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A noi non ci manca nulla

A noi non ci manca nulla

Abbiamo caricato le valigie con cura, lasciando a casa gli sguardi invidiosi e rabbiosi della nonna di sotto. Come ladri in casa propria, in fretta, senza voler incontrare, dare spiegazioni, ‘che non ne dobbiamo a nessuno.

Abbiamo caricato le bici, perchè nulla è impossibile, anche se il vicino mi ha dato della wonderwoman solo perchè mi ostino (ostino?) a fare tutto senza necessità di un uomo. Che caricare due bici non è così impossibile.

Abbiamo viaggiato, sotto il sole, con calma, controllando di non perdere pezzi. Abbiamo passato le frontiere, abbiamo riso e sorriso. Qualche sasso sullo stomaco, ma non pretendevo certo mi passassero in otto giorni.

Siamo scesi a Medulin, abbiamo scaricato i bagagli e via in bici, a scoprire quel mare, a ritrovare ambienti dal gusto familiare al mio cuore. Abbiamo metabolizzato di essere in ferie, ferie, ferie di giugno…stupenda idea. Ce lo possiamo permettere? Bah, ci pensiamo al ritorno.

Il sole brucia, ma la birra è freddissima e scivola giù, la pelle diventa scura, non mi trucco più. Ho dimenticato gli anelli a casa, chissà, forse voglio dimenticare legàmi…
Tu sguazzi in mare, sarà a trenta gradi, ce ne andiamo con lo snorkel a inseguire i pesciolini, il mondo ovattato stando sottacqua..piano piano la tensione si allenta. E non penso, non mi frega nulla di pensare.

La sera arriva in un tramonto caldo, e posso leggere senza fastidi, mentre la spiaggia si snellisce di gente e di ombre (quelle dentro), bruciate entrambe dal sole impietoso, e benefico. E’ stato lì a disinfettarmi la pelle dai baci sbagliati, dalle carezze d’interesse, dalle parole inutili e cretine di un uomo altrettanto. Dopo la doccia, il mio cucciolo mi metterà una candida crema che placherà il bruciore, immancabile, degli amori che svaniscono.

E mangeremo sul balcone, e passeremo la sera in giro in bici per il porto, mi vesto di bianco e mi faccio bella per te, che piccolo fidanzato mi tieni per mano orgoglioso. Che gli altri ci sembrano sempre così tristi e banali, cavolo. A noi non ci manca nulla.

Stasera ci mangiamo un bel gelato, poi a casa guardiamo la partita, sul divano, gridando e ballando intorno al tavolo ad ogni gol (e te che ridi, che ti sembro ridicola, eh?). E io ti abbraccerò forte forte, forte forte.

Stamattina ti ho svegliato, siamo a Mestre, tu hai il centro estivo, io la mia scrivania d’ufficio. Ti ho chiesto se vuoi il latte, il cacao, i biscotti…colazione insieme, cavolo, qui si può fare ogni mattina. Che vuoi gioia, allora?

– ……………Ho voglia solo di mamma.

 

l’abbraccio

l’abbraccio

E’ solo l’ordinaria amministrazione. Ma il gusto, quello è di appartenermi.

Seduta in mezzo alla piazza, in terra, davanti i Nossa Alma, a regalarmi la migliore musica brasiliana che Piazza ferro ricordi. E Rosa, Rosa ha una voce meravigliosa. Mi chiedo perchè si ostini a voler far l’architetto, mi chiedo perchè la buona musica non dia il pane quotidiano a nessuno.

La torre, i negozi, la brezza tiepida, la sfilata di leggiadre fanciulle esplose dal caldo, da qui in terra sembra una sfilata di scarpe. Non avevo proprio voglia di vederlo. Sto qui, e mi accorgo una volta ancora che è tutto cambiato, che sto bene così, senza aver fissa dimora per il mio cuore. Leggera, mi sento leggera.

