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E’ strano, non sento dolore. Solo un colpo rimbomba nel mio cervello, con un riverbero da basilica vuota.

Chissà dove m’ha preso.

Ma no che non mi ha preso. Son ferma qui in piedi.

Penso ai telefilm, alla pallottola che entra nelle fasce muscolari, le trapassa una ad una. Le pareti del corpo rosacee, fibrose, colonne liberty di una casa Milà qualsiasi, pian piano frenano la corsa, bruciando tutto al passaggio come lama calda nel burro. Si ferma da qualche parte, e sta là. Là ferma.

Le voci sfumate attorno. Luci pastello, si confondono l’una sull’altra, come le immagini che sbiadiscono, si stemperano nello sfondo. Voci del passato, voci della mia mente che trapassano quelle attorno.

D’incanto non serve che ti dica niente. I discorsi sono inutili, la rabbia si scioglie come quelle coppe di gelato sfuso, che corri a casa sotto il sole per farlo rimanere su. I miei buoni propositi, le mie frasi ad effetto, la quadratura del tondo, la logica dell’aver ragione. E’ panna che si smonta. L’oceano del tempo si ingoia il presente.

Mi crollano le gambe. Sento lente  le ginocchia che si piegano, battono in terra, in un rallenty romantico. Rimango ferma così, con una pace nuova, immensa, che mi solleva dalle ansie. Adesso basta, è conclusa la corsa, andranno avanti gli altri, io ho finito. Finito.

Il cuore batte lento, maestoso, rallenta come in un finale pomposo, wagneriano. La morte di Isotta, ah si, il maestro che alza la bacchetta verso di me, e il solo del flauto che s’alza sopra il caos degli archi. Quelle poche note, struggenti, alte, messe lì al posto giusto per squarciarti le emozioni in mille briciole.

Le ginocchia si allungano. L’inerzia mi spinge giù, verso il parquet, e sento piano la spalla caderci, rimbalzarci, portando la mia testa appresso. Sembro un pupazzo, torno su e crollo un’altra volta. Non sento nulla, nemmeno la sensazione del legno sul corpo, il liscio contorno del pavimento, le liste diagonali un po’ consumate dove ho camminato per anni, ballato, strisciato, amato.

Con la testa sul pavimento, guardo fisso l’angolo della parete che abbraccia il soffitto. C’è l’ombra scura del calorifero sotto, l’ombra di un quadro, e tutto fermo. Che assurdo. Fossi in un prato, vedrei il verde, gli alberi, o un cielo azzurro. O crollerei sotto la pioggia, con lacrime dolci ad accarezzarmi. E invece qui, a pensare che quando ho scelto zafferano, sceglievo l’ultimo colore che avrei visto. Dovrei ridipingere. Dovevo. Faranno.

 

Dovrei chiudere gli occhi, mancano poche battute a questo finale. Lo sto tirando lungo come Mussorsky, sui Quadri. Un movimento intero per finire, esagerato, lo penso ancora. E’ bello, è dolce star così. Non sei di là, ma non hai più le noie di qua.

Voglio sentire l’ultimo odore, eppure sento solo fumo di metallo, l’aria chiusa di questa casa, e polvere.

 I timpani rallentano, il mio cuore con loro. Un bolero che raggiunge il suo picco, e si lascia cadere, sull’ultima nota. Il silenzio dopo l’ultima nota. Chiudo gli occhi, spengo la luce.

Non sento applausi. Non più, qui.

19 pensieri riguardo “nessun titolo

  1. … e con le tue parole riesci a far restare senza parole me !

    Uffa, indecisa se spedirti un bacio o un calcio … quasi quasi ti mando un cacio …

    :-*

    🙂

  2. Hai fatto bene a dirlo a me… Sappi che ti capisco benissimo. Inutile aggiungere che molti, invece, sono troppo convinti di sapere ciò che è giusto o sbagliato… e non cambieranno neppure di fronte all’evidenza.

    Un bacio e una pacca sulla spalla. M.

  3. Ciak!

    Fine della scena.

    Dai, rialzati da terra, Flauta, che è arrivato il cestino del pranzo.

    Cotoletta spinaci e un panino, di ieri.

    GR

  4. ma gli applausi ci sono eccome.

    talmente forti che li sentiresti ovunque sei..

    ..spero cmq non sia riferito a nulla di troppo reale..

  5. un pò come in beautiful e associati che alla 3millesima puntata scopri che sono tornati quelli che erano morti :)) vabbè dai ti risparmio la faticaccia

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