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Amore, siediti. Amore, siediti. Amore…siediti. Oh diamine, ma quante volte me lo stai dicendo?

Ma avervi di nuovo insieme, mia strana famiglia, mi mette allegria. Quella dolce, accogliente, dell’abitudinarietà.
Abbracci da dietro mio figlio, impugnando con lui forchetta e coltello, e io vi guardo di nascosto, fingendo interesse per i fatti miei.

E mi siedo, e quel che mangio è sempre magicamente buono. Ma ho dimenticato di prendere, ho dimenticato…

– …adesso stai seduta che prendo io….

E nel passare dietro la mia sedia, passi il palmo della mano sul mio viso, in una carezza che mai ho ricevuto prima.
E di tutto quel che è stato, è il mio ricordo più dolce.

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Sarò gonfia perchè bevo troppo prosecco?

In giro per i corridoi del supermercato c’è della roba meravigliosa. Ti mettono la verdura all’inizio, così piazzi l’insalatina e le fragole sul fondo del carrello, giusta da schiacciare col pacco di penne rigate e il detersivo liquido. Poi le merendine, Diobono le merendine, inclusi quei rotoloni di pandispagna intinti da besciamella allo zucchero, cilindri di colesterolo puro. Dopo hai pure il frigo dei formaggi, con tutte quelle cremine latticine oscenamente buone che fan venire i brufoli (la mia estetista, nel brevissimo periodo nel quale ne ho avuta una, mi diceva che era colpa del formaggio se non si aveva la pelle di pEEsca) (e sarebbe davvero trendy avere la pelle di pesca) (c’era una Barbie, la Barbie fior di Pesco per l’appunto, che da bambina impiccavo a giorni pari per l’invidia) e pure il luminoso e calamitico reparto profumi e belletti. Che noi donne si va pazze per lo sciampino nuovo, il balsamo che ti rende il capello vaporoso, liscio, morbido come la seta (ma quando mai), lo scrubante per viso, corpo, piedi e alluci.

E diciamolo. Perchè diamine dopo lo scrub si è tempestate di brufoli? Ma che senso ha?

Dicevo. Se riesco ad oltrepassare tutto ciò, già son brava. Ma lì, davanti allo scaffale dei vini, non posso non cedere.

Com’è noto, ho passato gli ultimi quindic’anni nelle terre del vino, in quel ben di Dio di vigne tra il coneglianese e il Lison, ubriacandomi di profumi di mosto, e bestemmiando ai rimorchi di uva che ti bloccavano il traffico tra settembre e ottobre. Ma comunque.

Il reparto vini è luogo di inciucio mitico. Di settantenni, ma va che esperienza.. Solitamente, a parte la signora col tavernello, son l’unica donna a rimirare le bottiglie. Che dei miei vini, quattro acche ne so. Miei, sottolineo, quelli fatti dalle mie parti. Conosco le aziende agricole, conosco le vigne dove il prosecco vien fuori a chicchi giusti, e conosco i consorzi più accreditati. Anche se, ammetto, ho un vorace amore per il Labrusco di Sorbara.

Dicevo (perdo il filo che neanche Teseo..) me ne sto li e regolarmente me li porto via tutti. Arrivo a casa e, mentre butto la pasta, apro con religiosa cupidigia la bottiglia. Verso delicatamente sul calice e sorseggio. No, niente aperol, almeno per il primo bicchiere voglio conservare l’orgoglio di questo meraviglioso vino. Poi me lo sputtanerò con qualche oliva, nella vera tradizione spritziana, ma all’inizio, ho un rapporto carnale con quei primi due sorsi.

Aaaahh.

Che noi veneti, diciamo "aaaahh" solo per i fuochi del redentore. Per dire.

Ecco. Che sia per questo che sono così gonfia oggi? Osteeeeeeeeeeeeeeeeeee!!

Matilde. Una lavastoviglie.

Matilde. Una lavastoviglie.

Quando l’han portata su era già bellissima.

Come quelle belle donne. Quelle a cui non serve trucco, non serve una scollatura, sono belle anche appena sveglie. Hanno un portamento, un fascino discreto, e irresistibile.
Avvolta in giri di cellophane e polistirolo, portata a braccia, con la delicatezza di una reliquia, dai due ragazzi friulani che stavano montando la cucina.
Messa lì, appoggiata al centro della stanza, quasi dimenticata mentre sistemavano il resto, eppure così dolcemente curiosa di guardarsi attorno.
La osservavo, mentre si ambientava. Ero già gelosa, già gelosa di quelle altre mani che potevano toccarla, spostarla, violare la beltà dei lineamenti, del design moderno ed essenziale, ma che dico… nemmeno ho visto di che marca era. Non era così importante com’era "fuori".