Tra la gente, mi si avvicina il suo sorriso conosciuto, lo riconosco sempre, anche stavolta. Incontri casuali, quinquennali, e il download delle rispettive vite fatto in poche parole. Che io ti amerò sempre, che te mi amerai sempre, assieme ai quindic’anni che avevo, assieme alla cazzata fatta a venti, assieme all’averti avuto li, al mio tavolo di nozze, e a questo tuo splendido dirmi "te non cambierai mai…". Che non servono parole, mi basta il tuo sorriso, senza se e senza ma.

Bello. Bello ascoltarli. Si accorgono di noi, a turno mollano l’accordo per farmi gesti, mandan baci al Gabry. Senti questa, mi mimano. Si sente la voce? Si…Si sente perfettamente. Sembrate un disco.

E’ un abbraccio. Di case, di strade, di vetrine. Della luce del solstizio d’estate, delle rondini, dell’odore della pizza al taglio all’angolo, la erre arrotolata delle belle donne che passano, la calma zen del mestrino, e l’acustica tutta speciale di quest’aria. E conoscersi tutti, e diventare amici in due minuti.

E’ un abbraccio. La mia città mi riprende, dopo avermi lasciata altrove a vivere. Ha tenuto il posto, e ha lasciato le mie cose com’erano, aspettando che la ruota girasse. La ruota è girata. Arrivo.

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E’ andata anche quest’anno.

Ultimi giorni di prove ravvicinate, crisi isteriche delle cantanti, amnesie continue dei musicanti, il tipico "prooooooff …..ma il finale di…com’era?", "il ritmo di …è unz stapatunz stapatunz o unz unz stapatapa unz?" "prof, ma allora è in C o in Bb?…ah, Bb. Ma il primo accordo rimane C?…."

Corbellerie. Rimbecillagini. Ma per me sono adorabili. Dubito che li in mezzo ci sarà il Pastorius del futuro, ne’ che si formino i nuovi Pink Floyd, o che ci sia anche una scanchenica Pausini. Ma erano belli.

Tutti belli vestiti grunge, con quel panico totale da concerto che io, mannaggia, ho dimenticato. E un po’ mi manca, lo stomaco arrotolato e l’adrenalina che condisce tutto di luce speciale. E li, ognuno in un angolo, usando lo stipite della porta per ripassarsi la parte del piano, o le chitarre non amplificate che pigolano sorde dal camerino. E le cantanti, ah le mie cantanti, troppo impegnate a tirarsela per ripassare le parole, che pretendono di tenersi il "foglietto" in mano sul palco…

Alle otto prendo tutti e li porto a mangiare, tutti insieme. Si deve fare gruppo, mi dico, poi sul palco verrà meglio. Quest’anno si rischia molto molto di più, è tutto per aria. Basterà ch’io mi metta a dare gli stacchi nascosta dalle quinte? Basterà far segni inequivocabili a chi è fuori di qualche quarto?
Basterà un’ave e un pater?…

Stanno lì a mangiarsi la pizzetta e l’acqua naturale ("niente bolle e roba salata, state leggeri"), mentre Andrea , sparando barzellette sul Presidente e gli altri prof, non rinuncia al Kebab: qualcosa di leggero, appunto. Lo so che è più teso degli altri, non è che a quarant’anni uno non ha la stessa strizza che a 16.. e reagisce così. So che ci tiene. Li conosco tutti, mannaggia. Ognuno ora va lasciato stare, o dissacrato, pungolato, incoraggiato o snobbato, e darà il meglio. Io ho solo il compito di dargli sicurezze, sorridendo, trasmettendo calma e ordine.

Dietro il palco, li raduno intorno, riguardiamo la scaletta che ho appeso, qualsiasi cosa succeda sorridete da fighi, e seguite me, seguite sempre me, io sto qua dietro, mi vedete?…se vi perdete sono qui.

Tanta merda a tutti, e via su. Mi tenete lo stesso riff..e io parto a presentarvi. E lo faccio a mio modo, la straccio da morire, per farli sentire meno in ansia. Li prendo anche in giro…si smollano.

