abbastanza

abbastanza

Quel giorno stringevo le mani attorno al volante, la macchina ormai spenta, parcheggiata nella mia vecchia casa, un bimbo in attesa poco distante, una vita in attesa, molto distante.
Era solitudine, era stanchezza, era ciò che rimane quando non hai più la rabbia a sostenerti.
Era solo un momento, un minuto, forse due. Mi ero fermata, come a spegnere e riaccendere la mia esistenza, per vedere se da ferma le cose erano diverse. Io che correvo, che non pensavo più, che lavoravo, combattevo, senza cedere, senza poter mettere il pause. Oppressa dall’impegno, dalla parola data, dall’essere affidabile, professionale, responsabile.
Le mani immobili, stringendo il volante spento della mia strada chiusa, fari spenti nel buio di un futuro annerito dal fumo dell’incendio dentro di me.
Non ero triste, non ero felice. Non ero, non ero nulla.
E mi chiedevo, mi manca tutto, e sembra non finire mai.
Un senso di oppressione attorno all’anima, gridare senza voce, morire senza aver vissuto.

Ci ho ripensato, sotto casa, mentre aspettavo un angelo biondo scendere. Le mani attorno al volante, inspiegabilmente, e lo sguardo perso.  Che mi manca, ora che ho ottenuto tutto, e perchè quest’incapacità di essere ebbra di questa vita, senza più privazioni di gioie, di musica e di amori? Come se si avesse sempre bisogno di sentirsi incompleti, infelici, instabili. Come se non si avesse mai abbastanza.

Posted via email from laflauta’s posterous

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