nessun titolo
Arrivi in un ospedale. Io che purtroppo son avezza agli ospedali.
Porti i tuoi vecchi a fare una visita. Anzi, è mia madre (mamma mi riesce poco e male) a dover controllare ste ginocchia. Questo è un luminare, diamine, il tipico che da del lei ai familiari, e del tu al paziente, trattandolo come fosse un deficiente. Se mia madre non avesse una paura blu (e un dolore cane) lo apostroferebbe col suo modo austroungarico. Ma tanto non sente nulla.
Guardo i miei vecchi. E mi ritrovo a fargli da babysitter. Da "interprete", volendo dirla meglio, da "assistente". La pudicizia di mia madre, i discorsi che sviano di mio padre, questo gran magnate dell’ortopedia che mi parla, come fossi io a decidere.
Li vedo lì, l’azzurro degli occhi di mio padre, ancora incredibilmente in corsa. Quelli scuri di mia madre, ancora severi e con una luce perfida, sospettosa. E si perdono, in un bicchier d’acqua, cozzando con la mia innata e vitale organizzazione precisa degli "eventi".
Io a fare due battute a lei, distesa sul lettino, con solo la gonna alzata un poco. Che una contessa non si sveste. Il luminare strazia il suo selfcontrol impiantandole i pollici sul ginocchio, e decide per una infiltrazione, "intanto, per tirare un po’ avanti". Perchè tra il suo peso, non incredibile ma eccessivo per una diabetica con le ginocchia in pezzi, va sistemato. E mi guarda, questo sapientone. Come se io potessi controllarla.
Già. Io che lavoravo in figurella. Io che potrei, ma sto lontana. Eppoi, eppoi ho più confidenza con la postina che con mia madre. Io che le parlo, facendo una paradossale tirata d’orecchi ad una contessa settantenne, che diventa una bambina. E io che cerco di capire perchè diamine mi sento estranea a sta cosa.
Li porto a casa. Insistono per rimborsarmi della benzina. Mi consolo, non sono la sola ad aver una certa confusione col termine "figlia". Mi chiedo se mio fratello, che vive ancora con loro, li avrebbe accettati; forse funziona così. Non so.
Penso spesso che vorrei portare i miei vecchi qui o là. Vorrei che mi conoscessero, cavolo. Mia madre non mi ha mai sentita cantare. Ne’ suonare jazz. Ne’ tante altre cose. Siamo sconosciuti imparentati. Forse è da qui che ci si sente soli tutta la vita.
7 pensieri riguardo “nessun titolo”
hai ragione, e’ da li’ che ci si sente soli.
Io ho avuto un rapporto sempre molto conflittuale con i miei genitori. Solo quando è morto mio padre, ho cominciato ad avere un vero rapporto figlio/madre. Che strana la vita 😐
Credo che non sia mai troppo tardi per provarci. Per tentare una qualsivoglia apertura. E’ il vederli diventar in qualche modo dipendenti da noi che cambia le carte in tavola tutto d’un tratto. Io ho iniziato a parlare con mia nonna (ora 92enne) ben dopo i suoi 85… prima c’erano solo incomprensioni e occhi di ghiaccio. ;*
E’ che io non ce l’ho questa apertura. E a dirla tutta…nemmeno la voglio. Sarò forse la strega cattiva.
Mentre mio padre (vedi, non papà) era in ospedale, i rapporti tendevano al neutro. Io traducevo il linguaggio medico, rassicuravo, stavo distante.
Quando è tornato a casa, un “bentornato” e finita lì.
Dopo tre o quattro giorni, di nuovo il gelo.
Un po’ mi brucia
Leti
Se brucia è un buon segno. Io voglio pensare che non sia obbligatorio sentirsi figli, che un legame di sangue è solo dna, il resto si costruisce con altre cose.
Lo vedo in mio figlio, e in suo padre. Decisamente palese.
cazzo.