Partono i primi pezzi, le cantanti e i cori vanno incredibilmente bene. Nei momenti di panico mi sbraccio dietro la quinta che mi nasconde al pubblico, dirigo a mo’ di vigile in mezzo al traffico, e pian piano ne usciamo. I miei allievi poi, dopo qualche anno con me, son diventati tigri del palcoscenico, e reggono anche la giovane band, la trascinano, la stimolano. Qualche bel blues, le ballad solo al piano, e la grinta delle mie fanciulle, instruite in classe a scontrarsi con me, non han più paura di nulla. E non stonano una nota, mitiche.

Alla fine, li ripresento, tutti sul palco. Elisabeth mi prende il microfono, e mi dona un mazzo di fiori enorme, dicendomi che sono una stronza colossale, ma che ho tirato fuori il meglio da loro. Il meglio. E che sono la migliore. E tutti applaudono, e pure la band, che loro li ho seguiti solo in una settimana per la defezione dell’altro prof, e si son solo presi parole da me, sono li pure loro a chiamarmi in coro. Mi sto commuovendo, cazzo.

E la sera, tornando a casa nella mia macchinina, col Gabry addormentato dietro, mi dico che non sono un granché. Ma quel granchè sembra basti a costruire qualcosa per gli altri.

Ora mi ricordo perchè non riesco a smettere di insegnare.

e tu, come la mangi?

e tu, come la mangi?

Ah, i miei titoli.
Nascondono l’anima da pubblicitaria che c’è in me.

"C’è un frutto che, se lo tieni su è verde, se lo butti giù è rosso" mi disse mio padre, commentandomi quel giorno che, tornando dalla spiaggia, avevamo preso un’anguria… e io bambina insistevo per poterla portare da sola. Mio padre mi spiegò la gravità in modo cromatico e originale.

Mi son sempre chiesta perchè diamine dovevamo tornare sempre a pranzo a casa dalla nonna, invece che stare in spiaggia. Era il Lido di Venezia fine ’70, ci mettevano magliettine aderenti un po’ androgine e pantaloncini corti da calciatori. Immancabili le ciabattine di gomma. Per strada era tutto un ritmo di ciabattine strusciate sull’asfalto. Alzare i piedi no, troppa fatica.

Per strada non c’era un’anima, l’asfalto che ti rimbalzava il caldo, la sabbia sulla pelle, il profumo del litro di doposole messo sulla schiena. Ci si scottava sempre, la schiena.

A casa, nel salone austroungarico della nonna, c’era sempre un riverbero da cattedrale. La tavola preparata con tutti i tipi di forchette esistenti, il sopracciglio disegnato di mia madre che s’incurvava severo se tagliavo la carne troppo grande, se bevevo facendo rumore, se non finivo il piatto. A me non piaceva per niente mangiare.

Quando papà tagliava l’anguria ero tutta contenta: una fettina piccola, sempre uguale, nonostante io crescessi, era sempre valido il rapporto femmina-fettapiccola, maschio(peraltromaggiore)-fettagrande.

E lì, con la punta del coltello, si sezionava il frutto: ogni semino, pure quelli bianchi, tutti tolti. Tagli un pezzettino, e metti in bocca con nonchalance. Se mi cadeva sulla tovaglia, che l’anguria la bastarda scivola dalle mie piccole dita, mamma gridava, ceffone e quant’altro.

E tagliavi, a cubetti. Papà tagliava invece tutta una fetta orizzontale, toglieva solo i semi neri. Nonna tagliava tutto a semiluna, quasi un architetto dell’anguria nonna, eppure era una pianista.

Era proprio piccola, la mia fettina. Peraltro, nonnafla era pronta a riprendermi se grattavo un po’ il fondo, che il bianco fa venire il mal di pancia. Il verde poi…

Il verde poi cosa?? Cosa diamine succede se si mangia il verde?

