come conquistare la trentenne – aggiornamento

come conquistare la trentenne – aggiornamento

Ci son cose, per Diana, che non si posson vedere. Ma che prima o poi, ignavi omastri che corteggiate noi esule figlie di evatremila, sapete far fuoriuscire come magma verde dal cinema di blob.

E che qui, che si corre tutto il giorno-un panino a pranzo, e adesso…non ci vedo più dalla fame, si sente l’esigenza di scongiurare ulteriori figuracce. Che siete tutti lì, ricercatori gugleristi della domenica, a giungere al Guado col solito tag del "come conquistare una trentenne".

Ebbene. Esaudiamo le richieste dei lettori. Innanzitutto.

Avere una cultura personale sufficiente ad una conversazione non è difficile. Per una botta e via, basta comprarsi Focus. Per una cena propiziatoria di relazione duratura, meglio guardarsi Report, EatParade e Alle falde del kilimangiaro. Così, per l’interdisciplinarietà.

Non ci frega una mazza di politica o di calcio. Siamo uscite con voi per motivazione ormonale, e solitamente siamo attratte dal nostro opposto politico e di fede calcistica. Quindi se iniziate, si discuterà, e andrete in bianco.

Mangiate come si deve, miseria, non impataccatevi subito la camicia. Siate galanti, fatela parlare. Così non parlerete voi, scongiurando che ve ne possiate uscire con qualche cazzata. Fatele semmai falsi complimenti, noi ci caschiamo sempre come dei peri. No, non ho detto di fare complimenti sulle pere. Marò, leggete meglio.

Al primo approccio, siate sereni: se vi inviterà a bere qualcosa o vi saluterà davanti all’uscio, è solo casualità. Si dice che ci siano turni, targhe alterne, cicli lunari e chakra predominanti. A volte si tratta solo di diottrie mancanti, o di deodorante (il vostro, che manca).

Se al primo appuntamento vi manda in bianco, può starci la volta dopo. Se la prima volta non vi manda in bianco, può non esserci mai più una volta dopo. Nel primo caso, si ha la fase "ti faccio capire che non sono una facile". Nel secondo caso, "ti faccio capire che è una botta e via".
Che poi capiate, questa è un’altra faccenda.

Fondamentale, in quest’epoca di sudditanza da messaggino, è lo spazio stante tra bacio (o virile stretta di mano) di commiato dalla vostra bella (qualsiasi cosa abbiate detto o fatto prima del suddetto bacio o virile stretta di mano) e l’impulso dal mandarle lo stramaledetto essemmesse. E chissenefrega su cosa scriverete, è importante il quando.

Entro cinque minuti: lei starà finalmente assaporando il fatto che ve ne siete iti. La state assillando, e giammai assillare una donna dei fabulous seventy (ma si dice anche eighty) (quarantenni non pervenute)che noi si è libere, spregiudicate e indipendenti. Indi, aspettate dieci minuti almeno.

Entro mezzora: lei si starà struccando, sentirà l’sms con la vibrazione (che la suoneria l’ha spenta mentre era fuori con voi) e si intingerà la cornea col latte detergente. Imprecherà, ma le sue colleghe all’indomani, vedendola con gli occhi rossi, penseranno che ha pianto per voi tutta notte. Magra consolazione, tanto voi non lo saprete mai.

Entro la mattina: lei starà già dormendo, la sveglierete e vi maledirà i dead dogs ( alias morti cani).

La mattina successiva: si, è un’idea buona. Cose tipo "buongiorno principessa" le eviterei però. Potrebbe rispondervi confondendo i nomi. Non avete idea, voi uomini, di quanti sms di buongiorno riceva una donna.

La mattina successiva, dopo mezzogiorno: oro. E’ l’ora giusta. Lei potrà soffriggere per bene, e decidere se è il caso di darvela o ridarvela (la buonanotte stasera, che diamine..).

Ed infine, un consiglio: non siate voi stessi. Almeno all’inizio, illudetela d’essere meravigliosi.
Se poi volete farla innamorare davvero, mentite, mentite spudoratamente. Le donne si innamorano solo dei bugiardi.

 

Che qua dalla flauta è uno spettro nichilista di Cosmopolitan, diciamolo.

 

che notte.

che notte.

