolo ad esempio) e le tue idee (che dovranno essere decise e coraggiose).

A volte ci si mette al livello dei maschi per esser rispettata, per risultare inoffensiva, non bigotta, per farli sentire a loro agio, perché si dimentichino che c’è una femmina lì in mezzo. E il cameratismo diventa spinto, non da fanciulla di buona famiglia. Il colmo è che ci si prende anche delle critiche, perché una donna non può fare allusioni, non può nemmeno istigare volgarità, deve essere pura e candida e delicata.

Eppure, se mi devon dire che son brava, mi devono paragonare ad un uomo.
Ho una sola consolazione: sto invecchiando. Sfiorisco pian piano, e sotto rimane la mia orgogliosa tempra di musicista, sciolta da ogni corruttibile fascino fisico.
Finalmente, finalmente la resa dei conti è vicina. Presto sarò solo brava, vecchia ma brava.

flauta_berlin

 

 

 

Duri&Forty – A Birthday Jam – Ven. 11 Ottobre 2013‏‏

Duri&Forty – A Birthday Jam – Ven. 11 Ottobre 2013‏‏

 (PHOTO @alessioveronesi)
My Dear,
In occasione dell’acquisizione dei miei primi anta (manco fossi un armadio a muro) sono ORGOGLIONA di esortarti a partecipare alla mia

Birthday Jam Session 

 
programmata per
 
Venerdì 11 ottobre prossimo
nella Sala Eventi dell’Officina del Gusto 
(si apre alle 20.45 e si chiude a mezzanotte)
 
(Mestre centrissimo, via Sarpi 18/22, ovvero nella galleria tra via Mestrina e il Centro Le Barche, http://www.officinadelgustovenezia.it/dove-siamo/ )
(Ocio, è zona pedonale, parcheggia in centro e fai due passi).
La Jam è aperta a tutti, anche agli amici degli amici degli amici, fino al terzo grado (di giudizio); i non musicisti sono graditi ed auspicati, le cantanti ammesse solo in quanto portatrici di f… felicità.
Se volete, all’Officina si mangia da (inserire divinità a piacimento), se volete arrivare prima e non mangiati. Ma ve rangé co’ l’oste. 
 
Resident band: 
 
La Flauta (al flauto) (finché è lucida)
Paolo Corsini, Piano
Marco Privato, DoubleBass
Marco Campigotto, Drums
Abbracci e cose belle, ci si vede lì.
Flauta

 

Non sto mica bene (ho bisogno di studiare)

Non sto mica bene (ho bisogno di studiare)

Mi piace studiare.

Non sono mai stata una secchiona, anzi. Il minimo sforzo era il mio motto, tutto e subito, una letta la sera prima del compito in classe, grande fantasia per l’interrogazione. Gli ultimi esami della vita invece, ormai madre di famiglia, li ho fatti meglio, prendendomi tempo, facendo riassunti e schemi e mappe, appassionata delle mie materie preferite, come se prima dei 35 anni non avessi conosciuto il piacere dello studio.

La musica è sempre stata argomento diverso. Avevo creato una scaletta anche per lo studio quotidiano: venti minuti di note lunghe, poi tecnica, scale, staccato, flessibilità, almeno un’altra buona ora. Poi lo studio del repertorio, a seconda dei concerti che avevo in programma. Era vitale. Le giornate in cui il leit-motiv era “oggihounsuonodimerda” erano nerissime, come se mi fossi riempita di brufoli il viso nella notte, come se mi fosse caduto un incisivo, tutti ad un solo sguardo avrebbero visto che “hounsuonodimerda”, peggio di una crisi depressiva acuta. Che poi, il brutto suono spesso è solo la percezione aumentata, l’orecchio che chiede di più, tant’è che se non suoni per due mesi ti sembra di avere un suono bellissimo… mentre è solo che ti sei scordata cosa voglia dire “suono bellissimo” coi tuoi paramentri.

Studiare è come un allenamento: è alienante, assorbe energie e pensieri, ti ripropone limiti e paranoie, senza filtri. C’è la rassegnazione del passaggio che non esce, per il quale ti affidi al tempo, che asciuga ogni ferita e ripara ogni incertezza tecnica con la magica forza della ripetizione.

Io ho un leggio, con appeso il metronomo e l’intonatore, varie matite e cartine. Di fronte lo sgabello. Spartiti pochi, dopo tanti anni le cose quotidiane sono tutte a memoria. Il mio microcosmo.

Ora il tempo è poco. Lo studio è razionalizzato, deve ampliarsi con l’ascolto, il pianoforte, la scrittura. Spesso ho giusto il tempo per mettere a memoria i pezzi, ripassare qualche giro di accordi più caustico, fare fiato, leggere le parti.

Studiare mi manca. E’ stato il mio compagno di vita da sempre, conosco ogni dettaglio dei miei difetti, ogni meccanismo mentale che mi porta a fare una cosa o l’altra, le tonalità in cui incespico, le note in cui cresco. Una sorta di meditazione, di necessario contatto con se stessi, di bisogno primario. E quando non posso studiare, sento davvero che non sto bene.

Tipo adesso. Non mi sento proprio bene.