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Tag: riflessioni musicali

Quando “suoni come un uomo” sembra un complimento

Quando “suoni come un uomo” sembra un complimento

Rileggevo Matteo Bordone,  stamane, come pure Alex Ross che disquisiva di un simile argomento, di quanto la musica classica (ma pure quella non classica, eh) possa essere maschilista, omofoba e quant’altro.

In verità non mi son mai sentita di affermare che ci possa essere maschilismo nel campo musicale. Ma lo penso. Eppure come tante cose, cerco di non dirle, per non avvalorarle, per non darle pubblicità, per non convincermi che ci sia solo una preferenza sessista e non effettivo valore o non valore delle persone. Se una donna non fa carriera è semmai perché non è sufficientemente brava (=coefficente di bravura maggiore di quello medio richiesto in un uomo, probabilmente), e non perché è “solo” donna.

Il problema è che ho un pochi di sassolini nelle scarpe. E capite, coi tacchi danno ancor più fastidio.

Quando studiavo in conservatorio, preparandomi per il mio primo diploma, era palese che certe carriere erano impossibili. Bordone cita i Wiener Philarmoniker, che fino al ’97 non ammettevano donne nel loro organico; io vi cito invece la Fenice di Venezia, che fino a vent’anni fa non ammetteva donne fra i fiati dell’orchestra. Quindi, se volevo fare l’orchestrale, era palese che non era il caso di sperare in una carriera nell’orchestra della mia città. Idem per Vienna, certo.  Non che la carriera di studentessa fosse stata tanto diversa: ero una ragazzetta caruccia e i dubbi su quale fosse il tipo di talento più apprezzato erano abbastanza palpabili.

E lo ammetto, crescere nel dubbio che siano gli occhioni azzurri a decretare il posto di primo flauto (o di bocciatura, in caso di commissione femminile) fa incamerare molte insicurezze. I commenti “innocui” di insegnanti o anche il solo ODIOSO “brava e anche bella” (ma cazzo mi frega del bella, ostia) sono spesso il dazio da pagare, ma accorgersi che un tal docente insiste nel fare due ore di lezione non certo perché tiene alla tua carriera, o perché “sente” il tuo talento, è una montagna che crolla in testa appena ci si confronta col mondo reale. E non sto parlando di molestie, sia chiaro.
Ma in un ambiente in cui il talento e lo studio sono fondamentali, non saper valutare se stesse perché confuse da un marpione di turno crea molti danni.

Ancora peggio se si pensa di sfruttare la propria avvenenza per far carriera: c’è sempre una più figa di te. E soprattutto c’è sempre quella più brava, che invece di perder tempo a darla via, studia, e si prende il tuo posto.

Ora, visto che gli elenchi mi piacciono e risvegliano l’attenzione dell’annoiato lettore, vi propongo una serie di frasi che mi son state rivolte negli anni. Non me ne vogliano coloro che si riconosceranno.

1. “Brava ma soprattutto bella”. E’ un complimento?? Ammettilo, l’hai detto mille volte, senza nemmeno farci caso. Difatti quando vieni ai miei concerti mi dici “vengo a vederti” mica “vengo a sentirti”. Te lo spiego: se fossi in lizza per Miss Uzbekistan capirei, ma in quest’ambito devo essere brava, ma soprattutto brava.

2.  “Bel bel pezzo, non sembra nemmeno scritto da una donna”. Pure questo è un complimento, “il brano è talmente bello che non potrebbe scriverlo una donna”. Maria Schneider (la compositrice, non quella del burro), vattela a sentire, forza.

3. (ascoltando un disco) “Ma come si chiama il flautista?” “Anna Maria D.V.” “Ma giura! Una donna? Sembra un uomo!”. Questo è peraltro stato detto da una stessa donna. E sì, voleva pure questo essere un sincero apprezzamento, come se per spaccare un woofer di energia bisogna avere per forza il pisello.

4. (A parimerito con “musicista con le palle quadrate” e “cazzuta”) “Suoni come se tu avessi il pisello”. Vabbè, questa non la commento.

Ci sarebbero molte altre infelici frasi da elencare… ma non sono specificatamente “apprezzamenti”, semmai atteggiamenti misogini e beceri, scemenze basate sul luogo comune e la paura, perché sempre quella è, delle donne.

La mia “tattica” di solito è di scordarmi di essere una femmina, col rischio di ritrovarmi in un clima alle prove che nemmeno nella peggior caserma. E’ sempre un equilibrio difficile, non devi rompere i coglioni, ma devi anche diplomaticamente tirar fuori le unghie per difendere i tuoi spazi (gli assolo ad esempio) e le tue idee (che dovranno essere decise e coraggiose).