Annego negli occhi dell’altro, nel cuore dell’altro, nel corpo dell’altro.

Mi aggrappo al tuo braccio attraversando strade, e discorsi, e ricordi, e mi butti a picco nel fondo della storia che non funzionerà mai,  che per questo dura ancora.

Attraversa stagioni, migrazioni, tempeste, si sgretola ad ogni cambio di luna. E si riforma, come un incubo, come un miraggio. E son sempre io, e sei sempre te.

Attorno ho un drum’n’bass, luci strobo, un moijto che brucia le labbra, che massacro a morsi per non pensare. E parole, parole, parole, e a soffocarle i tuoi baci.
Come due adolescenti impacciati, come non avessimo due vite e figli e enciclopedie di storie già vissute, dietro vetri appannati, nell’agonia dello stesso respiro, ridisegnando la linea della pelle modellata dalle mie carezze, senza sfogo o irresponsabili passioni, solo …una sbornia totale di te.

E ho voglia di fare i capricci, ma non c’ho più l’età, non ho voglia che tu vada via. Dopo ci dimentichiamo questo, e ricominciamo a farci bastardi. Stanotte non vuole finire, sta immobile a vedermi lì, innamorata.

Stamane i tasti del cellulare sono piccolissimi, e il corridoio per arrivare in ufficio è più lungo di cento metri, pure in pendenza, e mi sento sbattuta come lo zabaione in una centrifuga. Ho bisogno di un paio d’ore su di una nuvoletta rosa per gongolarmi, e di un ottimo caffè.
Poi mi passa, giuro.

Giuro.

blogger in gondola

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Blogger di monte, blogger di mare
gente di parole poche e rare
uomini e donne votati a postare
sogni e pareri, politica e amore
come scopo creativo della propria vita,
orsù, per l’anonimato or è finita!

Un dì la flauta, bionda compromettente
propose fiascata cordiale e irriverente
con l’occasione di incontro conviviale
con gli amici Macca e Caporale;
e perdinci perchè non allargare
agli amici che ivi accorrono da noi a commentare?

Indi poscia miei cari lettori
che siate di qui o siate di fuori
purchè ci si legga, che dico bene
dei nostri trascorsi esser pratici conviene,
il 4 a Venezia accorrete solerti
e portate consorti, figli e amanti
che tanto qui s’è tutti clandestini
e discreti non giudicheremo i vostri destini.

Ci si trova à la gare, Santa Lucia
che ogni indugio, son certa, vi porterà via
possibililmente tenendo nel taschino
di me o dell’artri, il telefonino;
un pasto frugale, uno spritz a san marco
e a chi verrà in mente, anche qualcos’altro..

E giunta la sera, finiti i racconti
torneremo alle nostre vite, felici, assorti
che ognuno di noi avrà scambiato con quell’altro
confidenze, uno sguardo, un ricordo, un confronto
e lo riporrà dentro una tasca della giacca
per usarlo all’abbisogno, come una cravatta
ne’ bella ne’ brutta, che si tiene in cassetto
in attesa che per metterla giunga il tempo…perfetto.

Citofonare qui per adesioni


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Dal lato palco lo guardavo, il popolo del capodanno.

Tiratissimi, a nascondere ognuno malamente la professione. La parrucchiera con le estention, il meccanico in libera uscita con il nodo della cravatta largo 27 cm e la base larga più corta di quella stretta, la moglie casalinga-frustrata con lo stivale con stiletto e pantaloncino corto (aberrante), la pensionata con la compagnia del menopausa-express con completino di paillettes rosse e oro (appesa al soffitto dalla mezzanotte, a cura della direzione, in sostituzione della palla a specchi multicolor), le ragazzine quattordicenni con ipod alle orecchie e telefonino in mano (a mandar tvttb al morosetto, che stanzierà a pomiciare in altro loco con svedesine in gita scolastica), per non dimenticare le coppiette chic-to-chic, che quest’anno va così, il prossimo una starà ad allattare guardando bonolis mentre lui sul divano, dieci chili in più, piedi con pantofole spellate sul tavolino (nel particolare vediamo l’imbottitura gialla che esce dal tessuto in velluto a coste…), capello da moicano e serata rutto-libero, russerà sul divano dalle 21.05 ca. al mattino di capodanno, giusto in tempo per batter le mani con la marcia Radetzky.

