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Arriva il giorno in cui ti volti e vedi lui, il tuo clone, molto più figo di te, essere un uomo.
E’ sempre lo stesso, gli stessi occhi azzurri e profondi, i capelli senza una volontà ordinata, il fisico slanciato e sbadato, il cuore immenso, delicato e tormentato, il carattere forte come il granito. Non più il tuo bambino, non più solo tuo figlio. Ti aggrappi al suo braccio, cerchi il suo conforto, ti aggrappi alla sua mano per attraversare, non più il contrario.

Non ci siamo mai allontanati.
Io ho vigilato su di lui e lui su di me, carezzando dolcemente i difetti l’uno dell’altro, coprendoci da grandinate di problemi, abbracciandoci e facendoci forti a turno attendendo che rischiarasse.
Ci siamo mandati al diavolo tante volte. Io di più, perché i genitori pensano sempre di aver ragioni migliori per perdere il controllo. Lui di meno, o almeno non sempre di fronte a me. Ma siamo sempre rimasti amici, famiglia, squadra.
E soprattutto, abbiamo vissuto un sacco di avventure. Abbiamo vissuto ben più del quotidiano. Abbiamo parlato di qualsiasi cosa, da ragazzi, da adulti, insegnandoci parti della nostra vita. Abbiamo volto lo sguardo l’uno verso l’altra senza doverci dire nulla. Abbiamo riso, santiddio quanto abbiamo riso, mille e mille volte. Ci siamo viziati di desideri, sogni, obiettivi, ci siamo presi cura l’uno dell’altro prevedendo le necessità dell’altro, in un equilibrio perfetto.
Abbiamo suonato insieme, in sintonia ancestrale.
Abbiamo cucinato l’uno per l’altro, abbiamo cucinato insieme.
Perché la cucina è come la musica, è un gioco di idee, incastri, rincorrersi e passarsi il cucchiaio. E far gustare tutto agli altri, che a noi piace un sacco già solo il prepararlo.

Stamattina è uscito prestissimo, con 19 anni nuovissimi, affrontando la sua vita così come l’ha voluta gestire, prendendosi responsabilità di azioni e decisioni, con equilibrio e lealtà.
Lealtà, come diamine avrà imparato ad essere leale in questo diamine di mondo. Lo guardo e non sento di aver alcun merito per quello che è, non sarei mai stata in grado di renderlo così.
E dicendomi “così” ho finito ogni aggettivo. Sono così grata di averlo come famiglia.
E’ la cosa più fottutamente bella che potesse mai accadermi.
Auguri Lele.

(Bus de la Genziana (BL) ramo a monte della Peppa)
Niente fibre per oggi.

Niente fibre per oggi.

Una fetta d’anguria, due pesche, sei gocce d’oro. Uova all’occhio, carciofini sott’olio, dodici noci. 

Guardando uno zapping selvaggio, Giulia si ferma sull’innovativa proposta pubblicitaria di giornoenotte, spettacoloso prodotto mangiaciccia. Idiota, ma attira, come tutte le illusioni di cui ci si vergogna del desiderio di provarle, su di se’.

Mi esce senza pensarci, forse ubriaca di noci e carciofini. “Giuly, e te, buttar giù qualche chilo?”.

La guardo con l’ultimo briciolo d’occhio dietro le ciglia mascarate di fresco. Si offende e mi manda affanculo, vedrai, ma cazzo ne sai te mi dirà, pensa a far dimagrire il cane invece che me…

“E’ che non mi frega niente”. 

(Silenzio)

“Quando stavo con Giulio mi preoccupavo tanto di esser sempre in forma, ben curata, attraente. Ero talmente intenta ad essere perfetta per lui, che non mi accorgevo di quanto lui divenisse imperfetto ai miei occhi”.

Uh, il povero Giulio. Lasciato la sera di san valentino, con davanti due orecchini con smeraldo, e due frasi: lo smeraldo mi fa schifo. E te, pure te. 
Ma mica con polemica. Lo ha lasciato così, come scusandosi perchè aveva un altro impegno per quella sua vita. Sorridendo, diceva sempre lui. Spiazzato, il povero Giulio, nemmeno una scenata, un litigio, niente. 

“Poi sai, Carlotta e Claudio mi hanno fatta diventare la casetta dei miei bambini, non più una donna qualsiasi. Un regno di coccole, di abbracci, di tenerezza. La tenerezza mica sta in un bacchetto di legno, no?”

