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Non suono un corno

Non suono un corno

Iniziamo con l’enunciato “I cornisti hanno senso dell’humor quindi non mi toglieranno la vita nei commenti”.
Servirà un cazzo, lo so. Ma pazienza.

Si diceva: oggi parliamo del corno e i cornisti, quella triste categoria dei fiati che nasce e muore immersa in un mare di battute inutili.
E’ il corno in sé che fagocita nell’uomo medio (ma soprattutto in quello mignolo) l’allusione idiota tipo “allora tua moglie è cornuta ahahah” “ma allora non fai un corno tutto il giorno ahahahah” “ma quanti corni c’hai ahahahahah”. E niente, è un dato di fatto. Io, che suono il flauto, vivo quotidianamente le scemenze sul “quanti tipi di flauto suoni ahahaha” quindi niente, solidarietà. Fine.

Ma fosse solo questo. Povere stelle. Andiamo per gradi.

Il corno è un ottone, nel senso di strumento, non di pomolo della porta. E’ come una tromba lunghiiiiiiiiiiissssima ma attorcigliata stile girella Motta aggrovigliata, con alla fine una campana (quell’imbuto che sembra il centrotavola con la frutta dentro di casa Trump) grandissima. Ecco: la prima sfida del cornista (dopo quella contro le malelingue) è evitare che s’accrocchi la campana.
Ci riescono? No.
La campana del cornista chiama a se’ le ammaccature in modo direttamente proporzionale alle battute sul tradimento delle mogli.

Lo si suona con un’imboccatura. Sì, un aggeggio che è fatto tipo un cono dove ci suoni dentro e che finisce in un cilindro che poi metti dentro l’instrumento e ci soffi dentro e poi l’aria si espande nel corno e poi esce il suono e….
…..okay. Si chiama bocchino. Lo abbiamo detto. Bocchino. Sì, come quell’altra cosa, che palle che siete. Anni di lezioni concerto nelle scuole, anni di descrizione dello strumento agli alunni, anni da cintura nera di evitare di nominarlo col nome preciso. E niente.
E pensa che a volte i bocchini si smontano. E si fanno fare da altri (sempre meglio che comprarli fatti). E si tengono in tasca, per studiacchiare in macchina, in hotel, al parco. Spernacchiando per ore. Funziona così, poco da fare.
Per questo c’è un altissimo tasso di abbandono degli allievi di corno alle prime lezioni: “Prima devi allenarti a lungo solo col bocchino”.

Per non parlare del “devi farci dentro una pernacchia”. Poi dici che di storie d’amore con l’insegnante di piano è piena la letteratura, mentre i cornisti sono lì, onanisti, a far pernacchie. E’ che sulla tromba è figo, sul trombone poi… ma sul corno, sarà che L’IMBOCCATURA è più piccola e conica, niente, lo speeeeeet che ne esce sembra quello dei cuscini della ACME.

Ma questo è niente. La tragedia è un’altra. La tragedia sono gli armonici.

Nel corno ci son 4 tasti. Anzi no, leve. Anzi no, anche pistoni, dicono i viennesi. Vabbè, sempre 4 dita sono. Con quelle 4 dita si fanno fino a 5 ottave.
Ma la cosa più figa è che con la medesima combinazione di tasti puoi fare più note! bello eh! Dov’è la fregatura? …che non scegli tu che note fare.
Suoni, ed esce il primo armonico che gli pare.
Il corno è così, come una tastiera che ha il tasto con cui si suona il fa MA ANCHE il la MA ANCHE il do, eccetera. C’è un unico algoritmo affidabile per fare la nota corretta desiderata, si chiama culo.
Il culo ovviamente ci vede male, quindi funzionerà sempre:

1. a casa
2. durante il fortissimo dell’orchestra
3. prima e dopo il tuo assolo.

Si stravolge il concetto dello scrocco, perché in questo caso non si parla di “scrocco” per note sbagliate, ma di “oddio una nota giusta!”. E’ una prospettiva oggettiva.