A mezzanotte, ne abbiam scritto tutti, arrivano i messaggini. E parliamone. Si, parliamone. Ma dico: a mezzanotte NON STAI a scrivere sms ai colleghi, diamine! Devi startene lì, cappellino e trombetta, trenino e "BRIGITTE BARDOT, BARDOT…" tastando i fianchi generosi di tua cognata, che ci pensi sempre ma con mezzo litro di bianco, due di rosso e tre calici di prosecco è diventata ancor più una gran topa. Altro che.

Alla fine del trenino, e solo un musicista lo sa, bisogna dargli la botta di vita. Si va giù di discooo, e se-sbagli-un-pezzo-rischi/ne-sbagli-due-è-finita. Devono rimanere in pista, assssolutamente. A costo di andare di menajto, tic-tac e macarena. Giù bombe, fino all’una e mezzo-due. Poi la pista, che tu ti opponga o meno, si sfollerà. Tutti sul tavolino, a finire panettoni con la crema zabaione (che invano i camerieri t’han portato a mezzanotte), e lì pronti di lenti alla tempo delle mele. Coppie che si dondolano abbracciate da un lato, e dall’altro stuoli di donne separate a disegnare cuoricini col coltello sulle briciole di pane della tovaglia. Gli uomini separati? …sono a contendersi le svedesine con i morosetti delle figlie, all’altra festa. I mariti (quelli ancora in carica) son spariti in guardaroba con la cognata (la topa, ndr.).

 

Ed è ovvio, che i pensieri profondi saltino fuori ora. E i propositi, e le depressioni incipienti. E quello, quello lì è il momento in cui arrivano gli sms. Quelli degli ex. Quelli del "ti amo ancora, non ti dimenticherò mai, ho capito ora che senza di te.." e blablabla. Che se non fossi siffatta donna, ci cadrei con tutte le scarpe. Arrivano verso le due e mezzo, tre di notte. In questi orari, non credetegli  MAI, a prescindere.

Il giorno dopo, nella maratona tra il "libiaaaamo" della fenice (e ne approfitto per salutare tutti gli amici che ci lavorano…) e il bel danubio blu dei wiener (e salutiamo zubin metha e l’indimenticata pepi franzelin), arrivano quelli dei bravi ragazzi, quelli che aspettano i tortellini in brodo e lo zampone con lenticchie a casa di mamma. Ecco, quelli li, se vi mandano l’sms "ti amo ancora, non ti dimenticherò mai, ho capito ora che senza di te.." di cui sopra, sono abbastanza credibili. Single, benestanti, lavorano solitamente (indovina indovina…) al catasto. Ma di solito, sono brutti a livelli inenarrabili, che manco vostra cognata (la topa, sempre lei), in crisi ninfomatica acuta, se li ingropperebbe.

Segue capodanno sul divano, a zappingare mentre la nausea da eccessi d’alcool-eccessi culinari-eccessi di seghe (mentali) arriva agli apici storici. E oserei dire pure stoici.

In conclusione: è stato un capodanno di merda, okay. Ma almeno a me, per vedervi depressi dal palco, mi han pagato il cachet.

(la titolare non possiede il numero di telefono ne’ della cognata ne’ delle svedesi, non insistete).

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Ho comprato i dolci. Li ho nascosti nell’armadio, nascosti sotto qualche vestito, assieme a qualche giocattolino da poco, qualche penna colorata, una gomma profumata.

Mi sveglio in mezzo alla notte, che non riesco a dormire se non ti ho preparato i  dolci. Metti che domattina ti alzi prima di me, ti ucciderei di delusione.

Addormentata imbocco la calza, svuoto il bicchiere e rubo qualche biscotto la solita sceneggiata sciocca, ma te ci credi sempre.

Poi torno a letto, soddisfatta.

La vita dei bimbi è così semplice. Basta tener fede all’abitudine, e loro si sentono al sicuro. Quest’anno, certo, qualche botta è arrivata. Troppa gente, troppa confusione, troppe intimidazioni e minacce, per potersi difendere, povero bimbo.

-Gabry, che ha poi di diversa Mestre da San Stino?

– La felicità.

E vabbè. Allora dimmelo, che la sai molto più lunga di me.

