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……..questo è troppo.
E’ istigazione alla violenza.
Update: ora che so questo, mi consolo. Tutto rinviato al 1 marzo.
……..questo è troppo.
E’ istigazione alla violenza.
Update: ora che so questo, mi consolo. Tutto rinviato al 1 marzo.
Per dire.
Una può avere sette anni di causa con un ex marito.
Può pure non rientrare (unica su 600) tra i precari comunali che verranno assunti entro il 2011.
Può anche avere le fattezze di Barbie e avere una vita sentimentale che nemmeno Willy il Cojote.
Ma questo è troppo. Svegliarsi alla mattina, aprire il mobiletto del bagno e venir investita dalla scatolina dei cottonfioc, che rovinano in ordine sparso sul pavimento bagnato.
Ho bisogno di un esorcista. Possibilmente piacente e single.
1. Fare albero di Natale………………….fatto.
2. Fare presepe……………………….fatto.
3. Piantare moroso……………fatto.
Sono pronta per affrontare le feste.
Quando si dice, non è mai finita.
Gli occhi e le varie membra di cui sono costituita cedono alle nove e mezzo di sera, ma dopo qualche ora, sblam, occhio spalancato al soffitto. La gatta mi guarda per intimarmi di non intaccarla con la mia insonnia ansiosa. Nelle orecchie il rullante di Igor, nel leitmotiv che mi sbatte in testa, 50 ways to leave your lover di Paul Simon. Indicativo, non c’è di che eccepire.
L’aiuto televisivo è micidiale: ribadiscono ogni singola sera che la vita è cara, che non si vive con mille euri al mese, che il precario è un disgraziato, e lì a farti la schedina di quanto costa il pane, la benza, un mutuo, la luce, e il calcolo spettacolare del "quanto spenderanno le casalinghe in più quest’anno", ragionando in cifre attorno ai mille e otto all’anno in più. Due stipendi insomma. Taci che costa di più pure il gas, così si limitano i suicidi da monossido.
C’è poco su cui far ironia. C’è da pensare come farcela.
Libero il frigo per il cavallo, vendo gli organi che non mi servono (tipo stomaco e fegato, ma anche il cuore è nuovo di pacca, inattaccabile…), e passo a lauti pranzi di crackers. Si ma poi? Dove si taglia?
Quest’anno mi volevo regalare la videocamerina digitale. Una piccolina, senza troppe pretese, da un centinaio di euro. Per le recite scolastiche, per le gare di karaté, per i miei concerti. Un vezzo, via. Un vezzo eccessivo, da condannare, ne convengo.
E’ come il telefonino di ultima generazione, il televisore al plasma, il navigatore satellitare, o semplicemente un vestito o un paio di scarpe di marca, cose che personalmente non posseggo e delle quali non sento peraltro necessità, ma che per altri possono avere probabilmente la stessa valenza. I poveri diavoli, che dopo un anno bestiale di lavoro, si dicono "mi premio".
Ero bambina, avrò avuto dieci anni. Per Natale, a totale sorpresa, i miei mi regalarono un walkman. Pesantissimo, con le cuffiette con i cuscinetti rossi. Mio padre aveva finalmente uno stipendio discreto, poteva far fronte a tutto con più serenità, e farmi un regalo "importante".
Ero la bambina più felice della terra. Registravo dalla radio o da Discoring i pezzi che mi piacevano, con un registratore per convegni che mio padre portava a casa di rado, e mentre pranzava correvo a fare cassettine sovrascritte mille volte, per poi restituirlo appena tornava in ufficio. Con, dopo qualche anno, giri di nastro adesivo a tenere insieme un walkman imploso.
Posso dire che al Gabry posso dare ben di più, sebbene la sensazione di non fare abbastanza mi rimane addosso, come l’odore di fritto di un pessimo ristorante.
Faccio un lungo respiro. Ormai albeggia, si apre una giornata diluviante, di un prossimo Natale di incognite, compromessi, e ulteriori tirature di cinghia. Son tornata indietro, daccapo, e temo di non aver scelta.
