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blogger in gondola

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Blogger di monte, blogger di mare
gente di parole poche e rare
uomini e donne votati a postare
sogni e pareri, politica e amore
come scopo creativo della propria vita,
orsù, per l’anonimato or è finita!

Un dì la flauta, bionda compromettente
propose fiascata cordiale e irriverente
con l’occasione di incontro conviviale
con gli amici Macca e Caporale;
e perdinci perchè non allargare
agli amici che ivi accorrono da noi a commentare?

Indi poscia miei cari lettori
che siate di qui o siate di fuori
purchè ci si legga, che dico bene
dei nostri trascorsi esser pratici conviene,
il 4 a Venezia accorrete solerti
e portate consorti, figli e amanti
che tanto qui s’è tutti clandestini
e discreti non giudicheremo i vostri destini.

Ci si trova à la gare, Santa Lucia
che ogni indugio, son certa, vi porterà via
possibililmente tenendo nel taschino
di me o dell’artri, il telefonino;
un pasto frugale, uno spritz a san marco
e a chi verrà in mente, anche qualcos’altro..

E giunta la sera, finiti i racconti
torneremo alle nostre vite, felici, assorti
che ognuno di noi avrà scambiato con quell’altro
confidenze, uno sguardo, un ricordo, un confronto
e lo riporrà dentro una tasca della giacca
per usarlo all’abbisogno, come una cravatta
ne’ bella ne’ brutta, che si tiene in cassetto
in attesa che per metterla giunga il tempo…perfetto.

Citofonare qui per adesioni


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Dal lato palco lo guardavo, il popolo del capodanno.

Tiratissimi, a nascondere ognuno malamente la professione. La parrucchiera con le estention, il meccanico in libera uscita con il nodo della cravatta largo 27 cm e la base larga più corta di quella stretta, la moglie casalinga-frustrata con lo stivale con stiletto e pantaloncino corto (aberrante), la pensionata con la compagnia del menopausa-express con completino di paillettes rosse e oro (appesa al soffitto dalla mezzanotte, a cura della direzione, in sostituzione della palla a specchi multicolor), le ragazzine quattordicenni con ipod alle orecchie e telefonino in mano (a mandar tvttb al morosetto, che stanzierà a pomiciare in altro loco con svedesine in gita scolastica), per non dimenticare le coppiette chic-to-chic, che quest’anno va così, il prossimo una starà ad allattare guardando bonolis mentre lui sul divano, dieci chili in più, piedi con pantofole spellate sul tavolino (nel particolare vediamo l’imbottitura gialla che esce dal tessuto in velluto a coste…), capello da moicano e serata rutto-libero, russerà sul divano dalle 21.05 ca. al mattino di capodanno, giusto in tempo per batter le mani con la marcia Radetzky.

A mezzanotte, ne abbiam scritto tutti, arrivano i messaggini. E parliamone. Si, parliamone. Ma dico: a mezzanotte NON STAI a scrivere sms ai colleghi, diamine! Devi startene lì, cappellino e trombetta, trenino e "BRIGITTE BARDOT, BARDOT…" tastando i fianchi generosi di tua cognata, che ci pensi sempre ma con mezzo litro di bianco, due di rosso e tre calici di prosecco è diventata ancor più una gran topa. Altro che.

Alla fine del trenino, e solo un musicista lo sa, bisogna dargli la botta di vita. Si va giù di discooo, e se-sbagli-un-pezzo-rischi/ne-sbagli-due-è-finita. Devono rimanere in pista, assssolutamente. A costo di andare di menajto, tic-tac e macarena. Giù bombe, fino all’una e mezzo-due. Poi la pista, che tu ti opponga o meno, si sfollerà. Tutti sul tavolino, a finire panettoni con la crema zabaione (che invano i camerieri t’han portato a mezzanotte), e lì pronti di lenti alla tempo delle mele. Coppie che si dondolano abbracciate da un lato, e dall’altro stuoli di donne separate a disegnare cuoricini col coltello sulle briciole di pane della tovaglia. Gli uomini separati? …sono a contendersi le svedesine con i morosetti delle figlie, all’altra festa. I mariti (quelli ancora in carica) son spariti in guardaroba con la cognata (la topa, ndr.).