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Quando vedi tutto fortemente sfocato.

Quando hai degli starnuti che partono dal bordo dell’unghia con smalto azzurro dell’alluce destro, trapassando i vari organi fino alla foce, anzidetta bocca, finendo su un fazzoletto di carta, che si disintegra con l’urto dei tuoi germi, che quindi si spalmano sulle mani. E questo quando ti va bene. Perchè se t’arriva in macchina, innaffi tutto il parabrezza. Per dentro. E ti voglio, a sperare che il tergi per simpatia pulisca anche dentro.

Che poi, starnutisci tentando di tenere gli occhi aperti, sennò…metti che in quell’istante il camion dell’IP di fronte, inchiodi con te dietro che c’entri dietro come un fuso..

E il naso. Il naso che si incendia. Cerchi di soffiarti il naso per alto, magari si arrossa solo la pelle tra le narici, e non quella sopra il labbro. Ma figurati. Andrai avanti con la cremina Nivea per tentare un intervento pompieristico, ma nulla. A poco a poco si sfiammerà, lasciando in suo luogo splendide pellicine chic.

E la faccia. Pallida. I colleghi ti ricordano, con affetto, che sembri uno straccio. Al prossimo "sicura di non aver la febbre?", quando sembri una griglia per hamburger da quanto ti fuma la faccia, giuri di fare una strage con l’estintore. Dimeni in aria il fazzoletto microbico per allontanare gli spiritosi, e i capelli (che sembrano appiccicati con la coccoina sulla testa) contribuiscono alla tua immunità facendoti assomigliare molto all’indemoniata di Kingiana memoria. 

Cerchi di lavorare. Inverti le lettere con dislessia galoppante, inserisci data di nascita al posto di quietanza e quietanza al posto della richiesta di ferie. Ho ferie il giorno 19576. Mah.

Insomma, signori, vado a casa. Mica per me, ma per voi. Sono odiosa quando sto male.

 

Un discreto ringraziamento alla mia dottoressa, che con sta ciufola dell’immunostimolante me la mena tutti gli anni. E io me la piglio, la malòra, ugualmente.

 

Le donne e le feste natalizie

Le donne e le feste natalizie

Di base le donne odiano le feste di Natale. Principalmente, perchè cresciute a pane e cartoni animati, e di fronte ad una realtà che cozza un casino con le feste da spot. Niente fidanzato/marito che le regala un papàgno di diamante sotto l’albero (andrebbe bene anche la borsettina brillantosa della kidman su Something Stupid..). Niente albero gigantesco, romantico caminetto, tu che impacchi il maglione che con le tue amorevoli manine hai tessuto nelle fredde sere autunnali (attendendo che la sua nave riapprodasse al porto).  Niente musichina natalizia sparsa nelle stanze, sfavillanti decorazioni rosse e oro, e candele accese, e profumo di buono che esce dalla cucina….

Ma finiamola.

Il Natale per una donna è un incubo.

First. E’ già mesi che attraversa negozi e mercatini alla strenua ricerca del regalo del fratello del cognato della cugina, che porcod’unboialadro passerà la vigilia con te e ti sta pure sulle balle. No, diciamo meglio: tutti i parenti, sotto natale, ci stanno sulle balle. Ipocritamente ci si fa pure i salamelecchi sotto l’albero, per attendere di non esser visti mentre gli si sputacchia sul panettone. E con quelli con cui si va d’accordo, si vorrebbe litigare, così, fino alla befana. Coi morosi, è ideale un allungo a San Valentino. Si evitano spese.

I regali poi, va a finire che s’è preso di tutto, e si "miscelano" gli aquisti distendendoli sul letto, e valutando (con scambi che manco coi titoli in borsa) a chi va quello e a chi l’altro. Abbastanza a caso. Ottimo lo stock di vari colori, l’importante è che li aprano in momenti diversi.

C’è poi la categoria dei "pensierini", a colleghe, maestre dei figli, insegnanti di tennis, vicini di casa (quelli che senza, non hai la cipolla per il soffritto; gli altri sono eslusi). Lo stock funziona, abbastanza sempre. Per poi accorgersi che "loro invece" manco vi fanno gli auguri (il vicino no, una cipolla col fiocco ve la regala sempre).