Poi correvo nel salottino, a guardare i cartoni animati, e mi sedevo sulla sedia a dondolo della nonna, senza farmi vedere. Che probabilmente mi avrebbe fatto ingoiare il verde se m’avesse vista. Chissà cosa c’era di tanto vietato, però bastava avermi detto "non devi" che io facevo. Ubbidire senza capire "Perchè no", era inconcepibile.

Ora l’anguria te la preparano tagliata, a cubetti. Ci lasciano gli ossi, e al ristorante si mangia tutto e si sputano gli ossi, prima sulla mano e poi sul piatto. O si lanciano direttamente al cameriere sputando.

Ah, se mia nonna vedesse. Gli farebbe mangiare il verde.

gelatina

gelatina

-..hhhhhaaaaaaaaai fatto un’ottttttimo lavoro!!

Il pc di Gabry continua con la kermesse di ogni elogio conosciuto nella lingua italiana, con sottofondo di birilli che crollano. L’autoradio di contro gracchia richieste di canzoni improbabili, passano Disco Inferno almeno cinque volte in un’ora. Gabry è convinto lo canti Shrek.

Alle spalle una domenica bellissima, con un amico di quelli veri, e con la volontà di non pensarci, ai miei casini. Solo gita turistica, risate, curiosità, e qualche capriccio del principe, lui che assorbe tutto quello che accade, nonostante io cerchi di parare ogni rigore tirato dal destino.

Stamattina ennesima guerriglia urbana al piano di sotto, ma poi via, valigia in macchina, si va dai nonni. Per quel che sopporterò i nonni.

Sotto i piedi gelatina, attorno l’afa di quell’ansia di non aver soluzioni.
Ti ritrovi li e…niente, aspetti. Come la coda in tangenziale, prima o poi finisce, mi dico. Gli stoici sette anni di sfiga prima del positivo, la primavera dopo l’inverno, il sole dopo il temporale, e tutte quelle cacchiate alla Osho che ogni tanto fa bene ricordare.
Nel frattempo, ecco che m’ero saltata un capitolo, che si fa? Si vegeta? Si fa finta di nulla e si va avanti?…ah, okay, bon.

Faccio un sospiro. Mi stringo la mia valigina, il flauto in spalla, il mio cucciolo per mano, e proseguo, facendo attenzione a dove metto i piedi. Mi hanno detto che un giorno comincerò a fidarmi, di qualcuno, ancora.

Decisamente…oggi meglio di no, va.

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Lo chiamo, e gli do’ il la. A 442, ovviamente, che urla talmente che risulta sempre un po’ crescente. Chissà perchè i papà al telefono hanno un volume talmente assordante…

(fla, che sia perchè il tuo è abituato a tua mamma, che è sorda? eh? eh? )

Come stai, e "il picolo", lavoro, scuola, ah beh, ma tanto qualsiasi cosa io dica non mi ascolta.

-sai, in ufficio una gran baraonda, mi han cambiato incarico…
-ah.
-ho ancora gli ultimi saggi delle scuole ma va abbastanza bene e…
-ah.
-venerdì ho un concerto qui e….
-ah.
– poi speedy gonzales mi ha rubato la bici dal frigo, taci che c’eran saddam hussein e i cugini di campagna a cena e l’han fermato a badilate…
-ah.

Uff. Vabbè, poi mi parla dei cavoli suoi, e le tubature rotte, e ho fatto lucidare il tavolo, e tua mamma ha fatto il controllo del diabete…a proposito, ho portato il portatile a sistemare, mi hanno detto che devono spedirlo in assistenza, così domani vado a Milano.

Eh? Io mi son fermata alle tubature rotte (rotte dove, papà?) e questo mi dice che va a Milano?

Invece che farlo spedire dal negozio, lo porta lui. Che preferisce dar soldi alle FS che al negozio. Prende l’intercity (anzi, l’ha già preso stamattina), poi un pullman e porta di persona il portatile in assistenza. Presumo pure che tra 20 giorni se lo andrà a riprendere.

A me sembra incredibile, il mio super papà.