Dentro di me cerco ottime motivazioni, vie d’uscita. L’unica mia lucina in fondo alla via è pensare che forse posso uscirne, un giorno, e mollarli tutti li e prendere il posto e il rispetto che merito. Ma attualmente, faccio fagotto del mio orgoglio e delle mie aspirazioni, e mi rimetto alla clemenza della corte del destino cinico che decide di me. O forse di una giustizia divina che vuol condannare la mia presunzione. Va te a capire.
Continuo ad ascoltare Paul Simon, e mi dico che obiettivamente…. I need only 1 way to leave my lover. And I know, darling, I know what else…
E’ l’ansia di non fare a tempo. Di vedere una cosa, e di doversi gustare tutto, senza lasciare briciole, che si è pagato tutto.
E ricordarsi di riportare tutto presto, entro tre ore, o sei, o dodici, già domani son tre euri. Dico, tre euri. E se mi dimentico? Mi viene a prendere la polizia, mi fanno un’ingiunzione, mi iscrivono nel registro nero dei morosi, mi appendono per le narici sul cavalcavia della stazione, al pubblico ludibrio.
Odio, prendere un dvd a noleggio.
Per un istante, suonando con gli amici, mi è passata a fianco un pezzetto di serenità.
Giocare con le note, costruire una torre di suoni e armonie una in fila all’altra. E quando crolla un muretto, infilarci un’idea che cementi il tutto, e portare tutto su, più su, fino a chiuderlo in qualche modo. E chiudere, e sorridere, in uno sguardo di intesa, divertito.
La bellezza di suonare sopra un’idea, senza schemi, senza accordi, senza "turni". Tutto per aria, tutto all’estro, al momento, all’idea che passa di lì, al ricordo di note dal passato, ad un passaggio che vien logico nelle dita.
Il nano aveva due cuffie più grandi di lui in testa, dietro al mixer. Mi guardava orgoglioso, emozionato tra le stanze di vetro della radio. Il freddo che batteva in una Padova notturna, arrivare ad una macchina nemmeno mia, e ricordarmi della leggerezza dei miei errori. E di quanto non sappia fare a meno di chiedere aiuto, quando annaspo. La mia fortuna, la mia rovina.
Sniffo un po’ dell’entusiasmo del mio biondo, che parla sempre più lento, mentre scivola nel sonno, cullato dalla strada che scorre sotto l’auto. Io e la notte stasera, abbiamo da dirci un po’ di cose.
Si, è un brutto momento.
L’aria che respiro in ufficio mi strozza. "Tu la stai prendendo male, sta’ tranquilla…."; me lo dicono, e me lo dico da me. E un’udienza si avvicina, e si avvicina Natale, e la scadenza del contratto, tutti insieme. E non la vivo bene, tutta sta minestra piccante che mi si sta rovesciando addosso.
Per anni sono stata bersaglio della crudeltà della famiglia del mio ex marito. Lo sono tuttora, sebbene rincuorata dalle recenti battaglie vinte. Ora, il mobbing in ufficio non mi ci voleva. Non potermi difendere, e non volermi difendere, per non crollare anch’io nel pettegolezzo d’accusa reciproca, perchè "il nostro lavoro è la miglior difesa".
Vorrei il confronto diretto, il coraggio di dirmi le cose in faccia. Mi piacerebbe il ring, il mio carattere lo acclama, ma ancora una volta il contendente non ne è capace, ed è per me più sano e maturo lasciar perdere. A’ voja. Vorrei che mi si controllasse, che verificassero, che mi mettessero un chip addosso per controllare ciò che faccio. Vorrei essere, per una volta nella vita, scagionata dal pettegolezzo invidioso altrui.
Molti anni fa, facevo l’agente di commercio. Un giorno, durante una conversazione telefonica con la sede milanese, mi accorgo di un registratore vocale, acceso, sopra la libreria. Il mio capo di allora voleva scoprire se, come infatti avvenne, mi avrebbero chiesto di licenziarmi da li per seguire direttamente la sede centrale. Subdolo, mi spiava. Presi il registratore, delusa, offesa, e rabbiosa. Misi indietro il nastro, e registrai le due ore seguenti alla telefonata. Un mese dopo, sebbene non ne avessi avuto intenzione prima di quel fatto, accettai la proposta dei milanesi. Non mi fidavo di loro, ma molto meno della mia agenzia.
E a distanza di diec’anni, mi chiedo perchè non ho ancora imparato, ad aspettarmi cattiverie dai colleghi. E a riderci sopra.
Avevo 15 anni. Ero passata in teatro nel primo pomeriggio, per il sound check, il mio primo sound check con un microfono. Avevo un walkman con la cassetta della sagra della primavera di Strawinskij, e mi ritrovavo in mezzo a metallari e punkabestia. Io e i miei libri di armonia, la mia serietà di matricola di conservatorio, chissà come e chissà perchè ero chiamata a fare la Vocalist, c’era scritto così sul pass, Vocalist.
Avevo una camiciola bianca con uno jabeau, un mix tra Prince in Purple Rain e Lady Oscar. C’entrava come i cavoli a merenda. Avevo un gruppo di pop melodico dietro, e il foglietto col testo attaccato al microfono. Non c’è niente da fa’, i testi non m’entrano in testa.
Appena ci chiamano in palco, vedo i due ragazzini tutti emozionati, e il fratello maggiore di uno dei due(autore del testo impegnato..) seduto in prima fila. Io ero in fondo, un’aggiunta. Avevo la mia immagine da bella fanciulla, la voce usciva da sola, era facilissimo cantare, nulla a che vedere con le paranoie del futuro. Tutto era semplice, spontaneo, non c’erano limiti, non c’era nulla da modificare o correggere, alle mie orecchie era come guidare una bici in una dolce discesa.
Quella sensazione mi manca. La mia voce che non fa quel che vorrei, e le insicurezze di un tempo che tornano addosso. Mi ripeto che l’ho già vissuta questa cosa, che prima di sentirmi flauta ho passato le pene dell’inferno, e che quando sarà ci sarà un altro Persichilli a sciogliermi dalle paranoie, a liberarmi dai limiti, dai confronti, dalla paura del ridicolo.
Ho questo peso sullo stomaco, da mesi. Attorno pacche sulle spalle, o facce ignoranti a fissarmi. Io, mio unico implacabile giudice, e la preparazione non mi soddisfa mai. Vorrei fermarmi, dirmi che insegnare mi basta, posso accontentarmi di ciò che ho fatto, di ciò che faccio poco ma bene.
Mi ricordo che sono madre, che dovrei trovarmi un uomo serio e fare famiglia.
Ma proprio non mi riesce. Star lì sopra, a giocar le note, è l’ossigeno.
Ecco. Ho messo quella camiciola da lady oscar, o da prince in purple rain. E le idee nella mia testa tornano a bussare per poter prender forma. Incredibile, la camicia poi, mi va perfettamente. Come se non avessi mai smesso di crederci.
Fissiamo lo schermo del mio portatile. Girano le immagini del concerto di un anno fa, in previsione del rifacimento tra una settimana.
Abbiamo notato un sacco di cose.
Tipo, che con i capelli più chiari sto meglio.
Tipo, che devo spostarmi più al centro sui pezzi in duo, che i leggii mi coprono un po’.
Tipo, che il coro vestito di nero starebbe giusto al posto delle percussioni.
Commenti sul lato musicale? Ostia, non ci abbiamo pensato, Andre!
Buoni propositi.
Non devo litigare col service nuovo. Che cambiarlo ad ogni concerto è problematico.
Devo studiare Volta la carta, prima che sia troppo tardi.
Non devo chiedere il numero al Fisa, che ciò fa di me una zoccola. (Tanto il fisa mi ha dato il suo numero il concerto scorso…).
La prossima volta, faccio le meches più chiare.
E’ così difficile fare la musicista, non immaginate quanto.
Ero un po’ depressa. Ostia, son sempre depressa. Periodaccio.
Emule mi ignora, Messenger tace, il telefono pure. E il nano gioca con Dragonball e la play. Ho la casa infestata da voci giapponesi incazzatissime. iadaaaaa auuuuu andooooo ciaiiiiii.
Pessima giornata per stare a casa.
Poi però guardo in rete, e vedo questo…. e mi dico, cazzo se son figa.
collezionista poliedrica di linguaggi musicali differenti
Bella li.