adesso gliele canto

adesso gliele canto

Ecco. A me Rossana Casale piaceva.

Certo, è più un ricordo adolescenziale.

Poi ho sentito  questo*.

 

* attenzione,naviganti tradizionalisti, contiene scat…

*bis, e comunque Anne è il peggior confronto che le potesse capitare, povera.

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Mi son svegliata giovane. D’un tratto non c’erano rughe sul volto, perchè mai ci son state. I miei capelli brillavano, tanto simili a quell’oro di mio figlio. Ero agile, e colma di idee, e energie, e musica che non ho ancora suonato.

E dietro, un carro di ricordi, frasi, discorsi, parole, che mi inseguono da mesi.

Non ho mai smesso di pensarti. Ne’ quando stavo bene, felice, appagata, ne’ quando scavavo il fondo delle mie lacrime, nell’angoscia delle mie ore. Legame insulso, che non ho saputo stringere. Sapere che te ne stai in una clericalissima fossa, scomparso dal mondo senza darne nota.

Penso se anch’io, ora, dovessi sparire come te. Un dolore al petto, e via, signori si chiude. L’età è la mia stessa, il periodo, il luogo, il lavoro, tutto ci accomuna. Tutto, ci ha sempre accomunato.

Troppi film americani mi costringono a credere che ci sia qualcosa che volevi lasciarmi, una strada che volevi indicarmi. E’ che sono presuntuosa, non ascolto.

In quei giorni mi passava accanto una musica di Battiato, che mi straziava come fosse la tua promessa, di starmi accanto, anche se te ne andavi all’inferno. Quell’essere speciale, che mi ero dimenticata d’essere. Quell’amare la testa, e le mie contraddizioni, e le mie perversioni. Come se dell’incarto non ti fregasse nulla, in continua sfida con la mia intelligenza. Quell’intelligenza che amavi, quell’accanirsi in querelle inutili, in cui cercavi di farmi cadere.

Mi son svegliata giovane. Ho compreso stamane che ho la tua vita da vivere. E 34 sono abbastanza per non voler più perder tempo, con la strada, il lavoro, l’uomo sbagliato. Non una ruga, solo spine nell’anima che voilà, tolgo, e non vedo più il segno. Ho una copertina che si sgualcirà, ma ho altro, che giace sotto la polvere, per pigrizia, e devo investirlo, impiegarlo, gettarlo in mare e aggrapparmisi, ora che tutto affonda.

"Diffida, di chi saprà solo amarti".

Adesso chiudo gli occhi, e cerco di ritrovare il tuo ultimo bacio, con le vertigini, alla stazione. Guarda che hai promesso… non voglio più invecchiare.

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Le immagini della sua città fuori dal finestrino, e l’ansia che le aggroviglia i visceri. L’autista del taxi non dice una parola, nemmeno la radio a metterla a suo agio. Un notiziario monocorde cerca di rapirle i pensieri verso il presente, ma la sua mente si ribella. Via, via di qui, alla svelta.

Lo svincolo dell’aeroporto, quattro banconote al taxista e appoggia lo stivale sul marciapiede. Una borsa con un cambio, la bretella rigida  le tira i capelli, intrappolati nel velcro, il pesa sulla spalla. Entra nella hall, cerca indicazioni per il check-in, sistemandosi la giacca per sembrare quantomeno a suo agio, se non presentabile. La hostess confronta la voto del passaporto col suo volto, lei alza il volto e la fissa, con sfida. Voglio starti sulle balle, si, così non mi dirai nulla, niente conversazione, niente "buon viaggio". La hostess aggiusta il foulard, fa saltellare sulla tastiera di un pc due dita dalle unghie laccate pacchianamente, e contraccambia l’acidità riducendo al minimo i verbi. E con sdegno, glielo dice, "buon viaggio".

Acquattata accanto al finestrino, non legge nulla, non ascolta nulla, ebbra dei suoi pensieri, delle sue visioni. Deve trasformarsi in quel vetro satinato, impenetrabile, oltre cui non passa nulla. Il vuoto, la rabbia, il desiderio di piangere e gridare, disperarsi, tutto rinchiuso in una scatola sigillata, a prova di implosione.

Vi prego non chiedetemi nulla. Lasciatemi guardare la mia vita laggiù, sparire in cumuli di fumo e nuvole.

