nessun titolo
Scava la fossa, scava la fossa.
Immergi la vanga nella terra, prendi le misure del ricordo e del rimorso. Non c’è incuria, non c’è errore, ciò che potevi fare l’avevi fatto. E goccia su goccia una flebo di speranze di tenerla a fianco. Lei, e un trancio di esistenza che non vuoi mollare, dimenticare, superare.
Scava la fossa, scava la fossa.
Il sudore misto alle lacrime, vedi tutto opaco come opachi i ricordi della tua casa a Fontane, quando eri una ventenne malata d’indipendenza, e quei baffi e quel batuffolo multicolore entrava da padrona nelle due stanze ch’erano la tua casa. E facevano compagnia, e davano calore, e mettevano vita. Opaco il ricordo di averla portata nella tua nuova dimensione di sposina perfetta, poi a dormire sulla culla di tuo figlio, fino al terrazzo fiorito della nuova casa, oltre il guado. Ti ha vista passarlo. Ti ha accompagnata col suo esistere strafottente, che i gatti se ne sbattono se piangi, approfittano solo delle tue coccole disperate.
Scava la fossa, scavala fonda.
Che nessun animale venga qui, nella notte, a tirarla fuori, ormai blocco rigido, stecchito. La morte che la trasfigura, la vedi? La faccia reale della tua paura, della tua solitudine.
Liquido che passa, siringa su tubo, tubo su ago, ago su vena, sangue nel cuore. E il cuore si ferma. Freme ancora, eppure non c’è più vita. La copri, la metti sul suo trasportino rosa. Che a cosa serve ormai, come se potesse scapparle l’anima da li.
Scava la fossa. Scavala.
Riempila in fretta, riponila con cinismo, come cosa di ogni giorno. Un macellaio senza sentimento, il mucchio di luoghi comuni, era meglio così, la vita viene la vita va, e tu scavi. La vanga che apre in due le zolle, e tu sei solo una femminuccia, scavi nella terra che sembra cemento.
Le vesciche sulle mani. Un dolore sporco di terra, di rassegnazione, di rimorsi per non aver dato mille carezze in più.
Ricoprila. Ricoprila con terra, scava con le mani attorno e ricoprila. Disperati, fallo pure. Che questo tuo funerale privato deve servire. Fuori dovrai essere la solita cinica, fredda e calcolata, e dirai che il gatto l’hai messo in frigo, chi viene a cena? E la polenta, col gatto.. andrà bianca o gialla?
Sciocca donna, ridicola. Ricopri bene. Appoggiaci sopra un fiore, come ti ha chiesto tuo figlio. Il tuo cavallo, di là, nitrisce e chiama, che cazzo fai si chiede, a scavare in terra.
E un gattino nero, di pochi mesi, ti guarda da lontano. Vuole già riempire il posto vuoto.
Forse. Quando la terra dalle mie mani avrà smesso di bruciarmi la pelle, di bruciarmi l’anima.
Ciao principessa.