 

Ed è ovvio, che i pensieri profondi saltino fuori ora. E i propositi, e le depressioni incipienti. E quello, quello lì è il momento in cui arrivano gli sms. Quelli degli ex. Quelli del "ti amo ancora, non ti dimenticherò mai, ho capito ora che senza di te.." e blablabla. Che se non fossi siffatta donna, ci cadrei con tutte le scarpe. Arrivano verso le due e mezzo, tre di notte. In questi orari, non credetegli  MAI, a prescindere.

Il giorno dopo, nella maratona tra il "libiaaaamo" della fenice (e ne approfitto per salutare tutti gli amici che ci lavorano…) e il bel danubio blu dei wiener (e salutiamo zubin metha e l’indimenticata pepi franzelin), arrivano quelli dei bravi ragazzi, quelli che aspettano i tortellini in brodo e lo zampone con lenticchie a casa di mamma. Ecco, quelli li, se vi mandano l’sms "ti amo ancora, non ti dimenticherò mai, ho capito ora che senza di te.." di cui sopra, sono abbastanza credibili. Single, benestanti, lavorano solitamente (indovina indovina…) al catasto. Ma di solito, sono brutti a livelli inenarrabili, che manco vostra cognata (la topa, sempre lei), in crisi ninfomatica acuta, se li ingropperebbe.

Segue capodanno sul divano, a zappingare mentre la nausea da eccessi d’alcool-eccessi culinari-eccessi di seghe (mentali) arriva agli apici storici. E oserei dire pure stoici.

In conclusione: è stato un capodanno di merda, okay. Ma almeno a me, per vedervi depressi dal palco, mi han pagato il cachet.

(la titolare non possiede il numero di telefono ne’ della cognata ne’ delle svedesi, non insistete).

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Ho comprato i dolci. Li ho nascosti nell’armadio, nascosti sotto qualche vestito, assieme a qualche giocattolino da poco, qualche penna colorata, una gomma profumata.

Mi sveglio in mezzo alla notte, che non riesco a dormire se non ti ho preparato i  dolci. Metti che domattina ti alzi prima di me, ti ucciderei di delusione.

Addormentata imbocco la calza, svuoto il bicchiere e rubo qualche biscotto la solita sceneggiata sciocca, ma te ci credi sempre.

Poi torno a letto, soddisfatta.

La vita dei bimbi è così semplice. Basta tener fede all’abitudine, e loro si sentono al sicuro. Quest’anno, certo, qualche botta è arrivata. Troppa gente, troppa confusione, troppe intimidazioni e minacce, per potersi difendere, povero bimbo.

-Gabry, che ha poi di diversa Mestre da San Stino?

– La felicità.

E vabbè. Allora dimmelo, che la sai molto più lunga di me.

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Quando vedi tutto fortemente sfocato.

Quando hai degli starnuti che partono dal bordo dell’unghia con smalto azzurro dell’alluce destro, trapassando i vari organi fino alla foce, anzidetta bocca, finendo su un fazzoletto di carta, che si disintegra con l’urto dei tuoi germi, che quindi si spalmano sulle mani. E questo quando ti va bene. Perchè se t’arriva in macchina, innaffi tutto il parabrezza. Per dentro. E ti voglio, a sperare che il tergi per simpatia pulisca anche dentro.

Che poi, starnutisci tentando di tenere gli occhi aperti, sennò…metti che in quell’istante il camion dell’IP di fronte, inchiodi con te dietro che c’entri dietro come un fuso..

E il naso. Il naso che si incendia. Cerchi di soffiarti il naso per alto, magari si arrossa solo la pelle tra le narici, e non quella sopra il labbro. Ma figurati. Andrai avanti con la cremina Nivea per tentare un intervento pompieristico, ma nulla. A poco a poco si sfiammerà, lasciando in suo luogo splendide pellicine chic.

E la faccia. Pallida. I colleghi ti ricordano, con affetto, che sembri uno straccio. Al prossimo "sicura di non aver la febbre?", quando sembri una griglia per hamburger da quanto ti fuma la faccia, giuri di fare una strage con l’estintore. Dimeni in aria il fazzoletto microbico per allontanare gli spiritosi, e i capelli (che sembrano appiccicati con la coccoina sulla testa) contribuiscono alla tua immunità facendoti assomigliare molto all’indemoniata di Kingiana memoria. 

