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Categoria: Musica

In cosa consiste il decreto sulla musica dal vivo.

In cosa consiste il decreto sulla musica dal vivo.

Ieri è passato in Senato (EDIT: ed anche alla Camera) quel punticino in cui si propongono nuove regole per poter organizzare eventi dal vivo. La musica dal vivo liberalizzata, yeah yeah, eccetera. (Su Repubblica sembra davvero tutto figo)

Ma io (che già mi son sposata una volta e ho imparato che certi begli avvenimenti magari nascondano delle chiaviche niente male) non mi sento di far festa ed aprire bottiglie. Mica solo perché tanto deve prima passare in Parlamento (EDIT: è passato, l’8 ottobre). Sarà che tutte ste cose annunciate in pompa magna mi insospettiscono sempre, beh, mi son informata, ho cercato dei riscontri reali.

Passo a pie’ pari sulla discussione in aula, non me ne vogliate, avrei un sacco di battute per quel cabaret, se non fosse tanto triste il repertorio su cui ironizzare. Vi rimando al sito del Senato per i dettagli di colore.

Il decreto si concentra su una fascia specifica di spettacoli dal vivo: quelli con un limite di 200 spettatori, con durata che non superi le ore 24.

– Ma finora serviva l’autorizzazione?

Ecco: in circoli privati o teatri no, ma nemmeno nei locali. Poniamo esempio, la mia regione cita la L.R. 29 art.31 del 25/09/2007 cita esplicitamente :

Art. 31

Attività accessorie

1. Fermo restando il rispetto della normativa vigente in materia, le autorizzazioni di cui all’articolo 8, comma 1, abilitano all’installazione e all’uso di apparecchi radiotelevisivi ed impianti in genere per la diffusione sonora e di immagini all’interno dei locali abilitati all’attività di somministrazione e non allestiti in modo da configurare lo svolgimento di un’attività di pubblico spettacolo o intrattenimento.

2. Le autorizzazioni di cui al comma 1 abilitano, altresì, alla effettuazione di piccoli intrattenimenti musicali senza ballo in sale dove la clientela accede per la consumazione, senza l’apprestamento di elementi atti a trasformare l’esercizio in locale di pubblico spettacolo o intrattenimento e senza il pagamento di biglietto di ingresso o di aumento nei costi delle consumazioni. È comunque fatto salvo il rispetto delle disposizioni vigenti ed, in particolare, di quelle in materia di sicurezza, di prevenzione incendi e di tutela dall’inquinamento acustico.

Quindi, se suono in un locale, senza maggiorazione ai tavoli o biglietti d’ingresso, il gestore non ha nessuna autorizzazione da chiedere. 

– E allora chi chiede l’autorizzazione?

Chi organizzava un evento o manifestazione magari in luogo pubblico, in un parco, una piazza.

– Come funziona sta cosa di chiedere l’autorizzazione?

Si va in Comune, si compila un modulo, in marca da bollo (da 16 euro). A seconda del tipo di evento si allegano una planimetria dell’area interessata, foto delle eventuali aree verdi, programma dettagliato della manifestazione, dichiarazioni varie (di chi organizza, soci, gestori punti ristoro, ecc). Di solito si dovrebbe presentar domanda 60 giorni prima dell’evento, ma spesso la pratica si conclude in una settimana, in tempo anche per i ritardatari. Versamento dei diritti di istruttoria (qui da me son 100 euro). L’ufficio prepara la pratica, richiede i diversi pareri (polizia municipale, verde pubblico, eccetera) e prepara l’autorizzazione. E’ tutto piuttosto veloce (qui da me, almeno) e serve a verificare che ci siano le condizioni, di sicurezza in primis, per una tale manifestazione. Per grandi eventi è utile anche per predisporre un servizio di sicurezza o prevedere ambulanze o quant’altro, prevedere i flussi (affiché non ci sian blocchi del traffico, eccetera).
Se agli eventi partecipa anche l’amministrazione (spesso accade) questa trafila la segue il Comune direttamente.

Arrivati i pareri, preparano l’autorizzazione e l’organizzatore va a ritirarsela (con un’altra marca da bollo da 16 euro).

 – Cosa propone invece il decreto valorecultura?

Una semplice Scia, in cui si comunica la manifestazione. Nessun pagamento, presentazione al Comune e via, ma attenzione, solo per manifestazioni sotto le 200 persone. Se io organizzo un concerto in piazza è complesso prevedere che ci saranno solo 200 persone…..  Per i locali si continuerà a non pagare e richiedere nulla come autorizzazione, come ho spiegato prima, a meno di biglietto di entrata o maggiorazioni.

– Quindi abbiamo VINTOH!

No spetta…. quanti concerti/evento si fanno, su suolo pubblico/privato e sotto i 200 spettatori, e non in locali o teatri? Una piccola fetta. Comunque un successo, in questa Italia che non ne viene mai fuori dalle scartoffie.
Gli stessi impiegati che ho contattato mi hanno confermato che era una logica conseguenza di tutto un meccanismo di semplificazione burocratica, che strozza più gli uffici comunali che il singolo cittadino. Insomma, non sono molto sicura sia una vittoria di una petizione online, come ho letto in questi due giorni.

– Ma quindi si aiuta la musica dal vivo o no?

Il macete vero e proprio, quello che cala sulla testa dei gestori/organizzatori che voglion far musica, ma soprattutto sui cachet (e sui contributi previdenziali) dei musicisti, è sempre quello: la Siae. Ben più costoso di quei 132 euro (ipotesi veneziana) di autorizzazione comunale che risparmieremmo ora. Quindi, a conti fatti, è cambiato ben poco: la Siae si continuerà a pagare.

Però. Però sembra che il discorso SIAE e legislazione del nostro mestiere sia prepotentemente entrato nell’OdG del Senato. Sembra che a passettini qualcosa si muova. Poco, ma si muove.

Ora: della vittoria (circa) di ieri si son presi i meriti tutti. Da chi ha firmato la petizione, a chi l’ha proposta, esposta, a chi l’ha sostenuta, a siti singoli, associazioni e quant’altro.  Eh, ma mica è finita qui, raga. E’ lunga, mica possiamo accontentarci delle patatine. Dobbiamo continuare l’opera di condivisione e martellamento di media e quant’altro, abbiamo diritto al pranzo completo. E se faccio una metafora col cibo quotidiano, eh, chiedete ad un musicista quanto sia appropriata…..

 

L’educazione alla buona musica (come provare a cambiare il mondo)

L’educazione alla buona musica (come provare a cambiare il mondo)

Gabry Drummers sepia

 

Sto raccogliendo idee e spunti per proseguire il discorso iniziato (con una eco mica male) nel precedente post, sono stata rimpinzata di commenti e ottime ipotesi… Bello. Chissà se in parlamento funziona così.

(pausa attonita di riflessione)

Ehm. Dicevo.

Nei tanti discorsi ho colto tanto, tantissimo sconforto. Colleghi, amici, rassegnati, nauseati da una realtà musicale in Italia che fa venir voglia solo di fuggire all’estero. Certo, mica è solo la musica, è tutto il panorama etico che è crollato, un becero quotidiano fatto di scemenze, volgarità inutili, valori da dittatura. E così abbiamo ragazzine di 12 anni che si vedono grasse, giovani che non studiano ne’ lavorano, mondi che passano attraverso schermi touch, come se tutto, anche un amore sbagliato fosse possibile bannarlo, o cambiarlo con un lieve gesto d’indice nell’aria.

Volendo metterci del nostro, come possiamo cambiare le cose? Come cercare di cambiare il mondo musicale, il “pubblico” stesso, le nuove generazioni, i nuovi musicisti? Come rialzare la nostra arte, rieducando il mondo ad un livello più alto e differenziato della musica?
Ho (ormai l’avete capito) qualche idea (che vi snocciolo con la solita storia dei punti programmatici).

1. Si parla spesso delle “scuole medie coi flautini dolci”, come se ci fosse una delega totale all’educazione dell’orecchio alla scuola dell’obbligo. Ma quando mai. La musica si impara, come la parola, come la pipì sul vasino, come la forchettina e il bicchiere con due manine, da mamma e papà .
Pensateci: la quantità di musica che ascoltano i bimbi è di dubbia qualità. Spot televisivi, sigle, gingle. La caratteristica principale di questa musica è commerciale: ripetitiva, semplice, non orientata alla ricchezza di armonia o di suoni, bensì concentrata sulla memorizzazione del prodotto, sul ritmo. Musiche preparate spesso in fretta, con una tastiera, nella stanza del pubblicitario, o ritagliate da cose più complesse che perdono il significato complessivo. La musica diventa un sottofondo, l’attenzione è rivolta a parole o immagini, non ai suoni.
Poniamoci l’obiettivo di far ascoltare, solo ascoltare, la musica. Quella che a noi piace, perché no. Stimoliamo il bimbo a ballarla, a battere il tempo, a muoversi secondo il fraseggio della melodia, facendogli riconoscere i passaggi armonici (eccerto) suggerendogli che sono, semplicemente, suoni diversi. Canticchiamo le parti degli altri strumenti, le linee melodiche secondarie.

Tutto questo perché? Beh, amplieremo la sua attenzione sonora, svilupperà un’intelligenza musicale, utile nell’identificare meglio una voce o un suono nel caos. Lo agevoleremo nell’essere intonato, come nell’avere senso del ritmo, con evidenti facilitazioni nella sua vita sociale (chitarrista=donneapalate, quellocheportaidischi=sfigato=speriamoabbiajudo).
Ma soprattutto, cresceremo una generazione che non si accontenta delle melodie tutte uguali, o di un tamburo che pesta e ciccia. Cresceremo figli che ameranno un gruppo musicale per la musica, non solo per la pettinatura o i video trash.

Lo so che vorreste che io facessi esempi. Naaaa. Non ci casco. Tanto avete capito.

 

2. Come insegnanti di musica si ha, ovviamente, un ruolo privilegiato. Il Maestro è un guru. Peccato che spesso ci dimentichiamo che non dobbiamo solo insegnargli le scale e i pezzi, abbiamo/possiamo avere un ruolo straordinario nel crescere i giovani musicisti. Prima di tutto, insegnargli la storia della musica. Appassionarli con qualche aneddoto, con indicazioni precise sui brani, sia di classica che di pop. Dargli due indicazioni armoniche (basterebbe solo fargli capire i “colore” di un accordo, di una cadenza, di un giro), ragionare sulle strutture, spiegargli i particolari a prescindere dal fatto che li possano riprodurre.
Ma ocio. La chiave è una sola. L’entusiasmo. Dobbiamo trasmettere la nostra passione, la nostra cultura, a prescindere dal fatto che forse, all’inizio, un po’ si annoieranno e ci snobberanno. Capiterà che la ragazzina innamorata degli OneDirection (ok, l’ho detto) vi arriverà un giorno con un brano di Nina Simone. Dobbiamo dare l’acqua migliore ai nostri fiori, concimando con le nostre conoscenze. Più siamo noi ad averne, più le potremo trasmettere.

Non si dovrebbe mai screditare i loro gusti, semmai aver pazienza di far comprendere loro quali musiche sono “cloni” le une delle altre e quali invece possono aprirgli le orecchie, e il cuore. Dobbiamo educarli al gusto, a riconoscere la bella musica nelle caratteristiche più profonde. E magari dargli un po’ di fiducia e ascolto, analizzando con loro i brani preferiti.

Cresceremo una generazione migliore.

3. Vi capita mai di avere amici che vi fanno domande musicali? Da musicisti ci sentiamo sempre delle fighette, ce la tiriamo come una fionda e rispondiamo con altezzosità. Ecco, penso si possa migliorare il gusto del mondo proprio partendo dagli amici. Io ne ho molti che, ai miei concerti, mi dicono “mi è piaciuto tanto ..ma io di musica non capisco nulla”. Eppure io chiedo, stimolo all’analisi, mi interesso sinceramente alle loro impressioni. A volte sono strabilianti.
Parlarne, spiegare in termini semplici, accettare anche qualche uscita infelice, senza incazzarsi come una iena uscendo con bestemmie se uno confessa di apprezzare All… Albano. Spieghiamo, proponiamo un’alternativa.

Tante volte mi capita di parlare di musica con gli amici, a volte di cose complicate, da tecnici. Ne parlo loro come fossero musicisti, a volte mi dicono “oh non capisco niente ma ti ascolto lo stesso”: è un pregiudizio, quello che chi non suona non può capire. La musica è una cosa semplicissima, basta chiudere gli occhi e sgomberare la testa.

Siamo capaci tutti. Poi se impariamo ad ascoltarla, ascoltarla tutta, dalla prima nota al colpo di rullante, allora è ancora più figo.

Anche perché la Siae si paga uguale, per la musica bella e per quella brutta. Almeno proviamo a far apprezzare di più quella bella, no?

 

P.S.
Nella foto, Gabriele, un decennio fa, con la sua prima batteria (orgoglio di mamma flauta)

 

 

Il Saggio di Musica

Il Saggio di Musica

Per molti sta solo finendo la scuola, per altri è l’inizio della definizione delle vacanze, per altri inizia un rilassante periodo di vita all’aria aperta, movimento, cibi freschi, sole, film anni ottanta alla tv.
In realtà, non c’è niente da rilassarsi: a fine maggio ci sono i saggi. Gli stramaledetti amati saggi di musica.
I saggi sono quel momento in cui i tuoi allievi devono dimostrare che i soldi versati dai loro genitori siano fruttati, a prescindere da capacità o applicazione dei figli. