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la risposta che non ho dato

la risposta che non ho dato

 

La vita non è di destra o di sinistra. Sento continuamente una risposta, in loop, in testa. Quella che non son riuscita a dirti mai.

Il mondo che io vedo non è destra o sinistra. Non è buoni e cattivi. E’ ricchi, e poveri. E’ imprenditori, dirigenti, politici, da un lato. E dall’altro, precari, impiegati semplici, ragazzi che sognano, che si lamentano, che si inventano.

Lodo Dio che mi ha concesso di appartenere alla seconda razza. Perchè non sono annebbiata dalla superbia di sapere cosa è giusto, perchè non ho Sky a decidere delle mie giornate, perchè non so donare affetto solo facendo regali, ma dando tempo alle persone che amo.

Io ho il tempo. Io so fermarmi. Non ho nulla, e quindi non ho nulla da perdere.

Posso riempirmi la testa di sciocchezze, come la cultura, l’arte, la musica.

Essere generosa, senza poterlo defalcare dalle tasse.

Poter essere stanca, e soddisfatta, non perchè ho guadagnato denaro, ma perchè sono orgogliosa di cosa ho costruito, e donato, ai miei ragazzi. O solo perchè ho fatto bene le mie piccole rotelle dell’ingranaggio globale.

Miseri. Miseri quegli uomini che hanno ogni risposta, hanno giudizi, opinioni imposte agli altri coi toni scurrili di chi si crede superiore. Chi aggredisce, come un grosso pitbull che ringhia da dentro una buca ai passanti intorno, che nemmeno lo notano.

Ecco, mi hai detto che tu non sei un precario come me. Con stizza, con arroganza. Come sempre, con quel tono di superiorità che qualche soldo in tasca pensi ti legittimi.

Ecco, la risposta che non ho dato: anche tu sei precario. Nella mia vita. E non t’assumo manco morta.

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Restare seduta mezzora all’interno ad un mediastore, per terra, con nano in fianco.

La gente intorno, aguardarci come fossimo zingari.

Ipnotizzati da un live sparato a palla dai woofer intorno, guardare il mio piccolo clone, estasiato quanto me. E vederlo, che dentro, è come me.

E l’emozione bagnata mi sfugge dagli occhi.

 

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A me viene in mente* solo che ci son cose che rendevano una cucina LA cucina.

L’intramontabile, tovaglia cerata. A motivi floreali, con fragolone e limononi, ma pur sempre orrendamente cerata.

Il calendario di frate indovino. Con pillole di saggezza varie, e previsioni del tempo già da gennaio. 

Il santino di Padre Pio. In alternativa od in coabitazione con la Vergine Maria.

E infine, una delle ante del pensile, storta. Anche chiusa, ma storta.

 

Io, con le tendine froufrou e il calendario delle formiche di Vettori, sono fuori tendenza.

 

*Da uno spunto del caporale.

bananaday – il giorno della cortesia

bananaday – il giorno della cortesia

Bussa e entra. Il tutto in una frazione di secondo.

Sto discutendo di una pratica con una collega, mi volto e lo sbrano.  Può attendere prego?, quando in realtà vorrei dirgli cafone maleducato, ma ti credi di essere in casa tua?

La capa mi ha detto ieri, dovete essere più severi, non potete sempre concedere tutto, fatevi rispettare diamine! …tutto perchè ormai il mio ufficio è divenuto un porto di mare.

Bon. Rietra l’imbecille. Gli dico "Senta, la prossima volta, attenda che la chiamo io, invece che fiondare qui in questo modo". Mi risponde, infervorato, "E’ un ufficio pubblico, quindi lei DEVE tenere la porta aperta! Lo pretendo!".

Eh?

Ho una banana sulla scivania, potrei ucciderlo con un solo gesto. Decido per un più blando scambio di opinioni. Sarà che tutti, ma proprio tutti, han dimenticato che esiste l’educazione. Quella di non tagliarti la strada, quella di non saltare la coda e sorpassare tutti dalla corsia d’emergenza, quella di fregarti il posto alla cassa e andare a prendere "giusto una cosa". Quella di finire il rotolo di carta igienica senza rimetterne uno nuovo.

Ebbene: domani sarà il giorno della cortesia.

Sorriso d’ordinanza, lascerò passare tutti al semaforo, ringraziando platealmente (con gesti della mano fino a bacio del cofano dell’auto del vicino) chi mi darà il tratto. Ringrazierò più volte per ogni gesto, saluterò ogni volta quando incontrerò colleghi per i corridoi, e sarò cordiale pure con le mamme delle mie allieve. Vi invito a fare altrettanto. Un virus di educazione e cordialità che si espanda per le nostre città.

