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roxanne…

roxanne…

Se mi devi insultare, segui la massa, dammi della puttana.

Questo sport popolare consiste nel fare allusioni sulla vita sessuale di una donna, solitamente ex moglie o ex amante, condendo con abbondanti metafore e amene oscenità.

Si parte dalla dicitura colorita degli usi e luoghi corporei, ci si sbizzarisce sul numero dei beneficiari, si specifica fantasiosamente sulla tipologia dei rapporti. La terminologia dell’atto si coniuga nei vari scopare, trombare, anche se in sensibile ascesa c’è lo "sbattere", forse per l’evidente diapositiva che il verbo suggerisce.

Il mio ex marito stamane mi ha illustrato la sua opinione sul mio modo di vivere, corredando con curiose metafore le orgie di gruppo a cui, a quanto sembra, parteciperei a giorni alterni. C’è pure qualche allusione ad un pronunciato lesbismo, probabilmente.  Fondamentalmente, nella vita, non farei altro.

Il mio uomo sbagliato propende invece per la versione sesso selvaggio, che la calura estiva mi suggerirebbe. Intratterrei via sms molteplici relazioni (ignoro come sia possibile il coito via sms) e mi divertirei in allegri festini (sadomaso?) con l’atmosfera della notte e la singletudine e libertà data da moroso lontano (inesistente?) e figlio in ferie. Per non parlare dei miei concerti, veri raduni di perdizione, in cui il sesso tantrico fa da padrone. Sono insaziabile, via.

Ma in sostanza, mi chiedo: se fosse, …………è un insulto? A me pare un piacevole augurio, una sana invidia, e comunque disegnano un’immagine di me esaltante, di una che se la spassa proprio.

Segui la massa, dammi pure della puttana. Chiamatemi….Roxanne.

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Ho la voce rauca, un’ora di sonno, il sale del mare ancora addosso, e negli occhi esplosioni di fuochi colorati nel cielo.
Davanti allo specchio, in un camerino di fortuna, coloravo di nero gli occhi, la maschera di scena per salvarmi, e coprirmi, l’anima disperata. Le mie dita pronte a scivolare sui tasti, vomitando note di rabbia travestendole di funky. E la nausea, la nausea delle bugie, del modo perverso con cui quell’uomo mi ama.

E poi, lui, che non ricordo il suo volto.  Non l’ho nemmeno guardato, credo, che non è nei miei canoni. E nemmeno ho fatto due conti, due valutazioni del caso. Non ho nemmeno fatto la gatta.

Ridevo, scherzavo, cantavo. La solita flauta compagna di giochi, così come sono. Senza provare a mentire. E un bacio grande, colmo di affetto, a riempirmi la guancia, in un mezzo abbraccio di chi sembra conoscersi da più di sole dodici ore, ed albeggia già.

Finisco i miei seicento chilometri, arrivo sotto la mia casa del compromesso, questo dannato vicolo cieco. Mi chiedo se sono legittimata a sciogliere i legami d’obbligo che ho, ora.

Non so se sperare in un’altra bugia, o in un’onesta verità, e di un colpo di scena. Come rianimare una speranza moribonda.

Oppure, che lui mi chiami. E che io abbia il coraggio di buttarmi, in qualcosa che non sia una notte.

Dormo un’ora, il telefono mi vomita cattiverie appena apro gli occhi. Cerca ancora il compromesso, temo non abbia davvero una coscienza. Nemmeno un caffè, e me ne vado in ufficio.

Dentro il bagagliaio, c’è una felpa dimenticata. Devo decidere io, che farne.

La battuta di ferragosto.

La battuta di ferragosto.

Scende dalla macchina, dopo una giornata di prati verdi e fiori che risveglierebbero i daltonici.

Che ci siam dette di tutto, direi. E invece no, ne avanza una. Una importante.

– ..lui sai…. lui ti ama da morire.

Appena smetto di ridere, penso che inizierò a frantumare di pugni i cuscini di casa.

Se sono arrabbiata? Assi, zia, incazzata come nei migliori film.

(chiuso il sipario, con la pioggia alla Blade Runner tutta intorno)

Calatrava Bridge

Calatrava Bridge

L’invito è, in questo desertico ferragosto, a guardare questo.

Primo, perchè è opera di Renato, un chitarrista speciale (lo sentite anche come soundtrack, infatti). Poi perchè è il contestatissimo ponte "moderno", che a me, non nego, piace. Anche se è difficile bypassare il fatto che sia costato un’indecenza. Qui c’è il romantico passaggio sotto il ponte di Rialto del concio centrale, sempre ad opera di Renato.