Il vuoto d’aria dell’atterraggio, una leggera scossa d’adrenalina che ha sempre messo una lama, tra un addio e un rieccomi. Il primo sms, sono fuori al parcheggio, Suv azzurro, fai presto.

Si guarda attorno, come se il mondo la vedesse, sapesse, la fissasse. Come se un’immensa etichetta le fosse cucita addosso. Raccoglie le sue legittimità, strafottente, vede l’auto. Può tornare a casa. Tenersi un briciolo di dignità, maturità, fedeltà. E ci pensa, si che ci pensa. Ma il passo rimane deciso, nessuna incertezza.

Bussa sul finestrino, sorride. Basteranno poche ore, e quelle mani addosso non daranno più fastidio, quei baci saranno più convincenti, la risata di circostanza sarà più convinta. Basta rilassarsi, perdiana.

Aprendo gli occhi, un soffitto colorato, di mille camere d’albergo tutte uguali, da questo a quel lato del mondo. L’odore di buon sesso che scivola via sotto la doccia, acqua purificatrice che segue il contorno del volto, a lisciarle i lunghi capelli, ad accarezzarle i fianchi. Le domande fanno capolino, chiedono, urlano, voglion spiegazioni, ma son cacciate via. Il volto struccato le mostra la versione delle sue vendette, di cui solo il suo orgoglio verrà mai a conoscenza.

Sale in auto, sai ho un convegno, un’importante riunione, davvero sono già in ritardo, ma ti chiamo, eh, ti chiamo. Lei finge di credergli, e anzi, spera che proprio non richiami. Lo vede in lontananza, togliersi un capello dalla giacca, e fissarne ogni altro lembo, che non si sa mai. E sorride, che quel gesto lo ha visto fare da tutti quelli con cui aveva condiviso un’ora d’amore.

L’hostess le sorride, bella giornata eh? Le risponde il suo sguardo, con sottotitoli chiari: fatti i cazzi tuoi.

Risale sull’aereo, guarda fuori, ancora. Fine della parentesi, si riprende la solita vita. E tra le nuvole, si risveglia dal limbo delle sue vendette. Prende una rivista, la sfoglia, respira. Un sospiro che getta via le tensioni, l’antipatia. E nello stupore dell’ennesima hostess, si scopre ad esclamare a gran voce "..ma come cazzo si fa a comprarsi un suv azzurro….".

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Stamane non so mica cosa scegliere.

Potrei parlarvi di Tiromancino e dei suoi testi in ente, escluso perchè Sanremo, ah no Baudo, ah no, la casa discografica, ah no il mio fornaio, han deciso che no, ma anche si, e non ho ben capito se canta da indipendente e cosa significa indipendente. Mi chiedo se le Edizioni Paoline possano prenderlo su per l’occasione (sempre festival di Santi è). La cosa bella è che Povia è stato sifonato, coi suoi glu glu e oo e sto per di balle.

Potrei esprimere la mia ammirazione a Isabella Ferrari, che s’è messa a fare una scena di sesso da 4 minuti, inclusa la sodomia, con Nanni Moretti. Con tanti bei giovanotti che ci sono in giro. Se voleva rinnovarsi il personaggio, poteva fare un ruolo comico, che sembra sempre ad un funerale.

Potrei anche soffermarmi sul fatto d’esser sodomizzate da Nanni Moretti. Ma nemmeno nelle mie fantasie più perverse, e dico, arrivavo anche a Travaglio (il caporale ricorderà).

Potrei raccontarvi di "torna a casa Lassie", ma sarebbe ripetitivo.

E invece no. Parliamo del mio raffreddore.

Ho il raffreddore, dicevo. Starnutisco, mi soffio il naso, prendo medicine e metto la cremina sotto le narici, prima di diventare un clown. E ristarnutisco. Ho gli occhi pesti, la stufetta accesa, ma con abbondante colla vinilica (e uno strato di trucco che nemmeno la cappella sistina) sono quasi a nuovo. Se non starnutisco (che poi mi vien giù l’intonaco) e parlo con voce suadente, nemmeno si nota.

Non sto sufficientemente male da stare a casa, non sto sufficientemente bene per fare un ragionamento vagamente logico. Quindi oggi, abbiate molta, molta pazienza. E ditemi sempre di si.

