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Categoria: attualitando

Dovremmo invece parlare del suicidio.

Dovremmo invece parlare del suicidio.

14241430_10153730949566555_8841268622361147006_oSì, parlarne. Affrontarlo, sminuirne l’importanza, superarne l’aurea di tragedia e rivalsa, e denuncia.

Capita, capita a tutti di pensarci, per assurdo, o realmente. Mi lascia la morosa, perdo il lavoro, sono malato, sono vittima di soprusi, ricatti, bullismo, o semplicemente la mia vita è una merda: mi ammazzo. Peccato che nella maggioranza dei casi non è una cosa mia, mi ammazzo e ciccia, per “sparire” e basta…
“Mi uccido così la mia ex si sentirà in colpa tutta la vita”. “Il mio capo poi, sai che vergogna per l’azienda?”. “Brutti bastardi, mi ammazzo così sarete contenti, vi linceranno sui giornali e sui social, mi ammazzo e vi rovino la vita”.

Ma dài. Mòna. La vita la rovini a te e a chi ti vuol bene. E soprattutto “Ci vuole coraggio per ammazzarsi” è un’idiozia. Ci vuole coraggio per restare.

Vuoi sparire? Puoi farlo. Nulla come lavorare, entrare ed uscire in ufficio, far la spesa, tornare a casa ogni giorno nel traffico, ci rende trasparenti al mondo. Se poi dentro stiamo male, è fantastico come il mondo riesca ad ignorarci completamente.

Ecco, stare male. Dovrebbero insegnarlo a scuola: stare male è necessario. E a volte si va a fondo, manca l’aria, si ha dentro solo la rabbia e l’impotenza di cambiar le cose, l’incapacità di rassegnarsi per poter andar oltre.

Il peggio è la mattina, quando realizzi quel qualcosa che ti dilania. Ti svegli neutro, ma ecco che arriva a trafiggerti quella realtà che ti strozza da giorni, o da mesi. Piglia all’altezza dello stomaco, e rantoli.

Poi passa la giornata e hai momenti anche stabili, ma poi arriva come una ventata, ti pugnala mille volte il ricordo della realtà in cui sei, ti manca il fiato. Vorresti solo che smettesse di fare così male. Ad ogni costo.

Ma ammazzarti non è una soluzione. Non c’è nessun motivo valido per ammazzarsi. E tanto meno è figo ammazzarsi, o minacciare di ammazzarsi, o pensarlo proprio. Se sei in grado di pianificare il tuo suicidio, allora sei ben in grado di sopportare la sofferenza ed attendere di poterla superare e risolvere.

Di questo dobbiamo parlare: il suicidio è ridicolo. Ridicolo.
Ti uccidi? Hai perso. Non hai vinto niente, non hai vendicato nulla, non hai risolto nulla. Sei anche un egoista, perché uccidendoti fai del male a chi ti ama.

Stai male? Questo è un alto discorso. Il dolore, per qualsiasi motivo al mondo, è sacro, mai mi permetterei di deriderti.
Non ho una formula per aiutarti. Se avessero messo in rete un mio video con un amante, ci credo, sarei incazzata, offesa, non so come reggerei. Se mi bullizzassero a scuola, o nel lavoro, forse vorrei gesti plateali per vendicarmi, per invertire l’ordine vittima-carnefice. Se il mio uomo non mi amasse più, se morisse qualcuno di importante, se mi ammalassi di qualcosa di davvero grave, penso che scivolerei in un tunnel terribile. E soffrirei da morire, ma non da morirne.

Ammettiamo il dolore. Concepiamo la sofferenza. Succede, è necessaria, ci massacra e ci cambia, bisogna attraversarla, subirla, lasciarla ferirci, straziarci, umiliarci davanti a tutti.
Le soluzioni a volte ci sono, a volte no, bisogna solo attendere che passi.. e spesso ci mette più tempo di quello che siamo disposti ad attendere.
In quello siamo coraggiosi, nell’attendere.

Viva la sofferenza. Perché quando se ne va, siamo persone nuove. Ma uccidersi, uccidersi non risolve niente.

La risposta ufficiosa della Siae: autocertificazione e via (in teoria)

La risposta ufficiosa della Siae: autocertificazione e via (in teoria)

Esce oggi un articolo sul Fatto Quotidiano che ripropone il discorso di Patamu dell’articolo di legge abrogato, e nuovamente dipanato dal buon AliprandiSta Siae che ci chiede il borderò per brani non registrati è “fuorilegge”?

Mi sono informata. Perché, come ci sono concessionari Siae da appendere per le orecchie al muro, ce ne sono anche di disponibili, chiari, appassionati nel loro lavoro e, senza far polemiche, con anzi molte idee per migliorare e gestire al meglio la macchina infernale della società autori ed editori. Ho chiesto.