A volte ci si mette al livello dei maschi per esser rispettata, per risultare inoffensiva, non bigotta, per farli sentire a loro agio, perché si dimentichino che c’è una femmina lì in mezzo. E il cameratismo diventa spinto, non da fanciulla di buona famiglia. Il colmo è che ci si prende anche delle critiche, perché una donna non può fare allusioni, non può nemmeno istigare volgarità, deve essere pura e candida e delicata.

Eppure, se mi devon dire che son brava, mi devono paragonare ad un uomo.
Ho una sola consolazione: sto invecchiando. Sfiorisco pian piano, e sotto rimane la mia orgogliosa tempra di musicista, sciolta da ogni corruttibile fascino fisico.
Finalmente, finalmente la resa dei conti è vicina. Presto sarò solo brava, vecchia ma brava.

flauta_berlin

 

 

 

Il Saggio di Musica

Il Saggio di Musica

Per molti sta solo finendo la scuola, per altri è l’inizio della definizione delle vacanze, per altri inizia un rilassante periodo di vita all’aria aperta, movimento, cibi freschi, sole, film anni ottanta alla tv.
In realtà, non c’è niente da rilassarsi: a fine maggio ci sono i saggi. Gli stramaledetti amati saggi di musica.
I saggi sono quel momento in cui i tuoi allievi devono dimostrare che i soldi versati dai loro genitori siano fruttati, a prescindere da capacità o applicazione dei figli. Tutta la famiglia investe nelle lezioni settimanali, in denaro e tempo e spostamenti e tagliando del parcheggio, per potersi recare, con nonna e zio con telecamera al seguito, dentro un teatro/auditorium/salaconcerti ad applaudire il pulzello di casa.

I ragazzini vengono agghindati con camiciola e gilet (che non metteranno in altra occasione se non al prossimo saggio), le fanciulle con gonnellina e ballerine, e non di rado un’acconciatura fresca di parrucchiere. Hanno il loro spartito sottobraccio, studiano muovendo le dita silenziosamente su strumenti o tastiere immaginarie, perché una strana logica li induce a credere che sia fondamentale ripassare fino all’ultimo momento, ripetendosi “non mi ricordo niente, non mi ricordo niente” fino al salire sul palco e, non di rado, fermarsi dopo la prima battuta. Una legge di Murphy dice che studiare in camerino due minuti prima dell’esecuzione porta regolarmente alla stecca, ma è ancora presto per insegnargliela.

Gli allievi sono di tipologie fisse, solitamente.

L’allievo giudizioso tuttogiusto

Educato, preciso, non sempre estremamente dotato ma votato al sacrificio, studia musica secondo uno specifico planner familiare, suona tutto giusto ma sbaglia sempre lo stesso passaggio (lo sbaglierà anche sul palco) e non ha emozioni. O meglio, le ha ma solo se esce dallo schema (tipo, dimentica il libro a casa, non è riuscito a studiare, tutte cose normali in un altro ragazzino ma che per lui equivalgono ad una tragedia). La madre solitamente non parla con l’insegnante. A meno di non volersi vantare dei successi di figli (e della madre “ai suoi tempi”).
I suoi libri non sono mai sciupati, li tiene aperti con le mollette.

L’allievo dotato

…che per una strana congiuntura astrale, non studia mai una mazza. Ha la testa altrove, è disordinato, perde la concentrazione e porta l’insegnante a quasi pregarlo di ripassare a casa, un poco, ogni tanto. Ha una primavista spettacolare, che gli salva il didietro ogni volta, un buon orecchio, capacità incredibili associate a studio quasi nullo. Solitamente le ipotesi di carriera sono due: si folgora e trova il modo di studiare con piacere (sempre poco ma in modo funzionale), oppure inciampa in un saggio/concerto disastroso (per il suo standard) e molla tutto. I suoi libri sono spesso spiegazzati (arrotolati, con macchie di ogni tipo), la pagina dello studio non rimane mai aperta sul leggio. Arriva sempre, sempre, in ritardo.

L’allievo appassionato

Adora il suo strumento. Ascolta tutti i dischi, legge le biografie dei grandi solisti, studia come un matto. Ha qualche problema di ritmo, odia il sei ottavi, non è intonatissimo ne’ particolarmente sincronico con le dita. Bisogna spiegargli le cose da diverse angolazioni, perché spesso la prima spiega non funziona, ha bisogno di continui input su come studiare ogni passaggio. I libri sono pieni di annotazioni, cerchi, diesis di salvezza. Inizia lo studio e si ferma alla prima battuta per ricominciare di nuovo almeno una ventina di volte. Un diesel insomma. Fa una fatica bestia a fare ciò che l’allievo dotato fa a prima vista, ma spesso arriva molto più in là. E’ quello che arriva sempre in anticipo, talmente in anticipo che spesso studia già anche lo studio successivo. Ai saggi combina spesso mezzi disastri per l’ansia, ma alla fine è quello che più riempie d’orgoglio l’insegnante.