Mi son seduta a terra, davanti a lei, quando è stato tutto finito. Io e lei, e le mie eterne riflessioni. Eterne come la fiamma di una candela, che una folata di vento d’improvviso spegne.
D’improvviso, si, come questa nuova casa, questa nuova vita, mi son svegliata e…il guado sembra quasi oltrepassato.

Solo ieri giravo per la mia casa, quel deposito di speranze infrante, di pianti, di sogni romantici di bimba, e nei muri le ombre dei miei quadri, e del mio matrimonio. Ho tolto tutto, lasciando che lì trasudasse il mio dolore, sempre vivo, per la vita che volevo, e che non sarà mai.

Ho chiuso la porta. Ma in questa "nuova" mia casa, mi sento ancora in albergo. Sistemo, monto mobili, tende colorate. Lui ha appeso i quadri, tutt’intorno, dei nostri viaggi, dei nostri sorrisi, che pensavo a breve termine, e invece siamo ancora qua. E adesso, ci sei tu.

Ti vedevo come il deposito dei miei sogni. Una macchina miracolosa, che avrebbe lavato la mia anima e i miei ricordi da ogni amarezza, asciugato il sudore delle mie pesanti giornate, e le lacrime di disperazione e disperata gioia. Con delicatezza, si sarebbe presa cura dei miei cristalli, i gioielli della mia quotidianità, togliendo l’alone della fatica, per ritornarmi la vita linda e luccicante, pronta per accogliere il mio nuovo pasto, il latte della nuova giornata di Gabry, i calici dei miei brindisi. E mentre avrei "lavorato" con lei, indubbio, avrei spiegato matematica a mio figlio, discusso di lavoro col mio uomo, mandato un messaggio alle allieve, o raccontato le pene d’amore alle amiche. Lei li, silenziosa compagna delle mie giornate.

La mia nuova epoca. Io e Matilde. Io, e i miei sogni che, ogni tanto, si avverano.

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C’è stato un momento, molti anni fa, in cui han detto "l’uccellino, interpretato dal flauto", e mi sono alzata in piedi, dal centro dell’orchestra, suonando il passo più difficile della storia, come fosse una passeggiata.

C’è stato un momento, con un bambino in grembo, una band di più bravi di me, gettata a capofitto in un solo free che manco mi accorgevo d’essere io, flauta panciona con ancora mozart nelle vene.

C’è stato un momento, l’altro giorno, in cui l’animo rideva per poter giocare con le note, in estrema sintonia con un contrabasso pieno di verve… e io estremamente dentro quella storia li.

C’è stato un momento, ieri sera, che il mio cuore batteva così forte da esplodere. E io a far finta di nulla. Che la cantante ora sono io, solo io, soppiantate le americane, le inglesi, le fighe insomma, tutte a casa. E me l’han detto come fosse un’ovvietà, mentre io non stavo più nella pelle dall’orgoglio.

Ci son stati momenti in cui ho raccolto i frutti del mio studio, della caparbietà, del "boia chi molla". Li ho gustati, assaporati fin l’ultima goccia, ebbra di quel giramento di testa che solo le vittorie danno.

 

Ma nulla. Nulla come aver piantato quelle cazzo di tende chiffon giallo-sahara, io e il mio trapano, soli, in camera da letto. Come ho goduto.

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Quando Mauro mi chiamò, ero sconsolata passeggiando tra vetrine piene di cose che non potevo permettermi. Avevo addosso il macigno da pochi mesi, gli occhi stralunati, e nessuna voglia di rialzarmi in piedi. Fresca di un incidente stradale in cui ero uscita per miracolo, che aveva lasciato in me un segnale d’allarme, stavo predendo il controllo della mia vita.

Mauro voleva lo sostituissi, lui aveva un’altra scuola e il vincolo di non poter più insegnare in accademia, vincolo idiota a parer mio. Si trattava di far spazio tra le altre mie scuole, ed entrare in un iter nuovo. Anche se davvero, di insegnare non avevo più la forza, in quel momento.

Quello stabile enorme, in pieno centro, (nella foto, il suo porticato..io insegno giusto qui sopra) dai muri trasudava arte e musica, e un vissuto di tante storie, tanti gruppi, tante persone, tante note. Un palazzo che sta a contorno della piazza centrale, a fianco al municipio, di una delle cittadine più legate al Piave e alle sue vicende, fulcro di un pezzetto di storia, popolata da una strana e bigotta borghesia e da una moltitudine di extracomunitari poco raccomandabili.

