Aspettative mancate

Aspettative mancate

Danzavamo piano.
Avevo un caminetto acceso che illuminava la stanza, un tappeto sotto i piedi, la mia piccola creatura fra le braccia. Una solitudine attorno che ci stringeva, la calma che assorbiva un mondo che stava scivolando via, come se quel velo di illusioni che “tutto sarebbe andato bene” fosse diventato troppo trasparente, troppo inutile.

Dondolavamo, cullandoci lentamente, per inerzia, con una ballata rock con un flauto un po’ stonato ad accarezzarci, in eterna ripetizione per chissà quanto tempo. Faceva freddo, faceva sempre tanto freddo in quella casa, e non c’era mai abbastanza legna per scaldarci, e abbastanza soldi  per poter dormire la notte, e abbastanza lucidità per poter comprendere l’inutilità di credere ancora nella favola della famiglia felice.

Una ninna nanna bizzarra, la preferita di un neonato che rimaneva con gli occhi semiaperti, come ad ascoltare quella musica e forse i pensieri della mamma. E mamma cantava, a fil di voce, e le parole prendevano sempre il verso giusto per disegnare la nostra vita, sembravano scritte apposta per noi.  E il cuore che sembrava bruciare. Forse sì, brucia per incenerire le aspettative e l’affetto. Certi dolori servono, e bisogna viverli fino in fondo per eliminare ogni traccia d’amore.

Certe malattie non si superano mai, lasciano cicatrici che col cambio di stagione si fanno sentire. E ti torna tutto alla mente, la sofferenza sottopelle, e forse ancor più forte di prima.
Le aspettative. Quelle cazzo di aspettative che ti inculcano quando sei bambina, quell’essere due tutta la vita, la famigliola felice, qualcuno che si occupa di te e che ti vuole anche quando non sei più così perfetta.

Ma questa è un’altra storia. Si parlava di una danza, con l’unico amore che non ha mai tradito le mie aspettative. Forse una delle poche motivazioni che rimangono per cercare, ancora una volta, di inventarmi una strada da percorrere.  Perché davvero, non so mica dove andare, adesso.

 

 

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