Lo stress, non potete capire. Solo una donna sa cosa vuol dire passare il 24 dicembre al centro commerciale, alla ricerca dell’ultimo stramaledetto regalo che s’è rimandato di fare. E prende la prima, prima cosa che trova ancora sugli scaffali. Un profumo osceno (dell’onorabile prezzo 120 euro, li mortacci) o un foulard, un giro di luci da interno, una statuina di babbo natale al cesso, un set di candele alla canfora, un albre magique al pesto genovese.

Second: i regali che si ricevono. Nel caso della mamma-suocera-cognata-zia vanno messi immancabilmente il primo giorno festivo utile. E sono, notoriamente, ciò che di più brutto sia mai stato creato sulla terra (ma si sussurra anche in ulteriori pianeti e stelle della comune galassia). Ma s’ha da fare. A Santo Stefano siamo autorizzati a cercare un qualsiasi contenitore giallo della Caritas.

Third: A natale si ingrassa. Che non si può fare scena da dieta in mezzo ai parenti…indi è una sofferenza continua. Ogni boccone ingerito ci causa l’apparizione di una tabella excel col conto calorie e corrispettivo in chilometri di footing e addominali. Dopo aver fatto fuori un lasagne, arrosti e quant’altro, guarderemo deficienti pandono e panettone, ragionando se l’uno ci farà ingrassare più dell’altro. (dicono il pandoro, nda). Ma è necessario. Capodanno è vicino.

Ultimo (dell’anno): si parte alla ricerca della mise il 27 dicembre. In giro ci son sempre abiti da ragazzine, che le ragazzine non comprano perchè troppo scollacciate, e le donne non comprano perchè…non c’entrano da mo’.

Per evitare un troppo evidente effetto strabordo (sempre concesso per il davanzale, ma non apprezzato per il sotto-davanzale..) si passa in rassegna ogni tipo d’abito.

Che davanti allo specchio del camerino siamo tutte a pera. Du’ fianchi come un ippopotamo gastritico, le gambine storte, un decoltée da massaia e la postura gobba, ma così gobba, che le spalline della giacca sembrano imbottiture delle tette.

Si parte da casa con l’idea di prendersi qualcosa di "colorato": rosso, oro, argento. E corto-aderente-sexy, che la Jessica Rabbit ci fa ‘na pippa. Partiamo con la sfilata della vergogna, infilandoci in sontuosi vestitini che sul manichino son fighissimi, su di noi sembrano….sembrano….. avete presente i lavoretti di art attack, che fatti da mucciaccia sono favolosi, fatti da voi e vostro figlio sono un’oscenità stoica? Ecco. Metafora fatta.

Alla fine, pantalone nero, magliettina coprente. In licra. Così non potrete ballare oltre la soglia della sudata (a meno che non vogliate libera la pista da ballo).

Il 31 dicembre si lavora ancora, ma appena a casa ci si prepara col bagno caldo, i bigodini in testa e un trucco da visagista delle dive (abbronzatissimo). Si arriva li bellissima, o almeno tentando un restauro dovizioso e un’incarto vago. Nel peggiore dei casi, si punta sulla luce soffusa delle discoteche (evitando di imboscarsi nei bagni o dopo l’alba).

Lui sarà… scompagnato. Più noi saremo eleganti, più lui si metterà jeans e felpetta, calzino del discount (abbassato, a mostrare il villo della caviglia) e scarpone antinfortunistico. E la sera, quando voi lo circuirete con la chiara proposta "se non lo fai a capodanno…."….lui sarà ubriaco fradicio, e canterà la montanara con la cravatta allentata (o la felpa aperta) ballonzolando per un parcheggio. E voi dietro, coi tacchi, zigzagando tra le pozzanghere fangose (perchè piove in maniera proporzionale a quanto tenete alle suddette scarpe). Guiderete voi fino a casa, col vostro compagno romanticamente a rutto libero e il vostro trucco colato a riempire generosamente le occhiaie.

….presto è la befana. Ci ritroveremo tutte lì, a cavallo delle nostre scope. Quindi, uomini, capìteci. A Natale è tutto una depressione premestruale. Regalateci un paio di calze a strisce bianche e rosse….capiremo che avete capito.

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Caro Babbo Natale. Anzi, caro Nat.