Cerchi di lavorare. Inverti le lettere con dislessia galoppante, inserisci data di nascita al posto di quietanza e quietanza al posto della richiesta di ferie. Ho ferie il giorno 19576. Mah.

Insomma, signori, vado a casa. Mica per me, ma per voi. Sono odiosa quando sto male.

 

Un discreto ringraziamento alla mia dottoressa, che con sta ciufola dell’immunostimolante me la mena tutti gli anni. E io me la piglio, la malòra, ugualmente.

 

Le donne e le feste natalizie

Le donne e le feste natalizie

Di base le donne odiano le feste di Natale. Principalmente, perchè cresciute a pane e cartoni animati, e di fronte ad una realtà che cozza un casino con le feste da spot. Niente fidanzato/marito che le regala un papàgno di diamante sotto l’albero (andrebbe bene anche la borsettina brillantosa della kidman su Something Stupid..). Niente albero gigantesco, romantico caminetto, tu che impacchi il maglione che con le tue amorevoli manine hai tessuto nelle fredde sere autunnali (attendendo che la sua nave riapprodasse al porto).  Niente musichina natalizia sparsa nelle stanze, sfavillanti decorazioni rosse e oro, e candele accese, e profumo di buono che esce dalla cucina….

Ma finiamola.

Il Natale per una donna è un incubo.

First. E’ già mesi che attraversa negozi e mercatini alla strenua ricerca del regalo del fratello del cognato della cugina, che porcod’unboialadro passerà la vigilia con te e ti sta pure sulle balle. No, diciamo meglio: tutti i parenti, sotto natale, ci stanno sulle balle. Ipocritamente ci si fa pure i salamelecchi sotto l’albero, per attendere di non esser visti mentre gli si sputacchia sul panettone. E con quelli con cui si va d’accordo, si vorrebbe litigare, così, fino alla befana. Coi morosi, è ideale un allungo a San Valentino. Si evitano spese.

I regali poi, va a finire che s’è preso di tutto, e si "miscelano" gli aquisti distendendoli sul letto, e valutando (con scambi che manco coi titoli in borsa) a chi va quello e a chi l’altro. Abbastanza a caso. Ottimo lo stock di vari colori, l’importante è che li aprano in momenti diversi.

C’è poi la categoria dei "pensierini", a colleghe, maestre dei figli, insegnanti di tennis, vicini di casa (quelli che senza, non hai la cipolla per il soffritto; gli altri sono eslusi). Lo stock funziona, abbastanza sempre. Per poi accorgersi che "loro invece" manco vi fanno gli auguri (il vicino no, una cipolla col fiocco ve la regala sempre).

Lo stress, non potete capire. Solo una donna sa cosa vuol dire passare il 24 dicembre al centro commerciale, alla ricerca dell’ultimo stramaledetto regalo che s’è rimandato di fare. E prende la prima, prima cosa che trova ancora sugli scaffali. Un profumo osceno (dell’onorabile prezzo 120 euro, li mortacci) o un foulard, un giro di luci da interno, una statuina di babbo natale al cesso, un set di candele alla canfora, un albre magique al pesto genovese.

Second: i regali che si ricevono. Nel caso della mamma-suocera-cognata-zia vanno messi immancabilmente il primo giorno festivo utile. E sono, notoriamente, ciò che di più brutto sia mai stato creato sulla terra (ma si sussurra anche in ulteriori pianeti e stelle della comune galassia). Ma s’ha da fare. A Santo Stefano siamo autorizzati a cercare un qualsiasi contenitore giallo della Caritas.

Third: A natale si ingrassa. Che non si può fare scena da dieta in mezzo ai parenti…indi è una sofferenza continua. Ogni boccone ingerito ci causa l’apparizione di una tabella excel col conto calorie e corrispettivo in chilometri di footing e addominali. Dopo aver fatto fuori un lasagne, arrosti e quant’altro, guarderemo deficienti pandono e panettone, ragionando se l’uno ci farà ingrassare più dell’altro. (dicono il pandoro, nda). Ma è necessario. Capodanno è vicino.

