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Categoria: nano life

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Arriva il giorno in cui ti volti e vedi lui, il tuo clone, molto più figo di te, essere un uomo.
E’ sempre lo stesso, gli stessi occhi azzurri e profondi, i capelli senza una volontà ordinata, il fisico slanciato e sbadato, il cuore immenso, delicato e tormentato, il carattere forte come il granito. Non più il tuo bambino, non più solo tuo figlio. Ti aggrappi al suo braccio, cerchi il suo conforto, ti aggrappi alla sua mano per attraversare, non più il contrario.

Non ci siamo mai allontanati.
Io ho vigilato su di lui e lui su di me, carezzando dolcemente i difetti l’uno dell’altro, coprendoci da grandinate di problemi, abbracciandoci e facendoci forti a turno attendendo che rischiarasse.
Ci siamo mandati al diavolo tante volte. Io di più, perché i genitori pensano sempre di aver ragioni migliori per perdere il controllo. Lui di meno, o almeno non sempre di fronte a me. Ma siamo sempre rimasti amici, famiglia, squadra.
E soprattutto, abbiamo vissuto un sacco di avventure. Abbiamo vissuto ben più del quotidiano. Abbiamo parlato di qualsiasi cosa, da ragazzi, da adulti, insegnandoci parti della nostra vita. Abbiamo volto lo sguardo l’uno verso l’altra senza doverci dire nulla. Abbiamo riso, santiddio quanto abbiamo riso, mille e mille volte. Ci siamo viziati di desideri, sogni, obiettivi, ci siamo presi cura l’uno dell’altro prevedendo le necessità dell’altro, in un equilibrio perfetto.
Abbiamo suonato insieme, in sintonia ancestrale.
Abbiamo cucinato l’uno per l’altro, abbiamo cucinato insieme.
Perché la cucina è come la musica, è un gioco di idee, incastri, rincorrersi e passarsi il cucchiaio. E far gustare tutto agli altri, che a noi piace un sacco già solo il prepararlo.

Stamattina è uscito prestissimo, con 19 anni nuovissimi, affrontando la sua vita così come l’ha voluta gestire, prendendosi responsabilità di azioni e decisioni, con equilibrio e lealtà.
Lealtà, come diamine avrà imparato ad essere leale in questo diamine di mondo. Lo guardo e non sento di aver alcun merito per quello che è, non sarei mai stata in grado di renderlo così.
E dicendomi “così” ho finito ogni aggettivo. Sono così grata di averlo come famiglia.
E’ la cosa più fottutamente bella che potesse mai accadermi.
Auguri Lele.

(Bus de la Genziana (BL) ramo a monte della Peppa)
Mio figlio è dislessico ed ha 7 in italiano.

Mio figlio è dislessico ed ha 7 in italiano.

Quattro anni fa uscivamo da una scuola senza vie d’uscita. Sembrava un incubo. Come fosse un tavolo, con quattro gambe, che non ne voleva sapere di stare in piedi.
Poi è arrivata la dottoressa Tiziana, conosciuta per caso grazie alla moglie del mio batterista, e con una serie di test è saltato fuori che il tavolo stava benissimo in piedi, bastava guardarlo dall’altro lato.

Anni di mappe, riassunti, schemi, modi alternativi di fissare gli argomenti. Anni di calcolatrici perse per casa, appunti passati via WhatsApp dalla compagna di classe e ricopiati da me mille volte, libri da leggere e verbi di inglese da schematizzare. E la matematica, ah la matematica, e Letizia che ci corregge al telefono, al volo, le espressioni che non tornano. E le leve, con Paolo che le schematizza in tre dimensioni con equilibrismi di righelli e matite (e accendini).

Dall’altra parte, litigi più o meno palesi, diplomazie e rincorse di suggerimenti e informazioni dai professori. E ognuno a dire quanto è simpatico ed educatissimo… dimenticando che potrebbero comprendere le difficoltà e ogni tanto interrogarlo, invece che puntare per pigrizia sullo scritto. Eppoi c’è la prof che ripete quanto è straordinariamente maturo e sveglio, pieno di idee e di interazione, compensando quell’altro che abbassa il voto perché “scrive disordinato”, come se la diagnosi di disgrafia volesse dire patatine.
Ed i compagni di classe, che non perdono occasione di infierire, con quella crudeltà tipica delle medie.