E’ un tot di anni che non ricevo regali di natale, ma ti comunico comunque che mi son trasferita. Che magari vai a casa mia e non vedi l’albero, e mi togli dal database….metti caso che prima o poi un pensierino me lo mandi.

Potrai dirmi che non ho mai fatto la letterina, nemmeno da piccola. E’ che ai miei tempi non si chiedeva prima: si ringraziava poi. Quello che arrivava era già un miracolo.

Adesso il Gabry mi ha chiesto Emilio. Si, quel robot enorme, costerà una follia. Non lo so se glielo riesco a prendere. In tre mesi ho speso fuori modo, tra psicologi e avvocati, ho pure il contratto di lavoro per aria.
Eppoi non sono più così incline al sacrificio per mio figlio.

Troppe cose sono accadute, e l’ultimo paio, proprio ieri, mi hanno ritrovata quasi ignifuga. Dopo mezzora di sfogo con Santa Nadia da Padova, me la sono messa via e ho ripreso la corsa. Mi sto infreddolendo il cuore, Nat, e arrivo al Natale (festa che mi fa notoriamente intristire e incazzare in sincrono) che sembro uno spot televisivo. Son io Emilio, sono io il robot che fa tutto senza emozionarsi più.

Indi, caro Nat, ti chiedo un paio di cortesie.

Un regalo al mio ex marito: regalagli una situazione imbarazzante. Una cosa tipo un attacco di diarrea con un paio di pantaloni bianchi candidi mentre sta in fila alla cassa del centro commerciale il 24 dicembre. E’ la cosa più carina che mi viene.

Un regalo ai miei amici: un abbraccio caldo. Di quelli che prima o poi servono, da tenere in portafogli, senza che si spiegazzi troppo.

Un regalo a chi suona con me: che ci credano sempre, alla magia. Senza magia meglio fare il farmacista (all’Ipercoop).

Un regalo a me. Mmmm…vediamo: no, nessun regalo. Quest’anno, Nat, voglio evitare la riconoscenza, con chiunque. Ho già dato, ho ricevuto (in testa, sulla schiena, tra la quinta e sesta vertebra, nei giorni 2/7/11/15/23/28 e 29 del mese, nell’orgoglio, nella fiducia, nell’ingenuità e nel far finta de pomi) e or dico, ho già tutto, non mi serve niente, ti mostro il palmo decisa come all’indiano che mi vuol vender le rose al semaforo.

Non ho più tempo per dire grazie.

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Sono arrabbiata. Molto arrabbiata.

Tante, troppe volte sento politici, sindacalisti, e inutili opinionisti fare discorsi vacui sul precariato. Gran demagogia, slogan, tutta autopromozione, basata sul sentito dire, sul programma tv, sulle proprie prevenzioni storiche.

Io il mio lavoro non posso farlo. Non posso suonare tutte le sere, perchè in Italia la cultura della musica è una scemenza. Tu chiami l’amico idraulico, ma gli dai anche i 200 euro del lavoro. Chiami l’amica cantante, e ti offendi se ti dice che almeno i suoi collaboratori devi pagarli. Pagarli, eh, come se ti si chiedesse contratto perfetto, marchette, Siae e Enpals.
Puoi insegnare, certo; come cococo, nelle scuole private. O anche nel pubblico. Ho amici che ci lavorano, alle medie, da anni. Da musicisti?…no, ovviamente. Come insegnanti di sostegno. A insegnar la lingua agli extracomunitari.

Per fortuna so far altro. Per fortuna ho testa, conoscenze, esperienza. E voglia di lavorare, di investire la mia vita in un lavoro che a lungo termine, possa darmi qualcosa.

Io sono una precaria, da anni, come molti, molti altri. Sono una di quelli che l’amministrazione pubblica, con grazia e accordi sindacali (e io che pensavo che il sindacato proteggesse me, e non il mio datore di lavoro..) ha deciso di tenersi per anni con contratti ad Hoc per se. Mi ha lasciata a casa qualche settimana, per poi riprendermi, per poi cambiare clausole e progetti.. ma alla fin fine, solo escamotage per sfruttare le mie competenze, alla stessa scrivania da anni. Le mansioni cambiano, le responsabilità arrivano, le grane, le conoscenze che devi avere, e pure le richieste di straordinari, di compiti extra lavoro, e le richieste di "sopperire" alle mancanze degli altri.