Ultimo (dell’anno): si parte alla ricerca della mise il 27 dicembre. In giro ci son sempre abiti da ragazzine, che le ragazzine non comprano perchè troppo scollacciate, e le donne non comprano perchè…non c’entrano da mo’.

Per evitare un troppo evidente effetto strabordo (sempre concesso per il davanzale, ma non apprezzato per il sotto-davanzale..) si passa in rassegna ogni tipo d’abito.

Che davanti allo specchio del camerino siamo tutte a pera. Du’ fianchi come un ippopotamo gastritico, le gambine storte, un decoltée da massaia e la postura gobba, ma così gobba, che le spalline della giacca sembrano imbottiture delle tette.

Si parte da casa con l’idea di prendersi qualcosa di "colorato": rosso, oro, argento. E corto-aderente-sexy, che la Jessica Rabbit ci fa ‘na pippa. Partiamo con la sfilata della vergogna, infilandoci in sontuosi vestitini che sul manichino son fighissimi, su di noi sembrano….sembrano….. avete presente i lavoretti di art attack, che fatti da mucciaccia sono favolosi, fatti da voi e vostro figlio sono un’oscenità stoica? Ecco. Metafora fatta.

Alla fine, pantalone nero, magliettina coprente. In licra. Così non potrete ballare oltre la soglia della sudata (a meno che non vogliate libera la pista da ballo).

Il 31 dicembre si lavora ancora, ma appena a casa ci si prepara col bagno caldo, i bigodini in testa e un trucco da visagista delle dive (abbronzatissimo). Si arriva li bellissima, o almeno tentando un restauro dovizioso e un’incarto vago. Nel peggiore dei casi, si punta sulla luce soffusa delle discoteche (evitando di imboscarsi nei bagni o dopo l’alba).

Lui sarà… scompagnato. Più noi saremo eleganti, più lui si metterà jeans e felpetta, calzino del discount (abbassato, a mostrare il villo della caviglia) e scarpone antinfortunistico. E la sera, quando voi lo circuirete con la chiara proposta "se non lo fai a capodanno…."….lui sarà ubriaco fradicio, e canterà la montanara con la cravatta allentata (o la felpa aperta) ballonzolando per un parcheggio. E voi dietro, coi tacchi, zigzagando tra le pozzanghere fangose (perchè piove in maniera proporzionale a quanto tenete alle suddette scarpe). Guiderete voi fino a casa, col vostro compagno romanticamente a rutto libero e il vostro trucco colato a riempire generosamente le occhiaie.

….presto è la befana. Ci ritroveremo tutte lì, a cavallo delle nostre scope. Quindi, uomini, capìteci. A Natale è tutto una depressione premestruale. Regalateci un paio di calze a strisce bianche e rosse….capiremo che avete capito.

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Caro Babbo Natale. Anzi, caro Nat.

E’ un tot di anni che non ricevo regali di natale, ma ti comunico comunque che mi son trasferita. Che magari vai a casa mia e non vedi l’albero, e mi togli dal database….metti caso che prima o poi un pensierino me lo mandi.

Potrai dirmi che non ho mai fatto la letterina, nemmeno da piccola. E’ che ai miei tempi non si chiedeva prima: si ringraziava poi. Quello che arrivava era già un miracolo.

Adesso il Gabry mi ha chiesto Emilio. Si, quel robot enorme, costerà una follia. Non lo so se glielo riesco a prendere. In tre mesi ho speso fuori modo, tra psicologi e avvocati, ho pure il contratto di lavoro per aria.
Eppoi non sono più così incline al sacrificio per mio figlio.

Troppe cose sono accadute, e l’ultimo paio, proprio ieri, mi hanno ritrovata quasi ignifuga. Dopo mezzora di sfogo con Santa Nadia da Padova, me la sono messa via e ho ripreso la corsa. Mi sto infreddolendo il cuore, Nat, e arrivo al Natale (festa che mi fa notoriamente intristire e incazzare in sincrono) che sembro uno spot televisivo. Son io Emilio, sono io il robot che fa tutto senza emozionarsi più.

