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Stamattina qui piangon tutte.

Certo, è ciclico, prima o poi piangono un po’ tutti, a turno. Chi si separa, chi ha frustrazioni lavorative, chi ha problemi coi figli, chi di salute.  Anche a me è capitata la lacrima in due occasioni, ammetto. Tre anni fa, quando Fran ha deciso di andarsene con un triplo infarto, e mi hanno avvisato proprio al telefono dell’ufficio. E l’altro mese, in preda ad uno scoppio d’ira e isteria, che capita. Ma per fortuna, io piango di rado. Che poi mi vien mal di testa, mi cola il trucco… un macello, per carità.

Ora invece, per i corridoi c’è un viscidume lacrimale imbarazzante.

Al di là dei problemi, alcuni gravi, ma altri ridicoli, vedo alcuni colleghi accumunati in un piagnisteo che non rende giustizia. E i malcapitati, arrivano lì per un sorridente buongiorno… e vengono mandati all’inferno.

I comunali si passano consigli, numeri di telefono di specialisti. Va molto in voga un fisiatra (di cui, ammetto, ho anch’io beneficiato), uno psicologo, una pediatra omeopata e una farmacista esperta in fiori di Bach. Metà scrivanie hanno boccettine di ogni tipo, bottiglie di beveroni calmanti, e salvaschermi con mantra antistress, foto new age, grandi epiteti sulla generosità e sul "se non mi mandi a trenta contatti ti viene il colera".

Ma ciò che mi perplime… la mania dello psicologo. Del terapeuta. Come se non potessimo fare il culo al mondo da soli. E lo psicologo che fa? Ti dice "sei sbagliato". Uno paga, va lì perchè sta male, e questo più ti dice che sei sbagliato, che hai una famiglia d’origine di merda, che i tuoi figli sono sull’orlo del precipizio solo per colpa tua, e più è bravo. E via, tutti davanti al pc a piangere pensando a quanto si è sbagliati. Che poi, se è sbagliato il mondo ti sfoghi, ma se sei tu quello sbagliato, perchè lo dice lo psicologo, non vuoi impestare la sua tesi con le opinioni degli altri, e ti tieni tutto dentro, piangendo e singhiozzando isolato dal mondo.

"…ma tu devi esser sempre contenta?"

Ostia, no. Non sono sempre contenta. Ma in casa flauta ci si lamenta, semmai, su blog. O ci si sfoga con le amiche. Per il resto, se posso, son contenta. E mi prendo anche parole per questo.

E mi sento una mosca bianca. Anzi… bionda.

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Ieri sera MTV trasmetteva i video anni 80. David Bowie, con un occhio par sorte, gli Wham, con George Michael in minishort pastello, che ci si ostinava a ritenere etero, e Michael Jackson ancora nero.

Giunto il momento di Thriller, ho intimato al nano di fissare il televisore, perchè quello è il re dei re dei video musicali, mica ciufoli. Costosissimo, lunghissimo, ricordo ancora Cecchetto che lo presentava in anteprima italiana a Popcorn. Ostia. E spiego all’annoiato nano di come, prima delle colate plastiche e delle lampade inverse, quello lì era un mito. Che forse solo Madonna e i Beatles.

(chiedimi chi erano i Beatles, chiedimi chi erano i Beatles……)

Il nano si volta, giusto per stima nei confronti di mamma. Guarda e vede subito la scena dello zombie che gorgoglia sangue dalla bocca. Mi dico, si spaventerà. Macchè. Obbietta che gli zombie mica ballano.

– …e vabbè ma è un video. Il più costoso della storia, all’epoca almeno. Eppoi guarda, mo’ si gira e torna umano….

Il gabry mi scruta, lui che fischietta Smoke on the water mentre disegna, vede sua madre indiavolata per un adolescenziale ricordo, e si vergogna. Comprendo infine che siamo di due pianeti diversi, quando declama il suo disinteresse, ed esclama:

– …ha i calzini bianchi. Come DIAMINE ti poteva piacere uno coi calzini bianchi?

 

…mi perplimo. Per il mito crollato. Per il calzino bianco. Per il "diamine" detto al posto di "e che cazzo".

Cronache di guerra

Cronache di guerra

Copioincollo da un blog privato, di un’amica.