L’allievo perennemente giustificato

Arriva in ritardo per motivazioni nobili. E’ morto il nonno (5, 6 nonni all’anno), l’incidente davanti a casa, il contrattempo incredibile (c’è da farne una letteratura straordinaria in merito). Prima di iniziare il pezzo deve chiedere qualcosa. Qualsiasi. Quando inizia suona le prime due righe ignorando gli accidenti in chiave, o aggiungendone a piacimento. E non se ne accorge finché non lo si ferma. L’orecchio non funziona, la primavista non è un granché. Se si pone la questione “non hai studiano una cippa” ricomincia la farsa delle giustificazioni fantasiose, quindi conviene mettere a frutto quell’ora di tempo senza troppe riflessioni. Solitamente è pure un peccato, ha delle doti ma se ne frega altamente. La pagina dello studio non rimane aperta, ma a dire il vero non si ricorda mai quale sia lo studio che doveva fare per casa, quindi è ininfluente.  Al saggio va con brani semplici, studiati da settembre, ma ad ogni lezione avrà accumulato un errore nuovo che si sommerà agli altri. Dimenticherà le prove, chiederà se per favore può suonare per primo perché ha un appuntamento fondamentale. Sbaglierà ma sarà colpa di chi lo accompagna. Agli esami è sempre tutta colpa della commissione.

Preparare i saggi è un terno al lotto: devi scegliere i brani a seconda di capacità, resa, tempo. La preparazione si alterna tra spiegazione millimetrica del brano, due settimane di studio, assestamento del brano (con salvifichi tagli ed adattamenti d’emergenza), prove. C’è un momento di picco nella preparazione del brano del saggio, se si sfora di una settimana (quindi se non lo ha sufficientemente assimilato oppure se è oltre la soglia della noia nel ripeterlo) siam fregati.
La penultima settimana è quella fatidica: arriva il cazziatone. Tutte le categorie degli allievi, vuoi perché arriva la primavera e ne hanno due balle di stare a casa a studiare, vuoi perché non si rendono conto che mancano solo due lezioni, sono allo stallo. A seconda di età e di appartenenza alle suddette categorie, si insiste sulla musicalità o sul passaggio ancora insicuro o sull’ansia da dominare. Oppure si minaccia di non far fare il saggio, lasciando a casa nonna e zio con la videocamera.

Al saggio son tutti belli. Le mamme son tutte sorridenti. Le nonne son parcheggiate e spesso dimenticate lì a fine saggio. Dietro il palco, il panico. Ho pauura ho pauura, nonmiricordoniente, aspettaprofquicomedevofare, chimivoltalapagina, e in ogni angolo a provare e riprovare gli stessi passaggi, incrementando la legge di  Murphy.
Per ognuno di loro il Maestro dovrebbe stare lì a vegliarli, solo loro, con il fluido miracoloso. Salgono, e il fluido ci si prova davvero a farlo passare. Iniziano a suonare, e respiri con loro, e muovi le dita con loro, e provi telepaticamente a dirgli di prender fiato, di non correre, di non esser troppo crescenti. Spesso funziona. Quando finiscono, ti cercano mentre il pubblico applaude, e allora tu sorridi, comunque, qualsiasi cosa sia accaduta. Qualcuno scenderà dicendo “ho sbagliato tutto”, allora rispondi “non è vero, comunque non dirlo a nessuno, son segreti nostri, vai a festeggiare, ne parliamo a lezione”. Altri si dimenticheranno di te, andandosene senza salutarti. E pazienza.
Poi se ne vanno tutti, e stai lì a smontare leggii, raccogliere gli spartiti dimenticati, arrotolare cavi e traslocare amplificatori. Come l’usciere che scopa via il riso davanti al municipio, mentre tutti gli altri sono al banchetto di nozze.

Magari ti riprometti che l’anno prossimo ti sbatterai meno, niente ore di prove fuori dalla lezione, studietti per tutti e basta adattamenti e trascrizioni per fargli far bella figura, facendoti smadonnare per settimane.

Poi, gli sms:
“son andato via di corsa, ho avuto un contrattempo” (L’allievo perennemente giustificato)
“ho sbagliato tutto, scusami, la terza battuta del primo movimento e poi anche il crescendo della terza eppoi ero crescente e accelleravo e…” (L’allievo appassionato)
“ciao, la prossima settimana c’è lezione?” (L’allievo giudizioso tuttogiusto)
“ho dimenticato lì lo strumento e le parti e il leggio e la giacca?” (L’allievo dotato)
“abbiamo dimenticato lì la nonna?” (La mamma dell’allievo dotato)

Ed ogni volta assale la solitudine, l’aver fatto da madre a quei ragazzetti, tenendoli per mano in equilibrio sul pentagramma, riempiendoti d’orgoglio, con poca riconoscenza. Poi ti volti, e a fianco a te c’è il volto sorridente di chi crede ancora in te, che ti dirà grazie anche quest’anno, dopo il saggio.
Dopo che l’avrai portata a casa.
La nonna.