Nemmeno in due orecchini di smeraldo, pensavo io.

“Sono i miei due angeli, senza di loro sarei….inutile”.

Minchia, son loro due, inutili. Due odiosi marmocchi rompimaroni. Che se la comandano a loro piacimento, da sempre. Ma se glielo dicessi, lei mi insulterebbe col solito “cazzo ne sai, che non hai figli”, io le direi “però ho un cane”, ribatterebbe “un cane è una bestia, non è la stessa cosa”, e ‘vanti due ore.

“Poi mica sto male fisicamente. E nemmeno gli uomini si fan problemi, che proprio non ne vedo che mi respingono perchè ho qualche chilo in più”.

Già. E’ intelligente Giulia, un viso luminoso, se non fosse per le due chiaviche come prole, sarebbe la donna ideale. Insomma, se di notte esco a portar giù il cane, un uomo non mi scappa dal letto. Ma se mi saltassero nel letto la mattina due figli di cui, vagamente, avevo annunciato l’esistenza, quello si traveste da geraneo e mi si mimetizza sul balcone in attesa di una folata di vento.

“Poi lo sai. Ho altre priorità. I miei figli. Sono un distributore di coccole, un fazzoletto di seta per le loro lacrime, una coperta calda a scaldargli i sogni, un vento fresco a suggerire nuovi giochi, una nuvola a portarli per nuove mirabolanti avventure. E con loro viaggio, in mondi che non puoi immaginare, disegnati con pastelli di impossibile, e tutto si forma, tutto si crea, e il cuore, il cuore batte come mai per nessun altro. Li amo. Li amo come un prato ama i suoi fiori, il mare le sue conchiglie, il bosco i mille aghi di pino intorno. E so amare solo loro, così, senza averne per altro, per altri. Ma amo anche me, ecco, per ciò che posso dar loro. La felicità di amarli, per tutta la vita”.

“Claudio me lo dice, sono la sua regina, quando mi sveglia al mattino. Il suo pilota di formula uno, quando lo porto a scuola di corsa nel traffico, il suo cavaliere indomito quando affronto la coda al supermercato, il suo einstein privato quando qualcosa ha bisogno di risposta ai suoi perchè. Per Carlotta sono la sua principessa, i miei capelli son suoi, i miei gesti di donna son già i suoi, i miei sentimenti sono i suoi, e vigilo in silenzio vedendola crescere, aprire le ali di farfalla malferma appena uscita dal vestito di bruco”.

I suoi occhi sono altrove, le mani gesticolano. Dice scemenze, metafore esagerate, e meravigliose.

E io penso, anch’io adoro la mia vita, il mio compagno di avventure ha due orecchie a punta e una coda curva, e mi ama e mi segue con una dedizione che nessun uomo, già, nessuno mi ha dedicato. Se glielo dicessi, Giulia mi manderebbe all’inferno. Litigheremmo sul fatto che Gil puzza ignobilmente, che io lo tratto come fosse un umano e che ho dei problemi. Io ho sempre, dei problemi, per Giulia. E io le direi, ma che ne sai te, e lei direbbe che ne sai te che non hai figli, e non se ne verrebbe più fuori.

“Le mamme finiscono i gelati che i bimbi non mangiano, preparano cibi sostanziosi per tutti, e non hanno tempo per mettersi a dieta, che lo sai che non è di buon esempio per le adolescenti? Metti che mi diventa anoressica… Io poi, io sto bene così. Io…. io sono felice”.

Felice. 

(Silenzio)

“Secondo te, sarei forse più felice se fossi magra? Cosa mi cambierebbe? Potrei mettere un vestito di una taglia in meno, quando costa uguale a una taglia in più. Potrei ancheggiare davanti ai colleghi. E riempire il carrello del super con produttini a calorie zero, insipide e piene di ste cazzo di fibre. Mo’ son le fibre la cosa più importante della vita, come se fosse l’unica azione degna di gioia quella di andare a ca….”

(silenzio)

Io sono felice. Me lo dice, me lo ripete. Io penso alle noci. Che fanno effetti strani stasera, alla mia visione del mondo.

“Ma insomma, pure te, non hai figli ma hai un cane”.

“Ma Giulia, non è la stessa cosa!”

“Ovvio che non è la stessa cosa, diamine!”

“Appunto”.

Cambio canale. Taglio un’altra fetta d’anguria. E pesche, carciofini, noci. Da capo.