Venezia è la città in cui sono nata. Amo le sue calli, i suoi odori, i suoi problemi; la sua pigrizia, la sua puttaneria nel vendersi ignobilmente ai turisti, questi guardoni, gregge rimbambito che morde senza troppa poesia ogni palazzo, ogni campanile, ogni rio.

Senza capire, senza sentire, senza volersi perdere. Io adoro perdermi. Per ritrovarmi dall’altra parte, ignorando come.

E sto ponte? Probabilmente cozza. Magari avrebbero preferito una pessima imitazione dell’accademia. Ma a me, sto coso innovativo, moderno, rossiccio e mezzo trasparente, ispira. Penso ai racconti di mio zio, la Venezia contemporanea, con Nono,  con Sciarrino, con Poe, con Guggenheim, con l’arte e la poesia e la musica VIVA. Odio vederla sarcofago di storia e basta. Odio sapere che esiste solo Vivaldi lì dentro.

Quando ho potuto far la mia musica,  nella storica sala concerti di Palazzo Pisani, è stato come bestemmiare in chiesa forse. Eppure mi è sembrato risvegliare i putti degli affreschi. Giuro che ne ho visti alcuni battere il tempo col piede, sentendo il feel giusto, sul due e sul quattro.

E allora che sia Calatrava, perchè no.

 

Per i desperados del cazzeggio, vi butto lì anche quest’altro link, sempre medesimo operatore, qui nella sua veste giusta. La voce di Rosa merita, fidatevi.

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Il concetto è…. io un post impegnato lo scriverei pure. Inonderei questo insulso agosto con qualcosa di selvaggiamente profondo, o leggiadramente futile.

Ma poi chi lo legge?

Tutti in ferie siete, bastardi.

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E’ l’unica.

Balcone, sole e catino dove fingere il mare. E far finta di essere in vacanza.

Ho sbagliato, lo so che ho sbagliato. Una settimana (di febbre) all’elba, con gli amici (alias cucina, pulisci, fa la spesa…) all’Elba, troppo presto. E ora sono demolita, demolita.

Arrivano i colleghi, tutti abbronzatissimi e rilassatissimi, dopo quindici giorni di Islanda, Bretagna, Maldive, Corsica, ma pure Bibione Pineta. Ti raccontano dei pranzetti tipici, del mare beissimo, dei villaggi vacanze, dei meravigliosi paesaggi. E ti mostrano (apocalisse!) tre dvd di foto, tutte foto di panorami spettacolari. Non ha mai piovuto, non c’era troppo caldo, non c’era troppo freddo. E qui, e là, e però non si mangiava benissimo come qui in italia….

Già, a casa mia mangio meglio. Ma a casa mia non sto in ferie.

Ho fatto una grandissima, enorme cappella. Ricordatemelo, l’anno prossimo, che non ci devo ricadere.

Majorca, all inclusive, a fine luglio, villaggio vacanze con animazione per il nano, e assoluta mancanza di qualsivoglia rompimento di palle per la sottoscritta. Amaca, drink colorato e i migliori successi degli anni sessanta sull’Ipod.  Si. Manca solo un anno, ce la posso fare.

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Agosto porta all’isteria.

Eccoci qua, noi esuli figli delle ferie di luglio.

Qui a vagare per gli stessi identici link come fossimo invasati. Sperando in un nuovo commento, nuovo post, o nuova notiziola di gossip. Giriamo di link in link, scavando nei preferiti come un affamato in una dispensa vuota (che dico, manco la giardiniera dell’86 si trova più…). Cerchiamo su google ogni riferimento ad ogni nome, o nick del passato, consultiamo il meteo fino alle perturbazioni groenlandesi, e l’oroscopo 2008 (falsooo, falsooo..), impariamo a cucinare col microonde in tre mosse, e scopriamo l’ikebana dei tovaglioli di carta.

In sti momenti, mai uno scoop, un video porno su U-tube, un incendio, uno tzunami. Non c’è nulla da leggere, e nulla da scrivere. 

Vi prego, aiutatemi.

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Si, sono un’inguaribile ragazzina.

Posso contorcermi sulla panca di un piano mimando improbabili mosse da chitarrista epilettica, capello alla BonJovi first period, anima rock e altre affascinanti ciance. E sentire come musichina in testa l’Ombrella di Rihanna …..sarà che il titolo è in veneto. 

Sarà che ti prenderei davvero, qui sulla scrivania, di nuovo. Getterei in terra le carte inutili, senza altro ascolto che ai tuoi gemiti. Per riderne poi, riaggiustandomi la gonna, come due bambini che arrostiscono pannocchie rubate, con lo sguardo d’intesa dei migliori complici.