 

Ma solo domani. Venerdì ricomincio a sbranare.

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collega – Tu però non sei una precaria vera.

fla – ..?

c – I soldi per te vengono dal Comune, certo. Però son girati all’azienda di fornitura informatica.

fla – ….e…

c – …quindi la busta paga te la da quell’azienda, ma i soldi sono del Comune.

fla – ..quindi è come se fossi…. 

c – ..però non risulti una dipendente. Quindi non rientri nei tagli del personale, o nella chiusura dell’accesso ai precari, o al trasferimento dei precari alle agenzie interinali….

fla – …ah… e dunque?

c. – ..tu sei sotto la voce "fornitura informatica". Sei come…. un server. Mica lo possono assumere o licenziare, un server.

fla – ….mal che vada, se mi brucio mi sostituiscono con un modello nuovo.

c -…esatto.

 

Fanculo al welfare.

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Il mio matrimonio è finito per colpa di un regalo.

Una termocoperta matrimoniale.

Quando eravamo "sposini" avevamo ancora il letto a una piazza e mezza. Ci amavamo tanto, stretti stretti.

Poi il letto a due piazze…ma una termocoperta a una piazza sola. Ci amavamo tanto, stretti stretti.

Poi è arrivata lei, la duepiazze. E il televisore in camera.

 

Meditate gente, meditate.

Update: nel senso che sapete cosa regalare a natale.

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Ancora la giacca addosso. Fisso il pavimento gettando ogni grammo del mio peso sulla sedia, immobile, spenta. Sono tornata già da dieci minuti, ma non riesco a scrollarmi da li.

Mi sento svuotata. Ho preso ogni energia e l’ho gettata in un concerto, ho corso per due settimane creando ritagli di tempo dove studiare. Ho pensato, fissato nella mente i particolari, inventato idee e soluzioni, tutto per un baraccone che ha dato, questo si, un ricordo e una lacrima a molti.

Ma ho corso, corso, corso. E arrivata li non ho pensato ad altro. Ho messo in ogni singola nota tutto quel che potevo, ho goduto per ogni frase, gongolato in quei brani che sembrano fatti per me. E avevo un suono, ah, un suono che entrava come un pugnale. Stavo bene. Li sopra stavo bene.

E gli applausi, belli, sinceri. E’ quello il mio mestiere, Dio se me lo sento addosso. Guardali, tutti pensano dalle mie note. Non si distraggono, rimangono sospesi tra le pause, si fanno prender per mano e portare per il pentagramma.

Ci sono due signori, in prima fila, di lato. Giusti li a sentire tutto. Li riconosco, sono i genitori di Mirko: si sono trasferiti qui da qualche anno. Mirko e io eravamo morosi, al Conservatorio. Era un genio, un musicista inarrivabile, ed è entrato in un’orchestra importante come prima parte. Vedo i suoi li, e mi sento un po’ in soggezione. Ma decido che lo dedico a loro questo concerto, loro che sanno, che conoscono, che capiscono.
Più in là il direttore della mia scuola, chissà perchè è venuto fin qui. E qualche collega, e qualche amico, e la "mia" Leti. C’è la chiesa piena.

E tanti non sono passati a salutarmi, dopo il concerto. Come se fossi diventata "importante", non so.

Fisso il pavimento, fisso gli istanti, assaporo gli ultimi particolari prima di scordarli, seppelliti dal prossimo concerto.

E adesso, mi chiedo, e adesso?

La mia routine, un testa o croce con la Stefi per vedere se lascio passare o lo mollo li, le lezioni, l’ufficio, e devo preparare la cena.

Il Gabry si siede sul mio sgabello da studio, e mi guarda. "A me non è piaciuta solo una cosa: che Mattia mi ha buttato via l’ultimo tappo". Il suo straordinario quotidiano, inarrivabile per me.

"Ma qualcosa almeno ti è piaciuta più di tutti?"

"..quando hai suonato quel pezzo da sola. Bello bello."

Anvedi, a mio figlio piace Debussy.

Okay, si riparte.

Tempismo

Tempismo

Mario – Ma come non c’era?

Fla – Ha inventato una balla per non venire. Attacchi di arteriosclerosi.

Mario – E quindi?

Fla – Ah non lo so. Non ci penso proprio per ora.

Mario – O te ne freghi, che tanto sai che è così, o tagli.

Fla – …e  tornare single?…

E in quell’istante, mentre attraversiamo la strada, suona il clacson, facendomi ciao ciao con la manina, il batterista.