Una flauta in pretura

Una flauta in pretura

Ecco. E’ così, uguale uguale al tirocinante di Dr. House. Solo moro, e con due occhioni verdi da paura. Elegantissimo, altissimo, agitatissimo. Continua a girar e voltare e correggere degli appunti disordinatissimi, a cercare conferme nel codice penale (edizione aggiornata al 28 dicembre 2007, con il decreto per le espulsioni, che qui si vuole il meglio), a girare isterico una penna. Si alza, si toglie la toga, esce, fuma la siga, torna, si rimette la toga, si risiede, torna a passeggiare, guarda fuori, sbircia tra le cartelle del pubblico ministero, si guarda attorno.

Mi farebbe tenerezza, povero pulcino, se non fosse il mio avvocato.

Si insomma. La mia matrimonialista è una donna bellissima, aggressiva ma suadente, comprensiva ma dura. Mentre il mio penalista ha bisogno di dosi di valeriana, e autostima.  E, diciamolo, un paio di palle.

Per dire, è forse l’unico caso in cui vorrei a fianco a me (nell’aula di tribunale) un uomo che non mi scoperei mai.

– …peccato– mi sussurra –  giudice uomo, PM uomo… con una donna era meglio.

Lui pensa al fatto che, in casi simili, una donna sta dalla parte della mamma e del pupo. O forse, che i suoi begli occhioni auspichino una positiva risoluzione al caso con una dolce donzella come controparte.
Di mio, penso che le donne sian più stronze a prescindere, ma tant’è.

Al fin della fiera, il giudice chiama imputata (ostia) e querelante (l’ex marito), e relativi avvocati, al banco. Sollecita (con un discorso encomiabile) la fine delle ostilità e il ritiro di ogni denuncia, per scongiurare un processo che aizzerebbe nuovamente gli animi.

Ovviamente, quel fenomeno del dispensatore di sperma (che chiamarlo padre di mio figlio mi sembra eccessivo, n’est pas?) ha ovviamente negato il consenso (vorrebbe i danni morali… lui… povera stella). Il giudice vuol comunque concedergli tempo per riflettere (e pepe sul culo con l’avvicinarsi delle altre cause..),  anche se in cuor mio penso voglia vedere una mia mise primaverile, ma questa è un’altra storia.

Avvocatino penalista? un occhio della testa, con Mastercard.

I commenti dell’ex marito convinto che mi trombi l’avvocatino ?……. non hanno prezzo.

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Sono il braccio teso, quando nella salita scivoli nel fango, e non riesci a prender equilibrio.
Sono l’asta di un acrobata, che sopra il filo riesce a trovare il baricentro del suo mondo, rovesciandomi ora qua, ora là, in direzione opposta al suo corpo.
Sono il bracciolo della poltroncina di un aereo, su cui infilare le unghie al decollo, e ad ogni vuoto d’aria.
Sono il fermo delle montagne russe, che ti raccoglie e protegge mentre gridi d’adrenalina.
Sono il corrimano che segue il tuo cammino, il tapis roulant che ti porta avanti comunque, lasciandoti riposare.

Sono l’àncora che ti tiene saldo, durante la tempesta.

E che taglierai, appena il mare sarà calmo, lasciandomi dimenticata nell’abisso, nuovo appiglio dei coralli.

Ma sta bene. Farò un business, con le collanine.

 

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Nel proliferare di commenti sul governo che ieri "s’è svampato, signò", che la blogsfera è comunista ma anche no, ma anche si,  voglio solo segnalarvi il commento, di cuore e stomaco, del messere. E il resto è fuffa.

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Capisco. Ma vedi, non riesco, davvero. Riprenderei, anche perchè mi rendo conto, Mauro deve mollare gli allievi che si è tirato su in questi anni,  e trovare in due giorni un nuovo docente è un casino. Diamine, son grandi poi, c’è soddisfazione, ma non me la sento, poi… Poi dove li metto? Già ho l’orario pieno, finisco dall’ufficio di corsa e corro qui a scuola, poi mi esaurisco come anni fa. In fondo, non sono i soldi l’importante, lo farei perchè ogni allievo nuovo è una fonte di sapere per me per prima, un’esperienza splendida, sempre diversa… si ma no, eh no, non posso proprio. Scusami, ma sai, ho gli allievi di canto, voglio dedicarmi solo a loro, poi insomma, dove li metto, poi finisco di insegnare a notte fonda, e ora che torno a casa, e poi la mattina devo andare a lavorare. In fondo, ho mollato le altre scuole apposta, non insegno più flauto apposta, è una scelta logica, perchè poi mi distruggo. Si insomma, mi dispiace ma non posso. Non posso proprio. Guarda, davvero, non se ne parla nemmeno. Non insistere perchè non esiste.

Ecco.

 

 

 

Io sono leggenda.

Io sono leggenda.

Insomma, l’ho visto.

Il film merita. A patto di non tener per mano l’innamorato, che ad ogni scena forte ti stritola le mani. Ho perso sol e sol diesis, per dire.

Per la trama, con scontate americanate paurose, ma anche con molti tratti riflessivi. Lenti scenici senza commenti se non il discreto gesto colmo di significati del protagonista. Niente esasperazione, niente inutili spiegazioni o indizi.

Per la fotografia, indubbio. Spettacolare lo scenario del ponte spezzato, e del rimando a metà film.

Per il protagonista che piange ogni tre inquadrature, dando un’immagine di eroe come noialtri, senza sembrar Rambo. Per il cane, che il cane fa audience. Come la figlia piccola. Come l’idea del "io solo sul pianeta, a salvare il genere umano", che manco Mazinga.

Per l’azione, arriva con un serio boato e investe la platea: da vedersi al cinema, insomma, senza aspettare il Blockbuster, che nonèlastessacosa. Possibilmente, dicevo, senza tenersi per mano. Se ci tenete al sol e al sol diesis.

Si vabbè. Sulle americanate dovrei però soffermarmi. Che sembra mezzo da Kubrick e mezzo dal sceneggiatore di Beautiful.  Però tutto passa.

La scena Must:

Will Smith che fa addominali alla sbarra. Platea femminile che gemeva in coro. Penso. Io stavo venendo… Ehm.

El Caigo.

El Caigo.

Dalle mie parti si chiama così, la nebbia fitta fitta. Chilometri di muro bianco appiccicato al parabrezza, l’IPOD con cui ripassare i cori e Cicci che mi parla a ruota libera. E’ spettacolare, il Cicci.

E’ un bel gruppo questo. Di certo c’è Tommaso, che dà il tocco di classe, io faccio da bambolina, e il quarto è Luca, che imbarazza con la sua sbadataggine. In sostanza ci sarebbero anche i numeri, se solo si riuscisse a pulire il progetto, a rifinirlo, a prepararlo a tavolino. Ma i musicisti son tutto meno che organizzati, come disse qualcuno "hai gli spartiti come sottovasi", non si può certo chiedere di più.

"Ma sai, son venuto senza toccarmi. E la sera son andato con una per paura di esser in piena crisi da eiaculatio precox, e con lei niente, dopo un’ora mi son stufato". Un po’ mi scappa da ridere, ma l’argomento è serio, perdiana. Nulla di meglio di sparlar di sesso con tre amici prima di un concerto.

Mi sento un po’ mamma, anche se ho diec’anni di meno. Il soundcheck fatto malamente, e qui in palco si sente un boato di percussioni e campioni sparati a mille. Facciamo il toto-tonalità ad ogni pezzo, ridendo, come fossimo nel salotto di casa mia e non dentro un concerto.

E non finisce mai. La mia mise squisitamente "figlia dei fiori di famiglia bene", con le famose scarpe alte dorate che a ballarci due ore ti stroncano i polpacci, e mi sento molto patty pravo al piper. Son gasatissima per l’effetto che ho comprato stamattina. Mi sento elettronica, una flauta elettronica. Il delay, il uaua… sembro un quindicenne che prova il distorsore della chitarra per la prima volta. Sembro scema, okay, è il termine giusto.

Mi sto disintossicando. Non l’ho chiamato ne’ prima del concerto, ne’ il giorno dopo. Un weekend di astinenza da compiti, da raccomandazioni, pranzo e cena da imbasdire, lavatrici da far andare. Ho tirato il freno a mano, e non c’è la parvenza lontana di un senso di colpa…. sto guarendo dalla mammite.

E per il resto…. il resto è scrivere sapendo che ogni parola può ferire. E vedere un’auto nascosta nella nebbia, che mi spia. Potrei far becero sarcasmo, ma a che pro? ….