Così, mi andava di dirlo.

eccolo qui, piccolo bastardo!! parla! dove hai nascosto la bici!

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Mi ero messa la mia maglietta preferita, quella con su scritto "blondes do it better". Ero appena tornata dal giro in bici con metà paese, quello che organizzano una volta l’anno, mi chiama tua figlia, e in effetti di cucinare facevo volentieri a meno. Che io non lo so bene se lo sappiate che vi adoro.

Un vento gelido che si prende gioco dei miei capelli sciolti, i nostri figli che giocano, i tuoi cani che ci corrono intorno, e noi che passeggiamo per i campi attorno casa tua. E tu parli, parli. 
Di solito ero io che parlavo. Io che ti riassumevo la mia vita, aspettando da te una parola di conforto, che la mia incredibile ammirazione avrebbe tradotto in verbo da seguire.

Ah diamine, se ti ammiro. Tu che guidi un autentico zoo, in perfetta armonia; tu e la tua incredibile creatività, tu che conosci ogni pianta, tu che allevi senza problemi ogni animale, tu che sai la soluzione a tutto. Ogni piccolo particolare lo trovo ….affascinante. Vorrei, eh si, vorrei tanto essere come te.

Faccio un po’ l’esperta, mento, l’addestramento cognitivo, e Parelli di là, e i maremmani di qua. E ti ascolto: mai quanto oggi hai voglia di parlare, di sfogarti, di far confidenze, di stare a tuo agio…di star bene. E io mi gonfio d’orgoglio, ti fidi di me, la tua dimostrazione d’amicizia mi fa sentire importante.

La sera andiamo a ballare, ti lascio tranquilla un po’ e porto i bimbi sulle giostre. E sei bellissima quando sei in pista, a cercar d’imparare quel passo nuovo, tirando giù la maglietta in continuazione, come per nascondere dei chili di troppo che non hai.
E organizziamo le ferie insieme, per i bimbi, per i cavalli, per noi. Non potrò mai dimenticare ciò che hai fatto per me, mai, vorrei tanto fartelo capire…te che hai asciugato le mie lacrime, che mi hai protetta, che mi hai fatto capire che avere una famiglia normale è possibile.

"Lascia stare, non hai bisogno di altri psicopatici adesso"…già. La mia vita va già bene così.

 

C’è una cosa che dovrei dirti. C’è una grave confessione che dovrei farti. La mia coscienza me lo ripete.

Ma non lo farò mai.

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Ieri sotto l’ombrellone ho avuto modo di remenare un po’ l’Ipod.

Ho modificato la lingua, mettendo l’italiano. E scoprendo che l’equalizzatore è diventato "equilibratore", con le diverse scelte: naturale, effetto roccia, effetto popolare, classico, vjazz, effetto delicato, spigola pesante.

Ora, a parte l’effetto roccia e popolare (è un ipod di destra, sicuro), mi chiedo: cazzo vuol dire spigola pesante??

sono incinta!¹

sono incinta!¹

– Sweet hooooome, chicagoooooo….

Andrea raspa cattivo la voce più roca che trova. E io a massacrare un blues in E con la mia vena pianistica oscena di suo, e aggravata dalle sei ore filate accumulate. Il mignolo non risponde più, ormai.

-bip. bipbip. bipbipbip.

La suoneria del silenzioso apre una parentesi, son le nove di sera ormai. Rispondo. La mamma esagitata di *gina* mi comunica che ha litigato con la mamma di *tina*. Le due bimbe a scuola si son riferite di un mio spostamento di lezione, affinchè tina e mina potessero aver lezione vicine (per provare il loro duetto per il saggio di lunedì) gina doveva venire a lezione un’ora prima, scambiandosi con tina. Mina infatti non poteva venire prima.

La mamma di gina incazzata come una iena, perchè deve correre qua e là, e non esiste che una bambina pretenda che l’altra faccia i salti mortali così, come se non facesse niente sua madre, e blablabla.