Voglio rimanere adolescente, e far la scema per la strada, sculettare salendo una scala, giocando scandalosa col ciuffo di capelli mentre chiedo un’informazione ad un vigile, rubare le gomme dal tabaccaio, suonare tutti i campanelli del mondo e fuggire via.

E chiamarti mentre guardi un film troppo spinto, e dirti qualcosa che tradirebbe la mia ostentata pudicizia.

Che me ne sento metà, leggiadra come una farfalla, chiassosa come una cicala, libera come la foglia nel vento. Nel cuore, più o meno, ho solo i cinque anni del mio primo amore.

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Dopo una 3giorni enogastronomica alpina, dopo le cene con gli amici, i pomeriggi liberi per poter cucinare in tranquillità, e con quel buongustaio di figlio-betoniera che si mangia anche il disegno del piatto di portata, arrivano le partecipazioni.

Apro la busta con terrore…. ebbene si, non mi sarà concesso nascondermi dietro l’organo tutta la cerimonia, dovrò inquisire il ristoratore del pranzo per sapere la tonalità precisa delle tovaglie, tra cui dovrò confondere le mie forme.

E non infierite. Lo so che sono quasi sempre rosa. E io odio il rosa.

Giacchè…ho preparato una lista. Una lista di cose che posso mangiare, per apparire tonica ed elastica tra ex vicini di casa, amici di un tempo, e possibilmente l’amico dello sposo da poco separato-triste-incercadiconforto (possibilmente post-tiraccontocomèfinitoilmiomatrimonio e pronto alla fase melavogliospassare).

Che la verdura gonfia, la frutta contiene troppi zuccheri, la carne ha troppe proteine, la pasta son carboidrati fissi, non parliamo di dolci ed alcolici.

Insomma, acqua.  Da domani post equilibrati.  

Il Gabry già attivo per stare al banchetto coi bambini, e io mi rassegno alla tavolata dei single. Perchè, amore mio, ti amo troppo per costringerti a seguirmi. Quindi mi sacrificherò a fingermi nubile.
Il vestitino di seta in stile "l’amica della sposa", le scarpette col tacco che mi faranno piangere al matrimonio (…), e il refrain del "ma chi me l’ha fatto fare". Io odio i matrimoni.

 

 

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Zum Zum….

Flauta, in versione "venezia73 in cinque minuti…." carica la contessa madre e il sociologo nell’amata enfant terrible, non senza problematiche di mal di schiena del sociologo (seduto dietro), gamba da bionicare (della contessa madre), e di notevole dose di sonno della taxista (me).

Zum Zum…

All’ospedale della città romantica, la contessa ne avrà per una decina di minuti, giusto per spararle un laser sul cristallino e renderla un ciccinino più sopportabile (che già ha un udito alla Beethoven, mo’ stava diventando cittadina praghense..) (questa è difficile. rileggetela di nuovo).

Zum Zum….

La contessa è molto teatrale, come l’indegna figlia, e il settenne nipote. Ma se nel penultimo esempio si tratta di inclinazione alla recitazione comico-sarcastica, per la contessa c’è una specializzazione nel drammatico. Lei non si fa un intervento in day hospital al cristallino….lei fa l’OOOPPEEERAAAZIOOONNEEE.  Pauuura. E barcolla, e soffre (minkia come soffre). E non vede, e non cammina, e non ce la può fare. Peccato che non consentano la soppressione di più di un famigliare (nel mio caso, il gatto) a settimana. Altrimenti portavo mammà dal veterinario di corsa.

Zum Zum….

Recupero la degente a Piazzale Roma, all’uscita dell’imbarcadero. Carico il santosubito sociologo dietro, e la contessa madre arlecchiniana (orbo de na récia, sordo de un òcio..) in fianco, attendendo un paio d’ore affinchè riuscisse a riporre gamba sinistra-natiche-schiene-ocioallatesta-gamba destra-braccia e quant’altro all’interno della mia fuoriserie. Mi son voltata più volte, che nell’attesa ho approfittato per un’abbronzatura lagunare a prova di scollatura.

Zum Zum…..

Il racconto in auto somiglia molto al bombardamento di Sarajevo, ma non mi sembra carino farlo notare. Eppure, dentro di me..

Zum Zum…… Sol (secondo rigo) Do (terzo spazio). Una quarta ascendente. Sol in levare, do in battere.

Si. Mi veniva continuamente da cantarla.

Zum Zum….Capitan Harlock!  Zum Zum….Capitan Harlock!!