Indi, caro Nat, ti chiedo un paio di cortesie.

Un regalo al mio ex marito: regalagli una situazione imbarazzante. Una cosa tipo un attacco di diarrea con un paio di pantaloni bianchi candidi mentre sta in fila alla cassa del centro commerciale il 24 dicembre. E’ la cosa più carina che mi viene.

Un regalo ai miei amici: un abbraccio caldo. Di quelli che prima o poi servono, da tenere in portafogli, senza che si spiegazzi troppo.

Un regalo a chi suona con me: che ci credano sempre, alla magia. Senza magia meglio fare il farmacista (all’Ipercoop).

Un regalo a me. Mmmm…vediamo: no, nessun regalo. Quest’anno, Nat, voglio evitare la riconoscenza, con chiunque. Ho già dato, ho ricevuto (in testa, sulla schiena, tra la quinta e sesta vertebra, nei giorni 2/7/11/15/23/28 e 29 del mese, nell’orgoglio, nella fiducia, nell’ingenuità e nel far finta de pomi) e or dico, ho già tutto, non mi serve niente, ti mostro il palmo decisa come all’indiano che mi vuol vender le rose al semaforo.

Non ho più tempo per dire grazie.

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Sono arrabbiata. Molto arrabbiata.

Tante, troppe volte sento politici, sindacalisti, e inutili opinionisti fare discorsi vacui sul precariato. Gran demagogia, slogan, tutta autopromozione, basata sul sentito dire, sul programma tv, sulle proprie prevenzioni storiche.

Io il mio lavoro non posso farlo. Non posso suonare tutte le sere, perchè in Italia la cultura della musica è una scemenza. Tu chiami l’amico idraulico, ma gli dai anche i 200 euro del lavoro. Chiami l’amica cantante, e ti offendi se ti dice che almeno i suoi collaboratori devi pagarli. Pagarli, eh, come se ti si chiedesse contratto perfetto, marchette, Siae e Enpals.
Puoi insegnare, certo; come cococo, nelle scuole private. O anche nel pubblico. Ho amici che ci lavorano, alle medie, da anni. Da musicisti?…no, ovviamente. Come insegnanti di sostegno. A insegnar la lingua agli extracomunitari.

Per fortuna so far altro. Per fortuna ho testa, conoscenze, esperienza. E voglia di lavorare, di investire la mia vita in un lavoro che a lungo termine, possa darmi qualcosa.

Io sono una precaria, da anni, come molti, molti altri. Sono una di quelli che l’amministrazione pubblica, con grazia e accordi sindacali (e io che pensavo che il sindacato proteggesse me, e non il mio datore di lavoro..) ha deciso di tenersi per anni con contratti ad Hoc per se. Mi ha lasciata a casa qualche settimana, per poi riprendermi, per poi cambiare clausole e progetti.. ma alla fin fine, solo escamotage per sfruttare le mie competenze, alla stessa scrivania da anni. Le mansioni cambiano, le responsabilità arrivano, le grane, le conoscenze che devi avere, e pure le richieste di straordinari, di compiti extra lavoro, e le richieste di "sopperire" alle mancanze degli altri.

Ma sta bene, si investe. Si fa esperienza, anche se i trenta son passati. Sopporti anche le battutine degli amici, che "in comune non si fa un cazzo", certo. I comunali fan poco nulla, grazie ai pirla come me che, col ricatto sottinteso, sono i precari che salvan il culo ai titolari.

Beh, in sostanza, hanno "esternizzato" alcuni "eletti". A me han detto che sono un tecnico informatico (?) e che il contratto me lo fa un altr’altra azienda, ma rimango qui. Indi mi tolgono ogni possibilità di carriera in comune, di accedere ai concorsi interni, alla mobilità, oltre a ricevere quelle indennità dovute per la mia mansione. Ma, dicevano, vedrai che alla fine ti daranno quello che tu sogni di notte: il tempo indeterminato.

….ma chi te l’ha detto?….io non voglio nulla, nulla di tutto questo. Ho una dignità, la dignità del precario. Il mio lavoro vale, la mia volontà di carriera esiste, il mio diritto ad avere un lavoro per cui ho costruito il cammino, e per cui ho investito finora, vale.