"Non ce l’ho con te Maestra (che poi, sta storpiatura al femminile di "maestro" rende tutto poco  accademico..ndr), sai che per te faccio qualsiasi cosa, non è colpa tua, non darti proprio colpe. Ma per quella lì, e bla blabla…Mi ha buttato giù il telefono! Capisci?!

meeep.

Meeep meeep.

Un’altra chiamata sotto. Mi commiato dalla mamma di Gina, tranquilla, se non puoi mi arrangio, le bambine si son capite male, non pretendevo nulla sai….hai capito male…Lei minaccia vendetta, cerco di calmarla, ho fatto io casino dai, cercavo di favorire Mina, così facevano lezione di seguito…..Nuovamente il meep meeep. E chiudo.

-bip. bipbip. bipbipbip.

– Maestra? Oh senta, ma quella lì, ma io appena la vedo, ma me ne ha dette, le ho messo giù, ma se la piglio….ma no che lei non ha colpa, lei fa di tutto per le nostre bimbe, ma quella lì…se la piglio…

Daccapo, è la mamma di Tina. Calma, si son capite male, le bambine sa come sono, era solo per favorirle, era solo un cambio d’ora, sa i saggi….siamo tutti nervosi, la luna nuova, Mercurio in gemelli, Keith Richards che cade dalle palme…insomma, un momentaccio. Susu, vediamo di combinare lo stesso, lasciate perdere…..

 

Ecco. Per chi ha capito (e pure io ho fatto fatica) ho tentato di sedare una rissa. La morale? Che i bimbi bisogna si ascoltarli (come sbandiera il banner qui a sinistra), ma pur sempre col senno di poi, son sempre bimbe, anche a 12 anni. E possibilmente contare fino a dieci prima di agire, placando le reazioni da mamme leonesse.

 

Epilogo: oggi mi manda un sms Mina. Domani è in gita, indi non viene a lezione. Tutto sto sangue versato inutilmente. Ma dico io.

 

 

¹ che c’entra il titolo? Assolutamente nulla. La chiamano "scrematura dei lettori". Così siete più digeribili.  

 

 

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Oggi si ragionava coi colleghi: son precaria, come contratto. Son precaria, come scrivania, come incarico, come responsabilità. Son precaria come casa. Sentimentalmente, più che precaria, son sfollata :D.

Ultimamente ho cercato di dare qualche scossa all’ambaradan. Ho attaccato due lembi della mia vita ai 220 e ho aspettato che qualche scintilla modificasse il nucleo….macchè. SOlo un po’ di fumo, un po’ di odor di bruciato. Insomma, arrivi alla fine del tunnel e…un cazzo, c’è solo un neon che illumina ogni tanto, ma il tunnel prosegue.

E sti neon…a volte si spengono, lampeggiano, altri rischiano di cascarti in testa se ci passi sotto. E via, oltre al buio anche lo zigzag (o pole bending, per gli equitanti).

Indi che si fa? Si vegeta. Che accadono sempre cose, si vede sempre gente.

Sabato ad esempio mi hanno riattaccato un dente. La dentista dice che non ho un filo di tartaro (e son soddisfazioni). Poi son stata in giuria per quattro ore alla gara di Karate, io che di Karate stiro solo il kimono del Gabry. E domenica mi son fatta 30 chilometri col sauro, per ribadire che l’unica cosa che vale la pena fare nella vita è un lungo galoppo attaccata alla criniera. Con pausa di birra, poenta e còsta. Nuovamente, son soddisfazioni.

Manca qualcosa? E che ne so. Ogni tanto mi pare di aver trovato una dimensione, ci spero, poi cambio idea. In sostanza, mi lamento mi lamento ma alla fine, sto ben così.

Certo, ci sarebbero soluzioni, ma sembra che sto azzo di destino mi porti altrove.

– ma fla, dimmi la verità, tu….tu mi ami?
– eh? guarda, non so, è che è periodo di saggi, appena ho un po’ di tempo ti faccio sapere.