Come definito da Aliprandi non è affatto chiaro (come per molti altri casi della legge italiana) se quell’articoletto che legittimava la Siae ad una sorta di controllo totale sia stato abolito o meno. Come invece è ben chiaro è che ci sia una “discrezionalità” (ancora più scandalosa, a mio parere) differente per sede territoriale. In sostanza, se suono qui basta che autocertifichi che non suonerò brani coperti da diritto d’autore, ma se suono lì il gestore del teatro mi dice che devo fare il borderò a prescindere, e ha già pure versato una pesante quota a copertura degli eventuali diritti.

Allora. La risposta chiara, precisa e circostanziata che ho avuto dalle mie fonti Siae è la seguente: non possono pretendere diritti se si dichiara che  sono brani non protetti dal diritto d’autore.
Ci si può giustamente aspettare un controllo Siae, che verificherà se i brani suonati durante il concerto sono effettivamente al di fuori del vasto repertorio che viene salvaguardato dalla società.

Caso 1: I brani del concerto sono vostri. Dovete presentare il programma (in carta semplice) ed un’autocertificazione in cui dichiarate che sono brani vostri, e in quanto autori NON SIAE (e relative consorelle estere) vi occupate voi della gestione dei vostri diritti. Quindi l‘autore stesso presenta l’autocertificazione.

Caso 2: I brani del concerto non sono vostri ma sono di autori non associati Siae/consorelle estere. Situazione diversa, più complicata, sarebbe utile avere l’autocertificazione dell’autore, o almeno un programma di sala, una locandina, un cd, da cui si desuma che i brani non sono coperti, così eviterete discussioni ulteriori.

Caso 3: I brani sono di autori deceduti da 70 anni (e quindi di pubblico dominio). In questo caso, locandina o programma di sala e autocertificazione, non possono chiedervi nulla.

Il discorso è: Siae non può chiedervi “caparre” per la presunzione che possiate dichiarare il falso.

Chiaro, un pezzo di carta da presentare è il modo migliore per evitare litigi e spiacevoli discussioni con gli ispettori Siae… e a quanto sembra questo è il modus operandum ufficiale indicato dalla Sede centrale.

Se è tutto così chiaro, perché non dirlo subito? Beh, è abbastanza ovvio. Non hanno alcun interesse a favorire altri se non i propri interessi, di sede territoriale in primis. Gli interessi degli autori sono un’altra cosa, sia chiaro. Ovvio che io, autrice Siae, vorrei che verificassero davvero se nei locali che dichiarano musiche non coperte magari suonano pezzi miei…. Ma sarebbe ben più logico che quando le suonano e le scrivono sui borderò correttamente, quei diritti arrivassero. E non è proprio così.

Non parliamo del fatto che, senza questa sorta di boicottaggio degli uffici territoriali per i concerti senza brani registrati in Siae (o corrispettivi esteri), si incentiverebbe tale repertorio, avremmo prevalentemente concerti di musica originale free-diritti oppure una classica definita ai 70 anni dalla morte dell’autore. Repertorio che non frutta una cippa alla società.

E qui mi viene la riflessione che in 25 anni di onorata carriera concertistica mi risulta di aver compilato sempre borderò anche se si trattava di una 24ore vivaldiana.

Insomma, che ci vuole a mettere un bel disclamer chiarificatore sulla home del sito ufficiale, caro ufficio di comunicazione Siae?….

 

 

 

 

 

 

Non fatemi gli auguri.

Non fatemi gli auguri.

Non fatemi gli auguri. Non regalatemi mimose. Non invitatemi a spogliarelli.

Non chiedetemi di uscire nella bolgia delle reunion fra donne, nelle quali comportarsi da invasate o peggio, ritrovarsi a mangiare una pizza, festeggiare, festeggiare che cosa mi è ignoto, e alla fine annoiarsi, e parlare (ovviamente) di uomini.

Se volete, informatemi delle conferenze, delle mostre, dei documentari, fatemi riflettere, parliamone, insieme agli uomini. Tra noi, non risolviamo nulla se non incastrandoci in un instinto femministico che porta a poco.

Volete davvero farmi per forza un regalo?.. okay.

Provate a smettere con le battute sciocche sulle bionde. Provate ad apprezzare una donna per le sue peculiarità, senza insistere sulla misura di tette, sulla lunghezza della gonna. Provate a riconoscere quando una donna fa la civetta per gioco, senza darle della puttana di default. Provate a dare affidamento nella forza interiore di una donna, ma anche nella forza fisica, perchè metter una mensola o cambiare un lampadario non è per forza “roba da uomini”. Provate a stroncare l’abuso delle armi di seduzione per l’ottenimento di attenzione, relazioni, lavoro o amicizie, prima di usare solo lo sfoggio della propria intelligenza e personalità.
Provate, VOI DONNE, provate. Perché il femminismo nocivo non proviene altro che dalle donne stesse.

E voi, voi uomini. Grazie per la pazienza.