Eppoi son arrivate le superiori. Un altro universo.

Ormai il metodo lo si conosce, si sa dove insistere e dove accontentarsi, si impara quali sono gli ambiti in cui pretendere da se stessi l’eccellenza. C’è l’adolescenza, croce e delizia, e le redini da tener strette per non perdere l’obiettivo, perché basta una settimana “da mona” e ti prendi un’insufficienza dura da recuperare, un’amicizia dispersiva che ti cambia agli occhi dei professori, un amore fresco che ti fa perder la testa. Però ce la fai, sei dislessico, sei abituato a superare le montagne, a tener duro quando la testa è già stanca e le lettere svolazzano a destra e a manca.

Ed è fine anno. E guardi i tabelloni. E sei promosso, con una sfilza di otto (e pure un nove), e ti chiedi com’è che da dislessico adesso sei tra i migliori della classe. E sei orgoglioso, o almeno lo spero, quanto lo è la tua mamma.

Anni fa avevo scritto della prima diagnosi, perché non se ne parla nonostante i disturbi dell’apprendimento siano molto comuni, scambiati per svogliatezza o per “disabilità” (ma sta cippa proprio, eh).

Un esempio di cosa sia la dislessia?
Mio figlio, quando legge la parola Zortea (ridente paesino di montagna) legge “Zoreta”. Il suo cervello acquisisce l’informazione delle lettere e le ordina secondo un sistema per lui logico. Quando legge parole più comuni, come, che ne so, “LA FLAUTA”, magari legge “LA FALUTA” e poi deve riorganizzare nuovamente la lettura dandogli un senso che conosce, comprendendo che c’è probabilmente scritto il soprannome di sua madre e non un (che ne so) ulteriore paesino di montagna. 
Immaginate cosa significhi questo processo di elaborazione doppio applicato ad una pagina di letteratura…

Voglio riaprire il discorso perché quella pagina è stata letta da moltissime persone, con commenti e con mail private, nelle quali molti genitori ed adulti dislessici mi hanno confidato l’angoscia che prende quando devi affrontare, dal nulla, il discorso “ho un figlio dislessico”. Perché poi va a finire che non vedi vie d’uscita, è una salita dolorosa che mette alla prova genitore e figlio, anche nella stima di se’ stessi.
Ed invece, non serve uscirne: bisogna solo trovare i mezzi per proseguire. La salita poi si appianerà e si potranno superare anche gli altri corridori, facendo fiato ed ogni tanto… godendosi il panorama.

Il nostro panorama è questo: il tabellone di fine anno di prima superiore, ed un sette in italiano. Se si dava una mossa, magari diventava anche un otto, come in storia…. ma ci sta. Se ci voltiamo a vedere il sentiero percorso, comprendiamo di quanto importante sia questa tappa, in termini di fiducia, di obiettivi da rivedere, di ambizioni da ingrassare.

E adesso, si va avanti. Anzi, va lui avanti, ormai non ha (quasi) più bisogno di me…

Gli gnocchi del nonno

Gli gnocchi del nonno

“Gli gnocchi fatti in casa sono la specialità della nostra famiglia, mio nonno me li faceva più o meno una volta al mese; ma quando il gusto ti resta impresso nel palato non ha prezzo. Mio nonno li faceva con mia nonna e occasionalmente li aiutavo. Quel piatto di gnocchi, con il ragù fresco di freezer, quando ti arriva il piatto, con la fragranza che incontra il tuo olfatto poco raffinato, capisci subito che è un piatto rustico e raffinato. Il piatto è composto e posizionato “alla buona”: uno strato di gnocchi fumanti con una sfumata di ragù di capra o qualsiasi altro ragù, perchè quel piatto sta bene con qualsiasi condimento: passata di pomodoro…oppure semplicemente in bianco. Io non ci riesco mai a resistere al gusto e al sapore di un buon piatto, perchè non tutti i piatti sono uguali, ognuno ha la quantità nel più e nel meno di ragù e di gnocchi, ma ognuno ha dei sapori unici e ineguagliabili.

Da quando mio nonno morì provai in tutti i modi a rifarli, ma quel sapore magico, quell’odorato fantastico, quasi surreale, non lo sentii più. E’ passato quasi un anno e credo che quel sapore non ritornerà.”