Nei telegiornali se ne è solo fatto cenno perché approfondine la cronaca avebbe forse sollevato troppi interrogativi: durante la "civile" protesta di Pianura è stato sequestrato per quattro giorni un paese di 40.000 abitanti, Quarto, cui sono state tolte  tutte le vie di accesso e di conseguenza la raggiungibilità dei beni e dei servizi fondamentali.  Sorte vuole che mio fratello abiti proprio a Quarto e che ieri, liberato finalmente dall’assedio che durava dal sabato sera scorso,  mi abbia fornito una testimonianza diretta dei fatti come non li vedrete mai in nessun telegiornale. Io capisco infatti che altrove si fatichi a capire la situazione, si fatichi a capire come di botto si possa piombare dalla certezza di vivere in uno stato di diritto ad una situazione in cui si è ostaggio  dell’illegalità, indifesi  burattini che servono a dimostrare il potere della criminalità, ad avallare la vittoria dell’antistato sullo Stato.  Ma fate uno sforzo. Immaginate camion con le targhe coperte  messi di traverso e figuri dall’aspetto poco raccomandabile che , con l’atteggiamento dei bravi di Don Rodrigo, non solo ti impediscono di andare a lavorare, minacciando di menarti ma irridono chiunque si avvicini: le signore disperate di non riuscire a riprendere i figli a scuola "Siente siente, a signora tene o’ problema… e qual’è o’ probblema? Ta’ fai a pere. E’ tutta salute.", quelli che hanno appuntamenti di lavoro " Oggi non si lavora, statt’a casa!"  quelli che devono raggiungere gli ospedali perché decidono loro, i bravi, quali ambulanze passano e quali no.  " Gesù, e non l’hai vista a situazione in televisione? E perché ti sei messo mmiezz a via? Ma vuò passà nu guaio?"  E’ chiaro che la "civile" protesta fatta dalle famigliole con bambini, da comitati per la difesa ambientale e benedetta dai preti delle parrocchie, è diventata qualcosa d’altra natura.  Ai commercianti di Quarto viene imposto di chiudere le saracinesche, l’attività didattica a scuola viene sospesa a seguito, pare,  di telefonate intimidatorie che non assicurano la "protezione" di bambini e maestre mentre  al comune, simili telefonate minacciano di lasciare Quarto senz’acqua.  Alcune migliaia di  persone che devono andare a lavorare fuori Quarto vengono letteralmente sequestrate.  A casa di mia fratello, anche lui costretto al domicilio coatto,  arriva una telefonata: " Stiamo chiamando i genitori dei bambini iscritti alla scuola elenentare di Quarto: ci stiamo mobilitando in difesa del sindaco. Il sindaco   chiede l’aiuto della popolazione. " Mio fratello si reca a scuola dove però trova cartelli,   megafoni  e gli slogan "Uniti contro la discarica". 

Ma perché la camorra ha, istigato, manipolato,  soffiato sul fuoco della protesta, condivisibile o meno ma sicuramente legittima della popolazione di Pianura? Perché ha sequestrato il paese di Quarto?  

Non è facile rispondere.  Stiamo tutti facendo ipotesi. Forse son vere tutte. Forse lo scenario sarà più chiaro tra qualche mese tra qualche anno, dopo che le prossime inchieste della magistratura avranno svelato altri inquietanti retroscena.  Di certo la discarica di Pianura non registra semplicemente infiltrazioni della camorra. La discarica di Pianura è stata della camorra finora.  La camorra l’ha gestita prima che fosse chiusa ed ha continuato a utilizzarla anche dopo. E nessuno mi toglie dalla testa che quei camion che sono serviti per i blocchi stradali fossero gli stessi che  di notte la camorra adopera per smaltire i rifiuti illegalmente nella stessa discarica.   La camorra aizzando la protesta contro la discarica ha difeso il proprio territorio: quello in cui da un lato ha sotterrato rifiuti tossici provenienti da imprese di tutta Italia, dall’altro ha costruito case, progettato campi da golf, maneggi e ristoranti.   I rifiuti seppelliti nella discarica di Pianura hanno nomi, cognomi e indirizzi di provenienza in parte già noti, in parte  a rischio di essere scoperti se si cominciasse a rimetterci le mani.   Ma al di là di questo io penso che soprattutto vi fosse l’esigenza di una simbolica dimostrazione di potere, un voler marcare il territorio una volta per tutte e chiarire alla popolazione quali fossero i rapporti di forza e a chi dovessero affidarsi per essere garantiti e protetti.  E’ in queste situazioni che emergono  e si fanno strada  le nuove  famiglie.  E’ nel caos e nella violenza di strada che  i ragazzi incappucciati sui  motorini si fanno notare,  si giocano la loro possibilità di essere reclutati. E’ nella guerriglia che la paranza guadagna gradi e stellette e cerca di salire di grado. Per la camorra l’emergenza è una vera manna, l’ammuina e il caos una benedizione.    

 

                

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Caro Dan,

avevi ragione. Bisognava scappare, come hai fatto tu.

Mollare tutto, lasciarsi tutto dietro, e cercare come si voleva vivere davvero, perchè avevamo sbagliato.

Tu che mi odiavi quando te lo ripetevo accusandoti, della nostra vita di merda. E vedi, oggi che io ho rimesso tutto a posto, me lo ripeto. Ho sbagliato di nuovo, non è questa la strada.

 

Mi manchi te, mi manca l’idea di te. Di quel personaggio obbligato a stare qui, a condividere tutto, ad ascoltare, a risolvere con me, a portare la carretta quando inciampavo. Peccato che non ho fatto a tempo, ad inciampare, che m’eri già sparito.

Adesso che non mi fido nemmeno dei miei pensieri, nemmeno la ricordo più la sensazione di potersi sciogliere senza riserve con qualcuno. Dopo le tue esaltanti pugnalate, dico, sarei un’idiota a fidarmi ed affidarmi a qualcuno. Che poi, per carità, m’hanno accoltellato anche senza che mi ci affidassi, ed è stato egualmente lacerante, ma questa è un’altra faccenda.

E’ che ora ne ho proprio bisogno, di quell’idea spettacolare di marito che m’ero sposata. Che poi non sei stato, certo. Ma se potessi tirar fuori la mia fottuta anima, e metterla lì sul tavolo, e chiederti cosa farne, e dove portarla, sarebbe bello.

Sarebbe bello.

 

Perchè sai, la fottuta anima stava sotto un cumulo di carte. Documenti legali, pratiche dell’ufficio, compiti di terza elementare, testi di canzoni pop per adolescenti. E buoni, ottimi consigli per il mondo. L’ho tirata fuori, e nemmeno la riconoscevo. E sai, il problema più grande è che non so che farne. Non so dove portarla.

Gli anni mi passano sotto come un tapis roulant, e io corro guardando avanti, soldatino tra soldatini, pettinandomi i capelli, scaricando la lavastoviglie, prendendo il caffè alla macchinetta dell’ufficio, comprando acqua latte birra succhi merendine frutta yogurt, l’identica lista della spesa, ogni settimana. La responsabilità della famiglia, quella che tu hai rigettato per la paura, e che io ho tirato su con la rabbia dell’orgoglio, diventando un pilastro d’acciaio, dimenticando cosa avrei voluto, cosa sognavo, dove volevo andare.

La priorità è casa figlio lavoro. “Ah si signore e signori, ecco qui il risultato di anni di studio sulla donna che riscatta il fallimento e dimostra quanto, oh, ma quanto, è brava e affidabile e bla bla”.

La fottuta anima è schiacciata da ciò che non sono.

 

Voglio scendere. Voglio mandarli affanculo tutti anch’io, come hai fatto te. Ho portato la carretta fuori dalla tempesta, adesso voglio ripartire da me.

E che ”me” non so dove l’ho ficcato.  E nemmeno so cosa farne.

 

..e te, te vendi camion. Non lo so, alla fine, chi davvero ha vinto.

..flauta’s boys!

..flauta’s boys!

Giù le mani, inglesastri!  

Eccerto, che se avete conosciuto solo mammoni sfigati, sorry, ma noi italiane ci teniamo il meglio della produzione nazionale, mica sceme.

La volete davvero una spiegazione da esperte? Da vere esperte? Da serie ricercatrici che si son dedicate esclusivamente all’ambito, con dedizione e dovizia, e che possono testimoniarne pregi e difetti?

Eccomi. Mi sacrifico (tzé) per la causa.

L’uomo italiano è bello. Curato, elegante anche in tuta la domenica, mentre lava la macchina. Con le spalle larghe, forti, che brillano sotto le goccioline d’acqua e shampoo tutt’intorno. L’uomo italiano lava anche la macchina della compagna, che sa che lei altrimenti si rovinerebbe le manine. E le controlla l’olio, le cambia la ruota della macchina. La prende in giro, ma in fondo è felice di potersi occupare di lei.

L’uomo italiano coccola, è questo il segreto. E in modi che all’estero manco si sognano.
Ci prepara la cena, quando torniamo stanche, e ci versa il vino. Paga al ristorante anche se non gli abbiamo assicurato di dargliela. Ci porta ovunque, anche se siamo vestite in modo osceno. Mentre lui, lui si veste come gli diciamo noi, con quel maglione arancione che gli abbiamo regalato a natale. Anche se lui odia l’arancione.
Ci mette la crema sulle mani la sera, ci mette in carica il cell, ci sveglia con un bacio e un caffè caldo. E veste i bimbi mentre ci facciamo belle.

E ci manda i messaggini. Migliaia di messaggini. Solo per dirci buongiorno, o che ci pensano.
E le mail, le mail romantiche. Che gli italiani sono romantici. Non tanto da piangere, che a noi i piagnoni non piacciono. Sempre duri, loro. Ma con dolcezza discreta. Loro che hanno hobbies, amici, leggono libri e ascoltano musica ricercata. Loro che hanno una vita impegnata, che tengono la conversazione, che non annoiano mai.

La rosa rossa all’appuntamento, galanterie a cena e passeggiata romantica, certo, ma a letto…..una tigre. Passionari, sanno ucciderti l’anima con un bacio. E rimbambirci per tutto il giorno, dopo una notte d’amore, con le loro carezze ancora addosso.

Altro che insoddisfatte, pfui.

 

…mammoni dite? Ma finitela. Loro fanno apposta. Sanno che il nostro istinto materno è fortissimo, e ci fanno contente, fingendo di dipendere da noi. Siamo tutte mamme chiocce, con i nostri compagni, e loro ci assecodano. E ci amano, senza riserve, con fuoco, con impetuosa gelosia, con completa dedizione.

E lo dice una che s’è sposata uno svizzero, per poi tornare pentita tra le amabili braccia dei conterranei.

Eppoi…. non ci provate. Non ci provate proprio ad offendere il maschio italiano.

Guardate come si sente il mio, adesso….. …brutti cattivi!!

 

Una giornata da invidiosa

Una giornata da invidiosa

Oggi ho letto un post di un’amica.

Caustico, un po’ un vin brulé, che va in testa. E senza pinza poi! (ecco, mo’ avete capito cosa intendo per "caustico").

Tra i commenti, frasi del suo post ripetute, ed epiteti "grande!" "ti adoro!" "stupenda" e blabla.

Ci ho pensato, e ho sfogato l’impeto. E ho riso mezzora!!

(e conoscendola, riderà anche lei….)

Bene. E’ aperta la caccia al post dell’amica, e soprattutto, al mio commento invidioso nel dilei blog.

Al primo che mi riporta la frase esatta, pizza e birra pagata, in mia compagnia. (Margherita eh, non v’allargate).

saggio da prof

saggio da prof

scritto per il blog dell’accademia

Rimescolo le dita, sprofondando in queste poltroncine verdi, a un posto da tutti gli altri. Attorno a me, sguardi interrogatori di parenti festanti, telecamerine, digitali nuove di pacca, nonne trasportate con l’argano direttamente in teatro una volta l’anno. Che poi si va a cena fuori a festeggiare. Ma intanto, mi fissano. Che se va male, è colpa della maestra.

Paleso una tranquillità rasente al menefreghismo. Vado dietro il palco, i miei ragazzi ripassano per l’ennesima volta il passaggio bastardo. Che c’è sempre un passaggio bastardo. Intimo di fermarsi, di rilassarsi e pensare ad altro. Le bimbe grandi vanno di cellulare, per loro è solo l’ennesimo saggio di musica, l’importante è che forse c’è il morosetto in sala a vederle.

Alla fine prendo sempre in giro tutti. Li riempio di raccomandazioni, o meglio, faccio una cernita in base ad ognuno…. mi raccomando l’inchino, prima e dopo. Prendi il la e guardami in sala, che semmai ti faccio un cenno se sei crescente. E dai gli attacchi, per carità, non far come alle prove. E immancabile: divertitevi.

Mi risiedo. Loro tanto nemmeno mi baderebbero. Sanno che ci sono, comunque. Ed è bene che siano loro li, da soli contro i leoni, gli do fiducia e li spingo avanti. Che non dovranno mai dirmi grazie, perchè faranno tutto da soli, e questo è il mio orgoglio più grande. Gli ho dato i mezzi, ora sta a loro.

