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Categoria: Siae

Tutte le idee per rivedere il diritto d’autore

Tutte le idee per rivedere il diritto d’autore

L’urgenza di una revisione del diritto d’autore, in epoche in cui tutto è gratis e parlare di “pirateria” è ormai obsoleto, sembra sia comune sia a noi autori che ad editori e distributori.
Stamane ho letto del libro di Macaluso “E Mozart finì in una fossa comune…” , non so se consigliarvelo ancora, lo leggo e poi vi dico… Nell’articolo sono esposti alcuni punti, su cui però ragiono volentieri.
Qua non si tratta di riformare la Siae, ormai è chiaro, è proprio tutto il diritto d’autore da ripensare, rivalutare, riorganizzare (e ridistribuire).

Prossimamente parteciperò ad una ulteriore conferenza sul diritto d’autore, dove potrò confrontarmi direttamente con un esponente della Siae, casa madre di Roma, per rielaborare molte idee, proposte, sentire se davvero c’è l’aria di cambiamento (e di rivoluzione) anche all’interno. Quindi, se avete voglia, datemi i vostri input nei commenti, in modo da elaborare un’idea comune e spingerla in quella e nelle altre sedi.

L’articolo richiama i punti esposti nel libro di Macaluso, e spero siano corretti; mi permetto di riproporli con le mie considerazioni:

 1) formalizzare il copyright, nel senso che non tutte le opere ne sarebbero automaticamente coperte, ma solo quelle per cui l’autore fa esplicita richiesta. Questa mi sembra una gran bella decisione. Attualmente un autore Siae non può avere alcuna opera libera dal pagamento dei diritti, in sostanza per statuto io, autore Siae, non posso comporre ed eseguire e registrare un mio brano in Creative Commons, o anche scrivere una canzoncina per un coro di bambini, senza dover far pagare (o pagare io stessa, se sono organizzatrice dell’evento/disco) il permesso Siae (e son sempre centinaia di euro, eh, anche per eventi per beneficienza…).
Liberalizzare avrebbe senso però dopo aver messo mano alla redistribuzione dei diritti. Adesso come adesso se non ci pagano un borderò non ci cambia molto (purtroppo), visto che vanno per la maggior parte in un limbo non definito, mentre agli autori va una percentuale non ben comprensibilmente calcolata dalla sede centrale.

 

2) ridurre la durata della protezioneovvero non più i 70 anni dalla morte dell’autore. Ha senso? Dipende. Se il diritto d’autore è visto come una pensione di reversibilità per la famiglia, okay. Ma davvero i diritti sono una forma di sostentamento per un artista?… Peraltro, gli eredi dovrebbero essere soci Siae, quindi pagando ogni anno la quota associativa. Nel caso in cui non ci sono eredi, oppure non pagano o non si trovano, Siae trattiene quelle cifre fino alla scadenza dei 70 anni, a prescindere. E’ effettivamente tutto troppo nebuloso, va ripensato.

 

3) Semplificare la normativa oggi complessa e farraginosa anche per renderla comprensibile ai ragazzi che la violano in rete. Sapete come la penso? Io credo ci sia anche una volontà a non spiegarla come si deve. Nessuno  parla chiaro sulla musica esente dal pagamento dei diritti, viviamo in un sottobosco di informazioni, a volte completamente fantasiose, solo perché la Home della Siae è troppo intenta a dare comunicati stampa che spiegazioni chiare sul comefarecosa. E soprattutto, sul come poterlo fare senza dover pagare, utilizzando la musica esente da copyright.

4) Riformare le società di gestione collettiva dei diritti d’autore (come l’italiana Siae) perché è prevedibile che, in futuro, toccherà a loro raccogliere e assegnare agli autori miriadi di piccole royalties in cui il loro diritto sarà “spezzettato” per poter essere, almeno in parte, salvaguardato. Questa non l’ho capita, mi riservo di leggere il libro per decifrarla per bene. Le piccole royalties esistono da sempre, anzi son la maggioranza, e son gestite e distribuite (nebulosamente) dalla Siae. Quindi sto futuro è oggi, è da sempre. Mi sa che l’articolista ha fatto confusione.

 

In un altro articolo di Edoardo Segantini, sempre ragionando sul medesimo libro, c’è un’altra riflessione importante: “… la distribuzione legale. Bisogna togliere gli alibi ai disonesti: in particolare quello che si sia costretti a ricorrere alla fruizione illegale perché manca un’offerta legale. L’offerta legale, come dimostra il successo di siti come Spotify, per fortuna c’è. Ma deve crescere ancora. Una pay-tv che non metta i propri programmi in rete, per esempio, ha più probabilità di altre di subire attacchi corsari.” Non so voi, ma a me la pirateria (ovvero il condividere gratuitamente la mia musica, rubandola da youtube con un comune convertitore online) non infastidisce affatto. Se potessi distribuire io stessa la mia musica in modo gratuito, senza balzelli Siae, magari quella di un disco che non ho più in promozione, di qualche anno fa, lo farei di corsa.

 

…ma secondo voi, basta questo per rivedere il diritto d’autore? Io qualche idea in più ce l’ho. Ve la dico tra qualche giorno. Voi che ne pensate?

In cosa consiste il decreto sulla musica dal vivo.

In cosa consiste il decreto sulla musica dal vivo.

Ieri è passato in Senato (EDIT: ed anche alla Camera) quel punticino in cui si propongono nuove regole per poter organizzare eventi dal vivo. La musica dal vivo liberalizzata, yeah yeah, eccetera. (Su Repubblica sembra davvero tutto figo)

Ma io (che già mi son sposata una volta e ho imparato che certi begli avvenimenti magari nascondano delle chiaviche niente male) non mi sento di far festa ed aprire bottiglie. Mica solo perché tanto deve prima passare in Parlamento (EDIT: è passato, l’8 ottobre). Sarà che tutte ste cose annunciate in pompa magna mi insospettiscono sempre, beh, mi son informata, ho cercato dei riscontri reali.

Passo a pie’ pari sulla discussione in aula, non me ne vogliate, avrei un sacco di battute per quel cabaret, se non fosse tanto triste il repertorio su cui ironizzare. Vi rimando al sito del Senato per i dettagli di colore.

Il decreto si concentra su una fascia specifica di spettacoli dal vivo: quelli con un limite di 200 spettatori, con durata che non superi le ore 24.

– Ma finora serviva l’autorizzazione?

Ecco: in circoli privati o teatri no, ma nemmeno nei locali. Poniamo esempio, la mia regione cita la L.R. 29 art.31 del 25/09/2007 cita esplicitamente :

Art. 31

Attività accessorie

1. Fermo restando il rispetto della normativa vigente in materia, le autorizzazioni di cui all’articolo 8, comma 1, abilitano all’installazione e all’uso di apparecchi radiotelevisivi ed impianti in genere per la diffusione sonora e di immagini all’interno dei locali abilitati all’attività di somministrazione e non allestiti in modo da configurare lo svolgimento di un’attività di pubblico spettacolo o intrattenimento.

2. Le autorizzazioni di cui al comma 1 abilitano, altresì, alla effettuazione di piccoli intrattenimenti musicali senza ballo in sale dove la clientela accede per la consumazione, senza l’apprestamento di elementi atti a trasformare l’esercizio in locale di pubblico spettacolo o intrattenimento e senza il pagamento di biglietto di ingresso o di aumento nei costi delle consumazioni. È comunque fatto salvo il rispetto delle disposizioni vigenti ed, in particolare, di quelle in materia di sicurezza, di prevenzione incendi e di tutela dall’inquinamento acustico.

Quindi, se suono in un locale, senza maggiorazione ai tavoli o biglietti d’ingresso, il gestore non ha nessuna autorizzazione da chiedere. 

– E allora chi chiede l’autorizzazione?

Chi organizzava un evento o manifestazione magari in luogo pubblico, in un parco, una piazza.

– Come funziona sta cosa di chiedere l’autorizzazione?

Si va in Comune, si compila un modulo, in marca da bollo (da 16 euro). A seconda del tipo di evento si allegano una planimetria dell’area interessata, foto delle eventuali aree verdi, programma dettagliato della manifestazione, dichiarazioni varie (di chi organizza, soci, gestori punti ristoro, ecc). Di solito si dovrebbe presentar domanda 60 giorni prima dell’evento, ma spesso la pratica si conclude in una settimana, in tempo anche per i ritardatari. Versamento dei diritti di istruttoria (qui da me son 100 euro). L’ufficio prepara la pratica, richiede i diversi pareri (polizia municipale, verde pubblico, eccetera) e prepara l’autorizzazione. E’ tutto piuttosto veloce (qui da me, almeno) e serve a verificare che ci siano le condizioni, di sicurezza in primis, per una tale manifestazione. Per grandi eventi è utile anche per predisporre un servizio di sicurezza o prevedere ambulanze o quant’altro, prevedere i flussi (affiché non ci sian blocchi del traffico, eccetera).
Se agli eventi partecipa anche l’amministrazione (spesso accade) questa trafila la segue il Comune direttamente.

Arrivati i pareri, preparano l’autorizzazione e l’organizzatore va a ritirarsela (con un’altra marca da bollo da 16 euro).

 – Cosa propone invece il decreto valorecultura?

Una semplice Scia, in cui si comunica la manifestazione. Nessun pagamento, presentazione al Comune e via, ma attenzione, solo per manifestazioni sotto le 200 persone. Se io organizzo un concerto in piazza è complesso prevedere che ci saranno solo 200 persone…..  Per i locali si continuerà a non pagare e richiedere nulla come autorizzazione, come ho spiegato prima, a meno di biglietto di entrata o maggiorazioni.

– Quindi abbiamo VINTOH!

No spetta…. quanti concerti/evento si fanno, su suolo pubblico/privato e sotto i 200 spettatori, e non in locali o teatri? Una piccola fetta. Comunque un successo, in questa Italia che non ne viene mai fuori dalle scartoffie.
Gli stessi impiegati che ho contattato mi hanno confermato che era una logica conseguenza di tutto un meccanismo di semplificazione burocratica, che strozza più gli uffici comunali che il singolo cittadino. Insomma, non sono molto sicura sia una vittoria di una petizione online, come ho letto in questi due giorni.

– Ma quindi si aiuta la musica dal vivo o no?

Il macete vero e proprio, quello che cala sulla testa dei gestori/organizzatori che voglion far musica, ma soprattutto sui cachet (e sui contributi previdenziali) dei musicisti, è sempre quello: la Siae. Ben più costoso di quei 132 euro (ipotesi veneziana) di autorizzazione comunale che risparmieremmo ora. Quindi, a conti fatti, è cambiato ben poco: la Siae si continuerà a pagare.

Però. Però sembra che il discorso SIAE e legislazione del nostro mestiere sia prepotentemente entrato nell’OdG del Senato. Sembra che a passettini qualcosa si muova. Poco, ma si muove.

Ora: della vittoria (circa) di ieri si son presi i meriti tutti. Da chi ha firmato la petizione, a chi l’ha proposta, esposta, a chi l’ha sostenuta, a siti singoli, associazioni e quant’altro.  Eh, ma mica è finita qui, raga. E’ lunga, mica possiamo accontentarci delle patatine. Dobbiamo continuare l’opera di condivisione e martellamento di media e quant’altro, abbiamo diritto al pranzo completo. E se faccio una metafora col cibo quotidiano, eh, chiedete ad un musicista quanto sia appropriata…..

 

La risposta ufficiosa della Siae: autocertificazione e via (in teoria)

La risposta ufficiosa della Siae: autocertificazione e via (in teoria)

Esce oggi un articolo sul Fatto Quotidiano che ripropone il discorso di Patamu dell’articolo di legge abrogato, e nuovamente dipanato dal buon AliprandiSta Siae che ci chiede il borderò per brani non registrati è “fuorilegge”?

Mi sono informata. Perché, come ci sono concessionari Siae da appendere per le orecchie al muro, ce ne sono anche di disponibili, chiari, appassionati nel loro lavoro e, senza far polemiche, con anzi molte idee per migliorare e gestire al meglio la macchina infernale della società autori ed editori. Ho chiesto.

Come definito da Aliprandi non è affatto chiaro (come per molti altri casi della legge italiana) se quell’articoletto che legittimava la Siae ad una sorta di controllo totale sia stato abolito o meno. Come invece è ben chiaro è che ci sia una “discrezionalità” (ancora più scandalosa, a mio parere) differente per sede territoriale. In sostanza, se suono qui basta che autocertifichi che non suonerò brani coperti da diritto d’autore, ma se suono lì il gestore del teatro mi dice che devo fare il borderò a prescindere, e ha già pure versato una pesante quota a copertura degli eventuali diritti.

Allora. La risposta chiara, precisa e circostanziata che ho avuto dalle mie fonti Siae è la seguente: non possono pretendere diritti se si dichiara che  sono brani non protetti dal diritto d’autore.
Ci si può giustamente aspettare un controllo Siae, che verificherà se i brani suonati durante il concerto sono effettivamente al di fuori del vasto repertorio che viene salvaguardato dalla società.

Caso 1: I brani del concerto sono vostri. Dovete presentare il programma (in carta semplice) ed un’autocertificazione in cui dichiarate che sono brani vostri, e in quanto autori NON SIAE (e relative consorelle estere) vi occupate voi della gestione dei vostri diritti. Quindi l‘autore stesso presenta l’autocertificazione.

Caso 2: I brani del concerto non sono vostri ma sono di autori non associati Siae/consorelle estere. Situazione diversa, più complicata, sarebbe utile avere l’autocertificazione dell’autore, o almeno un programma di sala, una locandina, un cd, da cui si desuma che i brani non sono coperti, così eviterete discussioni ulteriori.

Caso 3: I brani sono di autori deceduti da 70 anni (e quindi di pubblico dominio). In questo caso, locandina o programma di sala e autocertificazione, non possono chiedervi nulla.

Il discorso è: Siae non può chiedervi “caparre” per la presunzione che possiate dichiarare il falso.

Chiaro, un pezzo di carta da presentare è il modo migliore per evitare litigi e spiacevoli discussioni con gli ispettori Siae… e a quanto sembra questo è il modus operandum ufficiale indicato dalla Sede centrale.

Se è tutto così chiaro, perché non dirlo subito? Beh, è abbastanza ovvio. Non hanno alcun interesse a favorire altri se non i propri interessi, di sede territoriale in primis. Gli interessi degli autori sono un’altra cosa, sia chiaro. Ovvio che io, autrice Siae, vorrei che verificassero davvero se nei locali che dichiarano musiche non coperte magari suonano pezzi miei…. Ma sarebbe ben più logico che quando le suonano e le scrivono sui borderò correttamente, quei diritti arrivassero. E non è proprio così.

Non parliamo del fatto che, senza questa sorta di boicottaggio degli uffici territoriali per i concerti senza brani registrati in Siae (o corrispettivi esteri), si incentiverebbe tale repertorio, avremmo prevalentemente concerti di musica originale free-diritti oppure una classica definita ai 70 anni dalla morte dell’autore. Repertorio che non frutta una cippa alla società.

E qui mi viene la riflessione che in 25 anni di onorata carriera concertistica mi risulta di aver compilato sempre borderò anche se si trattava di una 24ore vivaldiana.

Insomma, che ci vuole a mettere un bel disclamer chiarificatore sulla home del sito ufficiale, caro ufficio di comunicazione Siae?….

 

 

 

 

 

 

Posso davvero non pagare la Siae? Ed è giusto non farlo?

Posso davvero non pagare la Siae? Ed è giusto non farlo?

Dopo la mia lettera aperta al Ministro, e relative risposte del Ministro stesso e del Presidente della Siae Gino Paoli, molti mi considerano un punto di riferimento per una sorta di guerra dei musicisti contro la Siae.
Chiariamoci: io vado proprio nella direzione opposta. Io non voglio abolirla, voglio semmai farla funzionare.

Mi hanno in molti tirata in causa dopo un altro articolo virale sulla questione, ma parliamo di cose molto diverse.
La legge sul diritto d’autore è del lontano 1941, chiunque abbia sottoscritto un qualsiasi contratto riguardante i propri diritti d’autore sa bene che si porta dietro una serie di clausole bizzarre (tipo l’obbligo di stampa di 300 copie, che uno pensa “mi ristampano i dischi?” ma invece si riferisce ai libricini con musica e testi che si usavan negli anni 50) ed è decisamente obsoleto, oggi.

Distinguiamo bene: se uno vuole esser convinto di registrare a proprio nome un brano, non serve la Siae, basta la storica ricevuta di ritorno per una busta coi propri spartiti, sigillata, autoinviata. Oppure ci si appoggia a servizi esterni, basta un giro sul web e ce ne sono moltissimi. Ma la questione diritto d’autore è un’altra cosa.

La Siae paga i diritti d’autore. Li paga poco e male? Questo è un altro discorso.
Uno registra all’estero i propri brani (BMI, SACEM, GEMA, ecc)? Se i brani girano in Italia, per radio o per propri live, passa comunque tutto attraverso la Siae, che ha mandato dalle altre (e quindi la quantità di diritti incamerati sono i medesimi, in quanto è sempre Siae a controllare in Italia), che però si tratterrà una propria quota. Quindi si risparmia in  quota annuale (all’estero sono molto più economici) ma si guadagna in diritti molto molto meno.

Uno NON registra i propri brani? E’ macchinoso, per chi non è avvezzo con la burocrazia, deve comunque versare una cifra per il permesso Siae che poi verrà restituita, ma è esente dal pagamento Siae. Per i propri brani però. Se solo ci mette un arrangiamento di un brano di altri, o esegue un pezzo di Morricone, paga.
E’ sbagliato? No. Io, signor Morricone, scrivo un brano e se tu lo suoni fuori mi paghi i diritti. Esattamente come se mi suoni un brano della flauta, o smerci una sua foto in bikini per pubblicizzare un aspirapolvere, la paghi. E’ corretto.
Quindi mettiamo l’ipotesi che non registriamo nulla in Siae quindi non la paghiamo. Bene. Poniamo il caso che (succede, succede) qualcuno mette un nostro brano come sigla di un cartone animato o di una pubblicità (non parlo di ABUSO, ma di semplice USO). Che si fa?
Ci siamo mandati la busta a casa, bene, possiamo rivalerci con avvocato su chi usa la nostra musica e verificare i termini per un compenso. Quanto ci costa un avvocato?……. Okay, lasciamo stare, ascoltiamoci la sigla ogni pomeriggio e stiamo felici così.

Se invece siamo iscritti alla Siae, segnaliamo e la attiviamo in modo che (mettichesisiadistratta) recuperi i nostri diritti. Ribadisco, per l’abuso (mia musica che esce a nome di un altro) ci attacchiamo al tram, ma per meri diritti loro lo fanno, ne ho avuto più volte conferme.

Ma veniamo ancora al discorso Musica originale non registrata in Siae. Adesso si parla che non serve più autorizzazione e borderò, esattamente come mesi fa si parlava dei bollini sui CD non più obbligatori, come della legge (ma era solo una proposta, sospesa) della musica dal vivo liberalizzata come in Inghilterra….. Raga, è il web. Al primo controllo Siae cosa facciamo, gli mostriamo uno screenshot di un blog?… Informiamoci bene.

La vera “battaglia” non è “contro” qualcosa, è a mio parere abbastanza inutile straparlare e bestemmiare sulla Siae. E’ palese che non funziona, che ha poteri fortissimi che vogliono mantenere le cose così come sono. Ma i tempi cambiano. Noialtri dobbiamo farle cambiare.

La questione è: non ci interessa il diritto d’autore? Okay. Ma la fetta di programmi musicali più grossa è costituita da musiche di altri autori, italiani ed esteri, che il diritto d’autore lo vogliono. Quindi si paga lo stesso.

Insisto: la Siae va riveduta e corretta, anche se per piccoli passi, oppure va liberalizzato il mercato, con altre società che facciano la medesima cosa ma creando concorrenza, e trasparenza vera.

Chi lo può fare?…. la politica. Porco mondo.
Continuiamo a far rumore, è da lì che devono cambiar le cose.

Lettera di un musicista al Ministro alla Cultura

Lettera di un musicista al Ministro alla Cultura

Gentile Ministro Bray,

sto seguendo il suo operato con interesse e piene speranze, sa? Mi sembra sia giunta l’ora di cacciare i mercanti (ed i predoni) dal tempio della cultura, ridando finalmente dignità alla vera ricchezza del nostro paese.
Ero così affranta ed indignata di non veder traccia di questi argomenti nei programmi politici passati, anzi, di leggere come i fondi per orchestre e festival, come le stesse istituzioni scolastiche musicali, fossero depredate senza alcun ritegno. Già, perché sa, sono una musicista, e spero ardentemente che il suo sguardo si posi presto sulla riorganizzazione seria del mio ambito, del mio mestiere.
Perché mi conceda di sottolineare che, quando qualcuno ha passato metà della sua vita in conservatorio, in orchestre, concerti, docenze di musica, questa non si chiama “passione” (e quindi senza troppi diritti), ma LAVORO.

Mi verrebbe da raccontarle la mia storia, con tinte lagnose e molta autocommiserazione, ma sarei falsa: io non voglio lamentarmi. Voglio proporre. Lo faccio io, perché non capisco perché, ma lì da voi non lo sta facendo nessuno.

Il musicista è un lavoro e dovrebbe bastare per mantenere una famiglia. Il dato di fatto è: il musicista ha quasi sempre un secondo lavoro (insegnante di musica nel miglior dei casi, ma spesso è architetto, impiegato, muratore, qualsiasi cosa), per necessità. I metodi di pagamento sono bizzarri, non ci sono indennità per malattia o disoccupazione, la “fu” Enpals è un fondo perduto, non garantisce la pensione a nessuno.
Io avrei delle idee.

  1. Ragionare su di un metodo di pagamento per le prestazioni occasionali artistiche, agile e alla portata non solo di un ente lirico, ma soprattutto del club, del baretto, della proloco, della contessa che vuol fare un concerto nella sua villa in collina. Non possiamo essere equiparati ai liberi professionisti, obbligandoci alla fatturazione… Non siamo liberi di niente, veniamo assunti per una sera, suoniamo, smontiamo e andiamo a casa… e non abbiamo mai un giro d’affari congruo, mi creda. Ci abbiamo provato in tanti. L’unica è affidarci alle cooperative che fatturano per noi  “soci lavoratori”, ma anche lì, comprenderà il caos di agibilità, prefatture, fatture, irpef, iva, per una prestazione che se arriva ai 100 euro facciamo festa. E non arriva tutte le settimane. Che poi, si immagina cosa ci risponde il baretto quando gli diciamo “a chi intesto la fattura?”….Invece: incentiviamo i concerti, abolendo il nero o altre fantasiose soluzioni: una ritenuta d’acconto con massimali più ampi, o i vaucher postali, o un nuovo metodo di “prestazione occasionale artistica”, appunto. Magari si può associare un obbligo di previdenza assicurativa personale, giusto per darci l’illusione di metter via qualcosa per la nostra pensione (che lo sappiamo bene, non avremo mai).
  2. Abolire i mille permessi per fare musica. Definire orari e decibel per tutta l’Italia, togliendo l’arbitrario onere ad ogni comune di definire tempi e modi per la musica dal vivo. Una comunicazione via mail certificata, magari. I locali sarebbero più incentivati a fare concerti dal vivo, ci sarebbe finalmente più lavoro per tutti (e più concorrenza, e migliore qualità..) e meno musicisti a far gli architetti, ingegneri, muratori, ….
  3. Metter mano alla Siae. (In sottofondo ora ci dovrebbe essere un colpo di cannone…). Comprendo bene che si tratti di una lobby di difficile concertazione… ma è ora e tempo che si chiariscano ruoli e compensi degli autori, che non possono più essere di serie A e serie B. Non mi dilungo sui costi annuali a cui gli autori son sottoposti, sulla distribuzione dei diritti fatta in base alla notorietà dell’autore (come se la popolarità fosse sinonimo di qualità o di merito), sull’affossamento degli autori di musica colta a favore di quelli da balera. Non mi insinuo nemmeno nel raccontarle come funziona, cartaceamente, sia i permessi, il pagamento dei diritti (e le cifre incredibili richieste), le modalità (sempre cartaceee, non sia mai) per registrare un brano come autore o come incidere un disco, con propri brani, pagando alla Siae i propri diritti…. Penso sia il momento di prender il toro per le corna, ridando dignità e qualità alla musica. Perché è denigrando gli autori che si svilisce la musica che poi scriveranno (e che i nostri figli ci faranno ascoltare in macchina…).
  4. Ridare dignità alla musica. Pensarla come un investimento, un bene prezioso che va cresciuto, non tenuto in vita come un moribondo. La “cattiva musica”, come i “cattivi esecutori”, esistono perché non c’è educazione alla “bella musica”: molti, troppi, non la sanno distinguere, perché la bella musica non la ascoltano mai. Quindi per loro, che un Notturno di Chopin non l’han mai incrociato per sbaglio, un pirla che si crede Mozart e suona una nenia su tre accordi è bella musica. Ed è pure rinfrancato se lo vede suonare, che ne so, in Senato (…). E per fare questo è fondamentale passare al punto successivo.
  5. Educare alla musica. Mi creda: ognuno può suonare uno strumento. Ognuno può cantare. Ma ancor più, ognuno può ascoltare. Certo, si può agire sull’insegnamento nelle scuole medie, sui programmi, sull’inserimento di altri strumenti oltre al flauto dolce (che a dirla tutta, a me è sempre piaciuto assai). Ci vorrebbero soldi, okay. Io però avrei un’altra idea. Rendiamo la musica, come le attività sportive, detraibile. Il corso di musica, le lezioni di pianoforte o di propedeutica, o il corso di chitarra e batteria, avrebbero la stessa dignità del corso di calcio, sarebbero allenamento non solo dei piedi, ma anche della mente, dell’anima, della sensibilità. E’ un provvedimento facile da farsi. Poi, anche qui, inserire una normativa intelligente per gli insegnanti di musica, che son sempre gli stessi musicisti di cui sopra, che per guadagnare duecento euro al mese devono aprirsi una partita Iva…  Sarebbe tanto più semplice pensare ad un metodo di assunzione leggero, così da non gravare le famiglie dei costi di insegnanti inquadrati come liberi professionisti. Ci vuole poco a trovare una soluzione adeguata. Ha mai visto quello splendido documentario sulle orchestre costituite con ragazzini delle favelas del Venezuela? Orchestre che peraltro suonano da paura? Mi chiedo perché non partire da quel presupposto: investiamo sul calcio (…) mentre si potrebbe farlo benissimo anche con la musica. Con un risultato straordinario.

Sa, sono davvero abbattuta nel vedere come eticamente la “mia” Italia sia in recessione, da tanti anni. Penso che entrambi la pensiamo allo stesso modo, ovvero che sia la cultura la chiave di volta per far rialzare il nostro paese dal baratro becero di ignoranza e valori indegni in cui è precipitato. Io ho fiducia in lei, faccia un’azione di coraggio e si butti.  Di certo ne saprà più lei e i suoi collaboratori di me, ma la faccenda la vivo da 40 anni sulla mia pelle e mi creda, sono tanto, tanto tentata di fuggire anche io dalla barca che affonda.
Però, che devo dirle, nella mia città c’è un teatro che si chiama come un uccello che, ogni volta, rinasce dalle ceneri…. come un incendio che brucia musica, ricordi, suoni, ma in un modo o nell’altro si rimette in piedi. Noi a Venezia ne sappiamo qualcosa.

Le auguro buon lavoro, signor Ministro. Quando ha voglia, le offro un caffé.

Anna