ancora

ancora

Scivolò fuori dalle lenzuola, le caviglie strette ad accarezzare il limite del letto, le mani distratte in cerca di una maglietta troppo grande per coprirla dal primo brivido della mattina.
Il sole già si intrufolava nell’intimità dell’alba, inondandole la cucina di riflessi d’allegria.
Una doccia calda, caldissima, a toglierle le carezze e gli umori dell’amore, un getto fitto a pettinarle i capelli, correndole attorno al corpo ancora intorpidito. Gli occhi chiusi, senza alcun pensiero dentro. Una pace, estrema, e l’aver scordato il giorno, l’ora, il mondo attorno.

Un accappatoio caldo a stringerla a se’, il volto senza trucco come d’una bambina, a sorriderle appena nello specchio, sognante, mentre ridisegnava l’ordine dei capelli. Una giostra di sensazioni, di parole, di imbarazzo nel ricordo del suo poco pudore, quella notte. Dell’aver dato, dell’aver chiesto, dell’aver guardato negli occhi, senza ritegno. Il gioco eccessivo delle parole, il lieve osceno, la giocosa volgarità. E sciogliersi nel sonno, tra le braccia di un affetto.

Il giorno villano stava già prendendo possesso della città, come a voler rimettere le cose in sesto, volendo spegnere l’aura di sogno, riaccendendo l’ordine degli appuntamenti, l’orario dei pullman, le televisioni accese, le urla dei bambini in gioco per strada.

Si infilò di nuovo nella sua stanza, impedendo al giorno di riprendersela, cercando ancora il calore della notte sul suo posto, nel letto. E anche lui se la riprese, in un abbraccio quotidiano, ritrovando il calore della pelle su di se’. E piano, senza far rumore, le disse amore, amore, amore.. ho ancora voglia di te.

Posted via email from laflauta’s posterous

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