A me, che mi sistemi il precariato, non mi frega un cazzo. Ecco, miei cari politici e politicanti, la mia risposta, bella chiara e tonda. Per quel che mi riguarda, faccio pure il precario a vita. Continuerò a non aver diritto a star male, ne’ ad accudire mio figlio se sta male, continuerò a non aver diritto a ferie e tredicesima, incentivi e promozioni, o accesso ai concorsi interni, o a poter maturare anzianità per sta fantomatica finanziaria. Continuerò a pagarmi il pranzo e la benza, senza alcun rimborso o buonopasto. Continuerò a pagare una botta di tasse perchè ho un cococo, prendendo metà di quanto prende la collega davanti, facendo pure il suo lavoro.

Ma avrò pur sempre la possibilità, ora o domani o forse mai, di riuscire ad avere il mio posto di lavoro, quello che mi spetta. Se ora ho fame, non regalarmi caramelle, per bearti della generosità davanti al paese: io voglio ciò che è mio di diritto. Rimarrò digiuna, rimarrò a casa, andrò a fare la cameriera al pub tutte le sere, orgogliosa di farlo. Ma non sfrutterai più la mia professionalità un giorno in più.

Grazie signori, ma non firmo. E raccolgo volentieri le mie cose dalla scrivania.

 

 

 

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L’Ipod suona i pezzi dentro la mia macchina, ripassiamo i cori sottovoce, che CC non ha voglia di chiacchierare. E’ nervoso, si lamenta per ogni cosa, mi sento tanto psicoterapeuta stasera.

Ho addosso la maglietta della Gibson presa con Ubi, mentre organizzo i cavi per i soundcheck, e sento che porterà bene. Non mi importa come e cosa, penso solo al mio amico, al suo lavoro, a tre-quattro anni di sonnolenza del suo disco (Corea esclusa..) e della sua voglia di riscatto, al di là dell’aver litigato coi suoi amici di una vita, al di là delle mani maleducate che han messo sottosopra i suoi pezzi, al di là delle esigenze delle etichette, che di musica non capiranno mai un cazzo.

Son le dieci e mezzo, e stiamo ancora provando i suoni. Che non vanno bene, e la cantante è costruita nel DNA per maciullare le palle per i suoni…ma stasera no, non è mica il caso. Devo fare da "mamma" ai miei amici.

Mi cambio e trucco in velocità, siamo sul "palco" quasi un’ora dopo. Per essere un giovedì di dicembre a Jesolo, c’è pure gente.

Molti errori di forma. Visivamente gruppo statico, errori di strutture e cori perduti. Cambio le seconde voci in tempo reale, basandomi su ciò che pigliano le corde vocali del mio amico, e canto piano piano..per dargli coraggio sotto. E nella realtà, non sento nulla, se non il piano (il cui pianista ho conosciuto mezzora fa).

Il mio flauto invece vola via, indomabile, va te a capire cosa diamine han mangiato le mie dita, oggi.

Si finisce. E io sono, comunque, contenta.

 

 

(e grazie al Bevirosso che s’è preso l’acqua per venirmi a sentire..)

post sopra l’albero.

post sopra l’albero.

Stamane messer squonk mi ha chiesto un nuovo "post sotto l’albero".

Immagino quindi ch’io possa pubblicare ora quel che fu nel 2005. Bell’anno davvero! A voi, miei cari.

 

Ma perché cazzo ho smesso di fumare?

Laflauta (http://laflauta.leonardo.it/blog)

Adesso me ne starei qui sul balcone, a maciullarmi i polmoni, a guardare il fumo che disegna un film già visto, aspirare l’aroma familiare della nicotina d’adolescente, che ti entra nella testa, ti rimanda a quando avevi il mondo tra le mani, ragazzetti ai piedi, cuore e sesso confusi l’uno nell’altro.

C’è un inferno di biglie impazzite che corrono per l’autostrada, migliaia di sfigati verso casa.

Famigliole ipocrite raccolte sotto l’albero, lei impegnata a sfornare le lasagne, perché glielo fa vedere lei a sua suocera come si cucina. Lui si annoia sul divano, zapping in tv, manda l’sms all’amante e pensa a come fare a farlo tirare stasera con la moglie. Si insomma, almeno a Natale.

Bambini isterici sotto l’albero, che buoni o cattivi sanno già che è tutto dovuto.

Il bambinello sta lì, sguardo vuoto e depresso. Si, depresso: l’avete mai guardato bene? Ha quello sguardo statico, convincente come la velina che vende calzini scozzesi, intenso quanto un piatto di polenta. La Madonnina lo guarda, presto diventerà la single più famosa dell’umanità. San Giuseppe premio Oscar come miglior comparsa nella Storia.

L’albero lampeggia, con un suo isterismo mica male, e illumina le bollicine che salgono dal mio bicchiere, un prosecco di Valdobbiadene, il migliore che la storia ricordi.

E’ il Natale delle single, delle amanti, fisse o occasionali, delle compagne part-time ; delle madri “un Natale a testa”; delle figlie di genitori troppo asfissianti, grazie sto a casa mia. E’ il natale delle masochiste, che vogliono tagliare comunque il panettone, alzare un bicchiere e brindare a quell’ammasso di stronzi che ti han lasciata sola.

Si, brindi. E dedichi pure quel primo sorso amaro all’uomo a cui l’hai data la prima volta, per liberarti dal cellophane del tuo incarto di donna appena fatta. Brindi all’uomo a cui hai dato fiducia, che s’è scordato di restituirtela. Brindi a quello che invece che sposare te, ha sposato un’altra.

Esco sul balcone. Cazzo, perché non fumo più? Guardo annoiata il marasma della vigilia, mentre io non ho obblighi, non ho legami, non ho vincoli, ne’ impegni per la serata. Posso ubriacarmi a volontà, e vomitare su di un prato fino a domattina. Posso tutto, ora.

Non sento più il freddo adesso. Tutti sono dentro alle piccole celle familiari dietro a piatti festosi, vestito della domenica, adolescenti scocciati silenti davanti alla tv, sposine con la gonna al ginocchio, uomini con cravatte a stringere una faccia di plastica. Sbircio dalla finestra i vicini e il cerimoniale assurdo, regali d’obbligo sotto l’albero, sorrisi di ricorrenza. Io ne sono uscita immune.

Sono davvero fortunata.

Mi godo le mani congelate, un po’ di sadico farsi male, leggero, poco impegnativo. Un piccolo brivido, non voglio rientrare, se fumassi aspetterei di fare l’ultimo tiro, quello in fondo, vicino al filtro, quello che brucia un po’ di più. Un po’ di tristezza ancora, e l’ultima boccata, fuori, tutto fuori. E spegnere sulla ringhiera la cicca, e i cattivi pensieri.

Peccato che ho smesso di fumare. Natale sarebbe un bel giorno per ricominciare.

E soprattutto…. per piantarla.

domenica

domenica

Mi getto sul pavimento, crollando dal letto. Masochistico modo di svegliarmi irreparabilmente. Solitamente crollo sulla ciabatta, come già detto, e passo il resto del giorno con un bassorilievo della stessa sul fianco sinistro.

Caccio il pupo alla "messa del fanciullo", e vado in riunione, all’Accademia, la scuola dove insegno. Che poi, le riunioni di mattina, per un musicista, son come lo squillo del postino alle otto con raccomandata da firmare. Non è etico, dico, non è etico.

Bloccati dalla fanfara dei bersaglieri, anche i miei colleghi parcheggiano a circa quindici chilometri dalla scuola, e tutti abbiamo occhiali coprenti anni settanta a coprire (ingenui) le evidenti occhiaie. Ripeto, non è etico.

Riunione: su 26 insegnanti, siamo addirittura metà presenti. Ovviamente, non siamo noi motivo di demonizzazione da parte del Direttore… ma visto che ci siamo, ci sorbiamo il suo discorso sfogatorio, intinto di ruffianate nei confronti dei singoli presenti, aneddoti lodevoli e riferimenti alle nostre presunte buone qualità. Io faccio man bassa, al solito merito della gonna e del ginocchio sexy (che altro non rimane, tra gonna e stivale, ma tant’è…).