Gabriele, 12 anni.

Mio figlio è dislessico

Mio figlio è dislessico

Vorrei tu sapessi tutto, conoscessi questi nostri anni, comprendessi ciò che abbiamo vissuto. Per poi essere pronto, se questa avventura capitasse a te.
Vorrei farti vedere le lacrime di un bimbo che inspiegabilmente non imparava, che non sapeva memorizzare una tabellina ma poteva usare le parole come poesia.
Vorrei farti sentire la frustrazione di non riuscire ad aiutarlo, finendo la pazienza e la voce a suon di sgridate. E i dopocena sopra i libri, l’ortografia inesistente, il caos dei quaderni. E le pagelle, le maestre, le spiegazioni di com’è tuo figlio, come se non lo sapessi.
Non è poco intelligente, ma è distratto, disordinato, fa confusione. E non possiamo mica seguirli tutti, sa.

E intanto, tu vivi a fianco a questo bambino. Strepitoso, geniale, simpatico, educato ed obbediente, stimolante, ed estremamente creativo. Lo guardi, e ti chiedi cosa diamine gli impedisca di riuscire a scuola. E scacci i pensieri sul riuscire nella vita, perché non può non riuscire con tutte le doti che ha.

Ma ogni giorno la sua fiducia scende, la stima in se’ stesso crolla, e lo senti troppo spesso darsi dello stupido, dell’incapace.
Poi si aggiungono i compagni di classe, che lo canzonano sempre più ferocemente, convincendolo ancor più di quel ruolo, isolandolo dalla sua società scolastica.
E tu, madre, hai poco da fare: la sua vita è ora l’accettazione nel gruppo, non più l’amore di mamma. Riempi l’aria di prediche, discorsi, e continui a dirti… Cosa diamine c’è che non va. Sei così intelligente e maturo. Perché diamine non riesci a leggere velocemente, perché sbagli a caso le lettere, perché sei così distratto?

E ti disperi. Ti incolpi di non seguirlo abbastanza, o troppo. E chiedi aiuto, ma non sempre trovi le persone giuste, gli aiuti giusti. Anzi, di solito non li trovi proprio.

Così magari ti ritrovi a parlare, ancora, con una professoressa che ancora, e ancora, ti ripete le medesime cose, e non ce la fa, e magari deve maturare, è distratto, svogliato, magari ha problemi. Ne senti, ah si, di tutti i colori.

Ecco. Se ti capitasse, non smettere di cercare. Perché potresti trovare qualcuno che sa capire che hai un figlio straordinario, anche troppo: è dislessico.
Potresti imparare che non c’entra un cavolo coi problemi di pronuncia, magari tuo figlio ha una proprietà di linguaggio straordinaria, appunto, data dalle sue doti pazzesche, che vedono oltre le lettere, oltre l’astrattismo di regole di ortografia o la noia di numeri senza logica.
Un figlio impegnativo, ma stimolante, che vede il mondo in modo diverso, esploso nelle sue parti, un prisma di diversi toni attorno.

Ecco, quel giorno saprai che la scuola è ora obbligata a crescerlo secondo la sua splendida attitudine, e tutto sarà così logicamente semplice, tempo perso insistere con metodi inadatti, il modo giusto è così ovvio, semplice, sereno. Basta modificare il modo, la quantità, e la qualità sarà la stessa, i risultati saranno quelli richiesti.
Quel giorno dovrai rimettere i pezzi a posto, e cominciare a restituirgli il suo valore, la stima di se’, la considerazione degli altri. Dovrà cominciare ad amarsi come l’hai sempre amato tu.

Per me quel giorno è oggi. E il resto che voglio è che tu, e chiunque tu possa conoscere, sappiano tutto questo.
Perché non voglio che nessun altro bambino soffra, solo perché non ci si è ancora accorti che è, meravigliosamente, dislessico

La Luna Splendente

La Luna Splendente

Ti vedo

lì nel cielo notturno

e sento che canti tante melodie

te ne stai lì tranquilla

ma non mi parli,

sogno una serata romantica,

spero di vederti ogni sera.

by Gabriele

nessun titolo

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*

Ho visto cose che voi umani….

 

Bambini di quattro anni vestiti da spiderman, con inquietanti pettorali di gommapiuma .