Ecco. Allora potrei anche andare al bar a bermi uno spritz con abbondanti patatine. E invece sto qui, a massacrare il programma di sala, lo arrotolo, lo srotolo, lo morsico. Controllo quanto manca ai miei ragazzi. Ascolto gli altri, ma non riesco a concentrarmi, eppure dovrei esserci abituata. Dopo anni. Son qua come una scema con le mani che sudano.

Tocca a lei. Entra e infila la parte sul leggio. Nemmeno bada se c’è il pianista dietro di lei. Gli da volutamente le spalle… sorrido. Prende coraggio e guarda la platea. Vede mamma, vede papà, vede la sorella, che le fanno ciaociao. E pensa: ecco, bravi, ma qui sopra ci sto io….ma chi me l’ha fatto fare..
Poi intravede me. Tiro fuori il sorriso più bello del mio repertorio. Le faccio il segno che è tutto okay. Sospira e parte.

Le mie dita scorrono sul programma indegnamente arrotolato, prendo pure fiato con lei, cerco con la forza del pensiero di guidarla nei passaggi tecnici, trattengo il fiato lì, sulla terza riga, dove parte sempre un quarto prima. Due minuti, ma infiniti. Sbaglia. Appena ha due battute di pausa, mentre il piano prosegue, mi guarda e le mando tutta l’energia positiva che mi riesce. Manco fossi una sensitiva.

Riprende. Passa anche sopra il ponte instabile del suo passaggio bastardo. Ce la fa. Finisce.

L’applauso parte, mai tanto forte quanto lo meriterebbe, nel pomeriggio assonnato dei parenti ai saggi di musica. Ma io batto più forte di tutti, e grido pure BRAVA, con la disapprovazione di qualcuno, insomma, non sta bene, solo coi propri allievi.

Corro dietro. Aspetto che le amiche se la abbraccino. Mi vede e mi dice subito "ho sbagliato li, ma cavolo, ho fatto un disastro…" e le ripeto che è andata benissimo, è stata bravissima, spettacolare. E poi, corre da mamma, e non esisto più per lei. Giusto: è merito suo se ha suonato bene.

Un velo di frustrazione, come se avessi fatto un giro di giostra, per un po’ mamma di quella ragazzina di cui penso sempre di sapere e capire tutto, e ora scendo da sola.

Ma non c’è tempo. Il prossimo a suonare ha bisogno delle mie raccomandazioni. L’inchino, l’intonazione, ricordati del si bemolle in chiave. Riprendo il mio programma sgualcito, e torno sulla giostra. 

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Passerò la mia vecchiaia dirigendo un coro gospel.

Che tutte le coriste, di qualsiasi coro, hanno la catenella per gli occhiali da vista.

Che c’è sempre uno con le scarpe marroni.

Che se devi fargli battere pure le mani a tempo, si rischia l’apocalisse.

Che ci sarà sempre un soprano che spunterà dalla mischia negli acuti, facendo insopportabili code solo per farsi sentire dagli altri. Lo so bene, ero io di solito.

Che ci saranno rinfreschi splendidi, e sere di nebbia per raggiungere posti obsoleti e umidissimi.

Che si finirà sempre con Happy Days, come la Radezky per i Wiener Philarmoniker.

Stasera ho fatto un viaggio indietro, sono ancora in loop le immagini e le emozioni di una ragazzetta sfacciata, a gara di chi grida di più.

Me lo merito. Invecchierò, dicevo, dirigendo un coro gospel. Me lo merito, un castigo simile.

il bicchiere mezzo pieno

il bicchiere mezzo pieno

Ho un orecchio tappato. C’ho messo le gocce ma niente.

Ho dimenticato a casa gli occhiali da vista. Nove ore senza occhiali. E con un orecchio tappato.

L’ufficio è deserto. Tutti i sani di mente sono a casa. E io invece qui, senza occhiali, e con un orecchio tappato.

La macchinetta del caffè è "esausta". E non c’è nessuno con cui uscire al bar. Sempre che lo si trovi, senza occhiali. Sempre che non m’investano, che non sento una mazza.

Taci che è l’ultimo dell’anno dico. Fosse il primo, sarebbe tragica.

Scrivete in grande, e forte, che son senza occhiali, e (ve l’ho già detto?) ho un orecchio tappato.