As usual

As usual

Passeggi e sembra di essere a casa tua. Guardi milioni di ristoranti cercando di tenerli da conto, come se tutte le sere si cenasse a Londra. Vedi i supermercati e senti l’istinto di far la spesa per casa, riempiendoti di frutta gigantesca e pane arabo.
E ci pensi, che qui non è da farci una vacanza, questo è un posto dove venirci a vivere. Anche se son solo 4 ore che sei scesa dall’aereo.

Attorno ad un tavolo, amici occasionali con svariate coniugazioni d’accento inglese, birra e improbabili patatine al gusto sale e aceto. Io propongo il mio multiculturale cabaret da italiana simpatica, in mezzo ad un miscuglio di avventori del pub che fanno risaltare la multiculturalità di questo paese.

E poi penso che la medesima fighissima multiculturalità ha fatto bum, tre giorni fa.
Qui attorno i negozi hanno una vetrina di compensato, messa lì quasi come abbellimento. Quasi non ci si fa caso, nemmeno al negozio di elettronica, devastato solo due giorni fa, dal “recreative looting”, e rimesso in piedi con orgoglio proprio con le impalcature di compensato.
Ed anche qui una scritta: OPEN, AS USUAL. Che mica è successo nulla, eh.

Forti, sti inglesi.

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London town

London town

Partire e lasciare la mia Venezia col sole, e arrivare a Londra con un tipico grigio regale. Sentirsi una bimba in gita, un po’ disorientata, forse perché per una volta, non avendo un figlio appresso per cui dover esser responsabile ed organizzata, ho anche voglia di sentirmi un po’ persa.
È la mia prima volta qui. Finora ero squisitamente fuori moda, ad aver mancato Londra. Mi han detto che è bella ma non come diec’anni fa. Ma a me cazzo mi frega di diec’anni fa, io ci vado adesso.
Vedo fuori case atipiche per me, e case dalle finestre piccole. Non capisco perché, così piccole. Oddio, anche le case sono piccole.
Non oso pensare cos’altro…

..flauta’s boys!

..flauta’s boys!

Giù le mani, inglesastri!  

Eccerto, che se avete conosciuto solo mammoni sfigati, sorry, ma noi italiane ci teniamo il meglio della produzione nazionale, mica sceme.

La volete davvero una spiegazione da esperte? Da vere esperte? Da serie ricercatrici che si son dedicate esclusivamente all’ambito, con dedizione e dovizia, e che possono testimoniarne pregi e difetti?

Eccomi. Mi sacrifico (tzé) per la causa.

L’uomo italiano è bello. Curato, elegante anche in tuta la domenica, mentre lava la macchina. Con le spalle larghe, forti, che brillano sotto le goccioline d’acqua e shampoo tutt’intorno. L’uomo italiano lava anche la macchina della compagna, che sa che lei altrimenti si rovinerebbe le manine. E le controlla l’olio, le cambia la ruota della macchina. La prende in giro, ma in fondo è felice di potersi occupare di lei.

L’uomo italiano coccola, è questo il segreto. E in modi che all’estero manco si sognano.
Ci prepara la cena, quando torniamo stanche, e ci versa il vino. Paga al ristorante anche se non gli abbiamo assicurato di dargliela. Ci porta ovunque, anche se siamo vestite in modo osceno. Mentre lui, lui si veste come gli diciamo noi, con quel maglione arancione che gli abbiamo regalato a natale. Anche se lui odia l’arancione.
Ci mette la crema sulle mani la sera, ci mette in carica il cell, ci sveglia con un bacio e un caffè caldo. E veste i bimbi mentre ci facciamo belle.

E ci manda i messaggini. Migliaia di messaggini. Solo per dirci buongiorno, o che ci pensano.
E le mail, le mail romantiche. Che gli italiani sono romantici. Non tanto da piangere, che a noi i piagnoni non piacciono. Sempre duri, loro. Ma con dolcezza discreta. Loro che hanno hobbies, amici, leggono libri e ascoltano musica ricercata. Loro che hanno una vita impegnata, che tengono la conversazione, che non annoiano mai.

La rosa rossa all’appuntamento, galanterie a cena e passeggiata romantica, certo, ma a letto…..una tigre. Passionari, sanno ucciderti l’anima con un bacio. E rimbambirci per tutto il giorno, dopo una notte d’amore, con le loro carezze ancora addosso.

Altro che insoddisfatte, pfui.

 

…mammoni dite? Ma finitela. Loro fanno apposta. Sanno che il nostro istinto materno è fortissimo, e ci fanno contente, fingendo di dipendere da noi. Siamo tutte mamme chiocce, con i nostri compagni, e loro ci assecodano. E ci amano, senza riserve, con fuoco, con impetuosa gelosia, con completa dedizione.

E lo dice una che s’è sposata uno svizzero, per poi tornare pentita tra le amabili braccia dei conterranei.

Eppoi…. non ci provate. Non ci provate proprio ad offendere il maschio italiano.

Guardate come si sente il mio, adesso….. …brutti cattivi!!