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Cielo.

Cielo.

Ed uscendo dall’ufficio, ho guardato in alto, lo scorcio di cielo tra un palazzo e l’altro.

Azzurro. Azzurro intenso.

E son rimasta lì, paralizzata, a perdermici. Un colore, ampio, pieno di energia e di grandezza, lontanissimo eppure ad un palmo dal naso.

E in un attimo, è esploso, assorbendo le forme dei tetti intorno, i rumori del bar, le auto parcheggiate, la gente che mi passava a fianco.  Immenso, infinito, sicuro di se’ e quasi strafottente della sua grandiosa ed uniforme bellezza.  Quasi un dipinto, con colori fatti di nuvole e gas e atmosfera e chissà cos’altro.

Un diamine di aereo, in cima, decise di tagliarlo, passando perfettamente in mezzo al mio scorcio di tetto azzurro, con la scia bianca spessa dietro, come un taglierino da sarta sulla tela.
Lento, altissimo, pieno di gente che va in ferie, eh sì, non può essere altrimenti. Gente che se ne va, che si staglia nel cielo col naso dentro un giornale, ed una hostess troppo truccata a portare carrelli di succo d’arancia annacquato.  Mentre io, ebete, li spiavo guardando per aria, ferma in mezzo alla calle, naso per aria, indifferente allo sguardo dei passanti intorno.

C’era pure una brezza bollente, di un’estate che s’è ricordata di arrivare, che si strusciava invadente sulla pelle.

A quel punto, ho dimenticato tutto e mi son messa ad essere felice.