Non so fare il conto di quanti allievi, quanti saggi, quante prove e quante risate e lacrime, lì dentro. Quest’anno, in concomitanza col mio trasferimento, ho deciso di scegliere una delle tre scuole, non senza rimorsi per "abbandonare" le mie flautine e il lavoro di anni su di loro, e raddoppiare gli sforzi e le ore solo in quella a me più vicina, e più comoda. E come volevasi dimostrare, ieri sera mi annunciano che, benchè scuola storica, benchè 300 allievi anche quest’anno, benchè sia una officina di giovani artisti con uno staff di docenti di gran grinta e personalità (nel quale mi ci metto anch’io, diamine), ci mettono in strada. Lo stabile è "inagibile". O forse, la scuola dell’ex sindaco non ingrana, e bisogna buttar giù quella nostra.

Abbiamo fissato un’assemblea con tutti gli allievi, sensibilizzando il sindaco da un lato, e prendendo atto che invece il resto dell’amministrazione comunale non vede l’ora di metter mano su quel palazzo. E chissene dei 300 ragazzi che studiano musica lì dentro. Fantastico.

Scontrarmi ancora una volta con l’ignoranza pura della gente, che ha sempre fondi pronti per una piscina o una palestra, senza pensare che c’è uno sport chiamato "musica" che allena l’anima, e se ne sbatte altamente se è addirittura convenzionata con il Conservatorio, e che in pochi anni abbiamo messo in piedi anche questi corsi di musica moderna, con tanti adolescenti che non stanno a spaccar vetrine ma a suonare una chitarra, un basso, un piano.

La scorsa estate li avevo accompagnati io, a suonare per una manifestazione jazz, e mi chiamavano in continuazione, chiedevano di far prove in qualsiasi momento, correndo da scuola, portandosi la batteria in spalla, scrivendosi gli accordi sugli scontrini del bar, mettendo Coltrane e Pastorius nell’Ipod, accanto a Vasco e i Greenday. I miei cantanti son già più adulti, ma riuscivano a interagire tutti insieme come non si vede nemmeno tra professionisti.

Sono orgogliosa dei "miei" ragazzi. E mi piange il cuore.

Scusate lo sfogo. Nemmeno troppo poetico, ne convengo. Ma mi sento impotente.


Vi segnalo anche questo, stasera (venerdì 9 marzo)  suono a Radio Sherwood, con l’amico Max che mi ha invitata come Special Guest. Dalle ventuno, siamo anche in diretta streaming su web. Se avete voglia di sentir sta flauta.

ven.9 Marzo h.21 Sherwood Radio vicolo Pontecorvo Padova  

IT 

Dear Hip Hop Headz n  Musicheadz,
siete tutti invitati ven. h.21 al live di Venerdì 9 marzo 2007
"Hip Hop meets Funk n Jazz Beyond the barrier of Sound"
Liveshow del progetto THE BEAT HOP "Hip Hop meets Funk n Jazz Beyond the barrier of Sound" dall’idea di Max Mbassadò, Master of Ceremony di origine Californiana feat. Playboy (Human Beat Box), Otello Savoia Acoustic Bass + special guest Anna The Flute (Flute).
Open Live anche in diretta radio 97.8 Fm PD etc.
Il tutto presso i locali di Sherwood Radio vic. Ponte Corvo n1 PD (zona Pontecorvo/Santo). Ingresso gratuito!!!!!!!

Inoltre in live streaming radio http://www.sherwood.it/Hip-Hop-meets-Jazz-n-Funk
www.sherwood.it

infoline 3474761021

ci ho.

ci ho.

 

Scendo le scale, trascinando per lo zaino quello scolaro screanzato che si nasconde sotto il capello biondo del settènne. Si, che adesso ci ho pure le scale.

Imbrocco il semaforo tra casa mia e resto del mondo. Ovviamente, nessuno passa per il resto del mondo, e tutti escon da casa mia. Con sgommata passo alla scuola semplice (o elementare che dir si voglia) e scarico il settenne, che con rotolata da stuntman prende posizione sul cancello e corre in classe. Appena si renderà conto che non è mai in ritardo, e che pago trenta euro di entrata anticipata ogni mese, penso mi infilerà nella notte affilate punte di trapano negli stivali.  Da muro, ok course.

Che ci ho il trapano. Minkia, il trapano. E’ l’apoteosi dell’indipendenza, il trapano.

Arrivo in ufficio, e parcheggio davanti al portoncino del protocollo. Tragedia. L’immagine riflessa non dà dubbi.

S’è fulminato un anabbagliante.

Giusto oggi, giusto ora, vacca boia. Controllo l’agenda: non trovo spazio, tra la moltitudine di incombenze del lunedì mattina, per la questione "cambio anabbagliante". Mi trattengo dal tirar "na botta sur fanale", come se bastasse.

I commenti dei colleghi, al mio "vaff, dopo vado al distributore e me la faccio cambiare", sono strazialmente di scherno. Dieci euro buttati, mi dicono, ecccheccccivuoleacambiarnalampadina. La mia vocina-dentro mi ripete "distributore: pratico, veloce, problema risolto in minuti 2.05. cambio autonomo: trovar tempo, comprare lampadina, smontare faro, disinserire collettore, togliere gomma, estirpare la vigliacca e inserire nuova fiduciosa collaboratrice luminosa, mettere gomma, inserire collettore. Mani sporche, forse anche maglione bianco sporco. Dita anchilosate che sto cazz di collettore non si toglieva e ci ho le mani fredde. Persa mezzora, tra acquisto e montaggio".

Vince distributore, minkia.

I colleghi insistono: taci donna, tu non sai. Tu compra, noi inseriamo.

Indi, prendo un quarto d’ora per arrivare al lampadinaro più vicino, entro in uno di quei megashore di ricambi d’auto, stravolgendo un tabù, mai bionda era mai di lì oltrepassata. Ritorno in ufficio e metto all’opera i due baldi giovanotti che respirano la stessa aria petrolchimicata del mio ufficio.

Operazione apertura cofano: minuti otto, per contemporanea ricerca della leva sotto il cruscotto, e del gancio per aprire il cofano (sotto lo stemma!!) che non si trova (sotto lo stemma!!) zitta donna, che so io (passaggio di dita attorno a tutto lo scanso fino a trovare, oibò, sotto lo stemma, il fermo).

Smontaggio faro. Intanto…donna, dov’è il libretto?….certo, delle istruzioni, e cos’altro. (ma guarda che basta che…..) zitta, donna. Trovano il collettore, ma tolgono prima la gomma. Si incastrano col maglione alla cannetta del misuratore dell’olio. Rimettono la gomma, tolgono il collettore. No, anzi, provano.

Dentro ogni uomo c’è un mancato MacGyver. Con tagliacarte, forbicina, cavo usb e modem 56k usato, facendo leva, ponte, e pure un umorismo da scaricatore bulgaro al mercato di pesce ,  provano a togliere il connettore. No, collettore. Mmmm. Si opta per scivolare all’interno della parola, ne vien fuori co(mmm)ttore, e siamo tutti d’accordo.

(ma non è che devi…) zitta, donna. Rimetti la lampadina nuova. L’incastro viene trovato dopo alcune ore, e mirabolanti posizioni sopra il cofano dell’auto. Infine, arriva il sospirato "click"..

Rimettono il collettore. Dimenticano la gomma. Ristaccano il collettore, mettono la gomma, rovescia. Tolgono la gomma, la girano come un calzino (o profilattico doubleface, che secondo me esistono) e la rimettono. E attaccano il collettore.

Donna, accendi l’auto e prova.

Accendo, e il faro si accende. Sguardi di complice soddisfazione, e di onnipotenza maschile.

Costo: sette euro lampadina, indi tre euro di risparmio.
Tempo: un’ora circa, contro i 2.05 minuti del distributore.
Danni: un "crack" non ben definito, sul quale ho deciso di non indagare.
La soddisfazione del vero macho dei miei colleghi: non ha prezzo.

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"….non ha sentimenti, non prova nulla…è pratica, cervellotica, affatto viscerale".

Abbasso la cornetta, e rido. Piacevole vedere come si prendano certi abbagli. Immagino a quanti lettori di questo blog possano conoscermi meglio e smentire l’opinione di questo psicologo della domenica, ma lo comprendo, non sa dove attaccarsi, gli altri due sono apertamente in mio appoggio, ora. 

Peccato che non mi abbia mai sentito suonare. Peccato, perchè avrebbe visto quanto odiosamente viscerale sono, quanto sono felice e disperata, e con quanta passione succhi ogni piccola sensazione dalla mia rutilante vita. Ma va bene così.

"Anna, che ti frega…. è finita."