Le maestrine frigide fanno clan, mentre io mi attornio dei maschietti del dipartimento di musica moderna, del quale son l’unica fanciulla (e chiamatemi scema..). Ascolto le fandonie dei classisti…e mi accorgo che noialtri, quelli che non leggono la musica (loro pensano), che non hanno il diploma di conservatorio (quando invece ne abbiamo almeno due a testa…e mica di canto corale..), che fanno "rok, giezz, canzonette..", noialtri dicevo, abbiamo tutti classi che funzionano, che interagiscono. E abbiamo (perdinci!) più allievi. Sorrido. Che vuoi farci.

Finisce la riunione con noi marziani che parliamo di un nuovo impianto voce, e il licenziamento, a due mesi dall’inizio dell’anno accademico, degli insegnanti di violino e di batteria. Sta cosa che, volendo, potrebbero mandare a casa anche me, mi perplime. La butto li al direttore, che mi consola ricordandomi il numero fisso di allievi che da anni mi segue, dalle iscrizioni che arrivano anche da fuori provincia, dal fatto che arrivino in Accademia in seguito alla mia fama di insegnante competente, e che son brava e simpatica e so lavorare bene….

….si insomma. Ho il posto sicuro, perchè il direttore mi si tromberebbe. Poche balle.

Passo a casa: mio padre ha fatto le lasagne. Che da noi, da noi si chiama Pasticcio. E il pasticcio di mio padre è completo, come la paella: ragù, formaggio, piselli, prosciutto, e una besciamella solida. Si, solida. Una fetta di pasticcio è solida come un gianduiotto. Sta lì ferma, come una fetta di torta al limone, coi pezzi di gelatina solidi sulla forchetta. Dicevo, mio padre ha fatto le lasagne.
Son crollate nello stomaco come un masso agganciato al piede dell’ex cognato d’un mafioso.

(ma come mi vengono ste metafore)

Gran finale a dieci metri da casa di dr.CC, con conoscenza diretta della scarsità di ottimismo della spia della benza. Spinta avanti da me e dalle lasagne in digestione, fino allo studio.
Sedendomi sul divano, con davanti le strutture dei pezzi (scritte a penna su dei fogli volanti sponsorizzati da qualche casa farmaceutica) e in mano il telecomando…ho compreso che mi divertirò un sacco. Ma, anche se ce la faccio, si che ce la faccio…ho tre giorni per imparare tutti i testi, le strutture, magari pure le musiche giuste (ma non è obbligatorio).

Scelgo quando cantare e quando suonare, col DJ che mi spiega effetti sonori da fare col flauto che si possono raccogliere esaustivamente in un "pensavo ad un ….fuuuu fuuuu furrrrr fufu…". Ammetto, 5 minuti ho cercato di comprendere cosa intendesse. Poi ho fatto una cosa a caso, giusto per dargli soddisfazione "eh, si, esatto, mi hai capito..". E taci che poi vanno a "suonare" i dischi, questi.

Finiti i pezzi, chiariti i cori, compreso che (io lo so, loro no) quella nona ascendente sarà un evidente problema, appellatami a numerosi santi e beati, anche quelli fuori calendario, spero di non tirare una maestosa stecca, di quelle che rimangono.

"…che poi registriamo il demo, quella sera"…..apposto grazie.

Torno a casa (dopo aver recuperato una tanica di benza) e porto il Gabry a mangiar fuori, come i bei. E gli racconto quanto mi scappa da ridere a essere, finalmente, in sta situazione.
L’uomo invece sa ottimamente far scene di inconsunta gelosia (perchè lo sapete no, che invece che alle prove ho trombato come un riccio con tutto il gruppo, ovviamente…), incitando il mio istinto, con incommensurabile entusiasmo, a spegnere il telefono.

Per chi vuole sentire la nona ascendente steccata, che venga qui , giovedì sera.

Per chi vuole assaggiare il pasticcio di mio padre, spedire eventuale gastroscopia preventiva alla mia mail.

Per chi vuole incontrare una delle pianiste frigide, dunque, dovrei avere l’indirizzo di un blog….mm…

Per tutti l’artri. Non fidatevi della spia della riserva.