Per non parlare di sta menata del trasporto… corno in fa, in re, in do, una dicitura simpatica sullo spartito e ‘sti poveracci non solo hanno sta scommessa sull’armonico giusto, gli si rovina la vita pure chiedendogli una prova infima di setticlavio avanzato. I compositori so’ bastardi coi corni.

Essendo animale da branco, il cornista viaggia in gruppi di 4: sviano così l’attenzione e nessuno capisce quale sia chi canna l’armonico. Sono furbissimi.

Non molti sanno che per ovviare alla sfiga, all’inizio del 700, i cornisti tenevano la mano destra sulla patta dei pantaloni. Visto che non era proprio elegante, si è scelto di adottare una tecnica differente, l’inserimento della mano direttamente dentro la campana. Un approccio un po’ ginecologico alla cosa, ai cornisti piace.
Dicono che quando l’assolo va a buon fine, si eccitino talmente tanto da dover svuotare le pompe. Dicono sia “condensa”. Dicono.

Infine, quando incontrare un cornista, salutatelo con trasporto. Per una volta, trasportate voi.

Un abbraccio, cari cornisti. In vostro omaggio, un lieto video del più famoso duo per corno solista.

(oh, se vi siete persi la puntata sull’oboe, la trovate indugiando qui)

 

L’oboe esiste.

L’oboe esiste.

Flauta per il sociale: inauguro oggi l’iniziativa “Conosci sto piffero”, ovvero farò una bella carrellata di strumenti musicali (a fiato, per ora) e loro suonatori (“buonanotte ai”).

Vedo una domanda rimbalzare nelle vostre menti: perché?
Molto semplice: perché il piffero è quello delle medie. Il flauto è solo quello traverso (l’altro è flauto dolce), il clarinetto e l’oboe non sono la stessa cosa, il corno inglese e quello francese non sono parenti, e soprattutto se lei suona il piano non è detto che lui la tromba.
Fine preambolo. Non parliamone più.
Mi avvarrò di amici orchestrali oltre ad attingere ai miei trascorsi e a milioni di luoghi comuni, tipo Brescia. Potevo dire Mestre, ma Mestre non fa comune.

Si diceva: l’oboe.

L’oboe NON è un clarinetto. Primo enunciato.

E’ la spalla dei fiati (ovvero, è il rappresentante unico, il boss, l’amministratore delegato) e sta a fianco del primo flauto. Il suo leggio lo becchi subito, ha la macchinetta (l’intonatore, visto che dà il La a tutta l’orchestra) e una scatolina cilindrica dove immerge l’ancia per inumidirla. Quindi: l’oboista ha un saaaaacco di saliva e un saaaaacco di vecchi contenitori di pellicole.

O meglio: i portarullini sono vintage, quindi stanno tornando di moda alla grande, ma sono stronzi perché ti si aprono in borsa allagando tutto. Le alternative: contenitori per le urine, provette, tubi Falcon (chicche per gli scienziati), contenitori delle marmellatine. Tanto lo so che state ancora pensando “CONTENITORI PER LE URINE??”.

Sono amabilmente chiamati Geppetti perché si fanno le ance da soli. (Anche per altro, ma no, vabbé, son cattiverie).
La leggenda dice che passino ore ad intagliare lamelle di canna (non quella canna, su, dai, fate i bravi), affilandole col coltellino, legandole a due a due attorcigliandogli un filo colorato, ed inserendole in scatoline di cuoio, tipo i proiettili in Roger Rabbit.

Per costruirle ci vuole del tempo, molto tempo. Molti oboisti comprano i pezzi di canna di bambù grezza da sagomare o gìà sagomata. Questa deve essere piegata e legata al cannello (quel supporto cilindrico foderato di sughero che viene inserito nell’oboe). Tra bestemmie varie, questo richiede una ventina di minuti per ancia. Lo step successivo, senza dilungarmi troppo, è aprire l’ancia e cominciare a grattarla e levigarla con il coltello. Questo passaggio può richiedere giorni perché, se si vuole ottenere una buona ancia, ci sono dei tempi di “riposo” del legno.
Non è dato sapere se un’ancia si sia mai trasformata in un bambino vero.