E’ finita, cazzo. Col colpo di scena. Uno sceneggiatore astuto come il mio destino, che ci mette sempre in dolce e l’aspro in mezzo, anche in questa vittoria.

L’aspro è vedere il mio avversario, l’uomo che ho tanto amato, ….che non è un bastardo. Non è nemmeno stronzo, non ha cattiveria ne’ vendetta ne’ crudeltà, e nemmeno menefreghismo. E’ "solo" completamente fuori, pericolosamente fuori. Duplice personalità, depressione, problemi psicologici…una lista piena di termini quasi giustificanti di tutto ciò che è stato. In sostanza ho amato e odiato qualcuno che manco sa di essere a mondo. E minkia, ci sta, ci sta tremendamente. E’ che preferivo fosse stronzo.

Tutto, tutto ciò che avrei potuto fare, per tener in piedi la mia famiglia, oltre tutto quello che ho fatto allora, sarebbe stato comunque inutile. Ed è stato (ora lo so) un bene, che sei anni fa lui sia uscito da quella porta.

Mi chiedo cosa rimanga del mio "grande amore". Cosa era vero, cosa era illusione, cosa era proiezione di stronzate, di recite da parte di entrambi. Quando una storia finisce, quando non c’è più nemmeno il sentimento dell’odio, ti rimangono i ricordi. E ora, pure quelli vedo rovinati dall’ombra di una…malattia?

"Amore, vai avanti per la tua strada, il passato è passato. Non pensarci più".

Già, ho un nuovo (inquietante!) futuro davanti, con questa storia d’amore che non si capisce che verso abbia preso. Ho questo pensiero nuovo di riavere un uomo un mutande per casa, con tutte le varianti (di legame, non di mutande..) del caso. Ho questa casa tutta "strana", tutte queste abitudini, questi nuovi suoni e nuovi profumi, questo sole diverso che illumina la mia stanza.

Però…. però sono una donna che ragiona solo, che non ha sentimenti, che non è viscerale. E quindi questo blog non posso averlo scritto io….nooooooooooo……..

 

(da domani, cronaca e politica, giuro..)

E’ lui.

E’ lui.

Un corridoio lungo, scaffali, merce varia in bella mostra, cartelli colorati con accattivanti proposte. Annoiata, gironzolo, gettando lo sguardo qua e là, come semi gettati al vento. Sia mai che prima o poi attecchiscano.

Le braccia intorpidite, i tendini dolenti, la stanchezza della mia vita presa, inscatolata, presa da una casa e rimessa in un’altra tutta nuova, una fatica dolce, come quando non mi voglio addormentare per accarezzare ancora il mio uomo, addormentato in fianco a me.

E lì, tutti uguali, siete tutti uguali. Uno più alto, uno più elegante, uno più sbruffone. Ce n’è uno trendy, vestito d’un arancione strafottente… peccato non faccia per me, non ora, non adesso. Non voglio ridere, voglio qualcuno che sappia prendermi, con la forza, la virilità, un animo duro, inflessibile, di ghiaccio.

Insomma, mi van bene tutti, via. Basta sia moro, un mulatto dalla pelle d’argento, un’energia magnetica che attiri il mio cuore, e i miei ricordi. Che custodisca i miei bisogni, i miei capolavori, e l’ebbrezza frizzante della mia terra.

Questo forse si, forse quello lì, quell’altro sembra salutarmi….mah, non so. Poi mi accorgo che….

…..Oddio….. Ma….. Non starà mica guardando me?

Mi volto, no, ci son solo io qui. Allora non è un abbaglio. Gli sorrido. Mi avvicino piano, discreta.
Non mi toglie gli occhi di dosso. Il suo fascino glaciale mi eccita. Mi specchio sul suo animo, lo guardo, è lui, è lui che voglio.

Poso la mano sul suo petto, liscio, ben tornito. Lo sbottono. Lo spoglio, voglio vedere come sei fatto, dentro. Si, sei tu quello che voglio. E sotto…. oh cielo….si…. c’è davvero quello che cercavo. Dentro il tuo abbraccio spazioso ripongo la mia vita, d’ora in poi ti prenderai cura di me.

Forte, virile, duro. E ventilato. Rex, io …… sono tua.

Ho il frigorifero nuovo.

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Ecco. Mi è caduto il governo.

E io l’ho votato. Avevo votato un governo di sinistra (anche se poi sembrava tanto di destra..).

Insomma. Perchè mi sento di dirgli quasi quasi…ben gli sta?…