Ma sta bene, si investe. Si fa esperienza, anche se i trenta son passati. Sopporti anche le battutine degli amici, che "in comune non si fa un cazzo", certo. I comunali fan poco nulla, grazie ai pirla come me che, col ricatto sottinteso, sono i precari che salvan il culo ai titolari.

Beh, in sostanza, hanno "esternizzato" alcuni "eletti". A me han detto che sono un tecnico informatico (?) e che il contratto me lo fa un altr’altra azienda, ma rimango qui. Indi mi tolgono ogni possibilità di carriera in comune, di accedere ai concorsi interni, alla mobilità, oltre a ricevere quelle indennità dovute per la mia mansione. Ma, dicevano, vedrai che alla fine ti daranno quello che tu sogni di notte: il tempo indeterminato.

….ma chi te l’ha detto?….io non voglio nulla, nulla di tutto questo. Ho una dignità, la dignità del precario. Il mio lavoro vale, la mia volontà di carriera esiste, il mio diritto ad avere un lavoro per cui ho costruito il cammino, e per cui ho investito finora, vale.

A me, che mi sistemi il precariato, non mi frega un cazzo. Ecco, miei cari politici e politicanti, la mia risposta, bella chiara e tonda. Per quel che mi riguarda, faccio pure il precario a vita. Continuerò a non aver diritto a star male, ne’ ad accudire mio figlio se sta male, continuerò a non aver diritto a ferie e tredicesima, incentivi e promozioni, o accesso ai concorsi interni, o a poter maturare anzianità per sta fantomatica finanziaria. Continuerò a pagarmi il pranzo e la benza, senza alcun rimborso o buonopasto. Continuerò a pagare una botta di tasse perchè ho un cococo, prendendo metà di quanto prende la collega davanti, facendo pure il suo lavoro.

Ma avrò pur sempre la possibilità, ora o domani o forse mai, di riuscire ad avere il mio posto di lavoro, quello che mi spetta. Se ora ho fame, non regalarmi caramelle, per bearti della generosità davanti al paese: io voglio ciò che è mio di diritto. Rimarrò digiuna, rimarrò a casa, andrò a fare la cameriera al pub tutte le sere, orgogliosa di farlo. Ma non sfrutterai più la mia professionalità un giorno in più.

Grazie signori, ma non firmo. E raccolgo volentieri le mie cose dalla scrivania.

 

 

 

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L’Ipod suona i pezzi dentro la mia macchina, ripassiamo i cori sottovoce, che CC non ha voglia di chiacchierare. E’ nervoso, si lamenta per ogni cosa, mi sento tanto psicoterapeuta stasera.

Ho addosso la maglietta della Gibson presa con Ubi, mentre organizzo i cavi per i soundcheck, e sento che porterà bene. Non mi importa come e cosa, penso solo al mio amico, al suo lavoro, a tre-quattro anni di sonnolenza del suo disco (Corea esclusa..) e della sua voglia di riscatto, al di là dell’aver litigato coi suoi amici di una vita, al di là delle mani maleducate che han messo sottosopra i suoi pezzi, al di là delle esigenze delle etichette, che di musica non capiranno mai un cazzo.

Son le dieci e mezzo, e stiamo ancora provando i suoni. Che non vanno bene, e la cantante è costruita nel DNA per maciullare le palle per i suoni…ma stasera no, non è mica il caso. Devo fare da "mamma" ai miei amici.

Mi cambio e trucco in velocità, siamo sul "palco" quasi un’ora dopo. Per essere un giovedì di dicembre a Jesolo, c’è pure gente.

Molti errori di forma. Visivamente gruppo statico, errori di strutture e cori perduti. Cambio le seconde voci in tempo reale, basandomi su ciò che pigliano le corde vocali del mio amico, e canto piano piano..per dargli coraggio sotto. E nella realtà, non sento nulla, se non il piano (il cui pianista ho conosciuto mezzora fa).

Il mio flauto invece vola via, indomabile, va te a capire cosa diamine han mangiato le mie dita, oggi.

Si finisce. E io sono, comunque, contenta.

 

 

(e grazie al Bevirosso che s’è preso l’acqua per venirmi a sentire..)