Ogni ancia può uscirti bene come meno bene, può essere adatta al solo della vita, all’anatra di Prokofiev o al solo di Pulcinella di Stravinskij, o a cacciare i piccioni dal balcone studiando lo staccato.
La mia amica Elena dice che devono starti addosso come scarpe su misura. Scarpe piene di segatura.

Prima di inserire l’ancia nello strumento, frullano. Ovvero: fanno PEEEEEEE. Serve a capire se l’ancia è umida o meno. Non so se sia vero, non ho mai avuto un moroso oboista.

Ecco. Le buone notizie finiscono qui. Il resto, ve lo anticipo con infografica:

L’oboe è fottutamente #maiunagioia.

Ha un suono figo, è nasale (un po’ come il clarinNO NON E’ UN CLARINETTO!) ma molto più elegante, femminile, struggente.
Si mescola coi timbri degli altri strumenti in modo sublime, talmente sublime che se lo magnano e non lo si riconosce più. A meno che non ci sia quello: lo SQUAK. E’ quel gracchio (detto in termine tecnico scrocco) che si ottiene calpestando per sbaglio un’anatra. E’ inversamente proporzionale alle ore di note lunghe studiate dallo strumentista, ma a volte arriva, bastardo, nel bel mezzo dell’assolo. E i colleghi, regolarmente, si voltano verso il colpevole scuotendo il capo con riprovazione.
L’oboista cercherà di dare la colpa all’ancia fatta male (quindi è colpa sua) o soffiando sulla meccanica mimando invisibili bolle d’aria che chiudono i tasti (certo, certo).

Come dice Elena: “Noi non scrocchiamo mai. Essendo l’oboe uno strumento semiautomatico, a volte la diteggiatura non è comoda come si vorrebbe, per cui in alcuni passaggi, le dita devono muoversi veloci e in posizioni anguste ed ecco che viene fuori lo scrocco”. Semiautomatico, dice. Pure noi flauti siamo semiautomatici, ma non scrocchiamo mai. Mai, eh? Mai mai mai.

Ed ora, sveliamo una grande verità: perché è proprio l’oboe a dare il LA all’orchestra?

Perché gli consentono di fare una nota all’inizio, per contratto. Poi gli si suona sopra. Tutti. E’ il bullismo orchestrale, baby. E comunque, se non gliela lasciassero fare da solo, poraccio, non si sentirebbe mai per tutto il concerto. Pucci.

Infine: l’oboe è bello, ma c’è sempre uno più bello di lui, per l’apoteosi del #maiunagioia di cui sopra. C’è lui, il corno inglese. E’ un oboe ma più figo, più grande, con qualche cupola sulla canna manco fosse una chiesa ortodossa. E fa i soli, da figo. L’oboe il lavoro sporco, l’inglese lo snob. E’ l’evoluzione, come i pokemon.
E non è il corno francese. Quello è n’altra roba. Non c’entra un corno.

Concludendo: se vedi un oboista, digli “Ma ciao! Ma suoni L’OBOE!” ed abbraccialo.

Perché instintivamente risponderà No è un obOH WAIT, hai detto proprio oboe!” e scoppierà in un pianto dirotto.

E non dire altro. Non dire “Mio zio suonava il clarinetto”, non dire “Dai fammi la papera!” e nemmeno “Abbellooo, anche oggi ti sei fatto le canne!”.

Chiedigli invece se ha un’ancia buona, oggi. Digli che domani sarà migliore. Digli che c’è sempre, in fondo al tunnel, un’ancia migliore. Diglielo.

Ovviamente, parlandogli sopra.

(Grazie alla mia amichetta Elena Giusto, oboista, per aver verificato che tutto ciò risponde a verità, il #maiunagioia in particolar modo..)