Damine color confetto, truccate da trans, antipatiche e odiose come solo le bambine di nove anni sanno essere.

Assortimento di cowboy con identico costume, che all’Auchan quelli sono, e le nonne che cuciono un originale costume di carnevale sono estinte dal Secondo Giurassico.

Pallottole di pelo colorato, indecifrabile, con faccini di neonato che spuntano con sguardo post-LSD, incastrati in passeggini che non fanno per niente pandant.

Mamme vestite da streghe. Anzi, mamme streghe vestite (come non bastasse) da streghe.

Papà disperati. In mezzo a nuvole coriandolacee e ricoperti di fili gommosi fosforescenti, cercando intorno un complice alla fuga, muovendo il labiale, chiedendo A I U T O. Loro volevano solo trombare, quella sera. E invece prima son arrivati i figli, i pannolini, no stasera ho mal di testa, e adesso l’apocalisse: il carnevale in piazza. Tutto per una trombata. Ma me lo taglio, io, me lo taglio.

Le nonne. Le nonne che trascinano i bambini in questi vortici di caos, per far vedere alla vicina del piano di sopra "quanto è bello vestito da pulcino il mio nipotino" (di quindici anni).

Le squadre di ragazzetti. Vestiti da punk, coi capelli gialli e chiazze di schiuma in tutto il corpo. E la giacchetta jeans con le scritte, fatte con l’uniposca venti minuti prima, questi ignavi, non possono nemmeno capire cos’era essere un paninaro autentico.

Le famiglie vestite da pagliaccio. E non commento oltre.

Un unico comune denominatore: tristezza. Tutti con un muso lungo, ma lungo, a comprare un sacchetto di coriandoli a venti euro, una bomboletta spray di stelle filanti a centoquindici, un palloncino a forma di Burt Simpson con regolare fideiussione e rate fino al duemilaventiquattro.

Io e il nano percorriamo, quasi indenni, la bolgia. Ci infiliamo in un bar, tramezzino e spritz. In un angolo, una famiglia. Sfinita. Distrutta. I tre figli, una Winx* e due gemelli  cowboy, han finito le stelle filanti dello spray, e si menano direttamente con le bombolette in testa. I genitori sono incapaci di reagire, sguardo vacuo, nemmeno un tentativo di sedare la rissa.

Abbraccio mio figlio, con trasporto. Torniamo all’agenzia viaggi da dove eravamo appena usciti. Abbiamo deciso, tour archeologico e crociera sul Nilo. Per il villaggio vacanze con tante tante famiglie e tanti tanti bambini e tanta tanta animazione, non siamo ancora pronti. Non ce la possiamo fare.

 

*eppure anche nelle winx c’è una flauta….

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Ieri sera MTV trasmetteva i video anni 80. David Bowie, con un occhio par sorte, gli Wham, con George Michael in minishort pastello, che ci si ostinava a ritenere etero, e Michael Jackson ancora nero.

Giunto il momento di Thriller, ho intimato al nano di fissare il televisore, perchè quello è il re dei re dei video musicali, mica ciufoli. Costosissimo, lunghissimo, ricordo ancora Cecchetto che lo presentava in anteprima italiana a Popcorn. Ostia. E spiego all’annoiato nano di come, prima delle colate plastiche e delle lampade inverse, quello lì era un mito. Che forse solo Madonna e i Beatles.

(chiedimi chi erano i Beatles, chiedimi chi erano i Beatles……)

Il nano si volta, giusto per stima nei confronti di mamma. Guarda e vede subito la scena dello zombie che gorgoglia sangue dalla bocca. Mi dico, si spaventerà. Macchè. Obbietta che gli zombie mica ballano.

– …e vabbè ma è un video. Il più costoso della storia, all’epoca almeno. Eppoi guarda, mo’ si gira e torna umano….

Il gabry mi scruta, lui che fischietta Smoke on the water mentre disegna, vede sua madre indiavolata per un adolescenziale ricordo, e si vergogna. Comprendo infine che siamo di due pianeti diversi, quando declama il suo disinteresse, ed esclama:

– …ha i calzini bianchi. Come DIAMINE ti poteva piacere uno coi calzini bianchi?

 

…mi perplimo. Per il mito crollato. Per il calzino bianco. Per il "diamine" detto al posto di "e che cazzo".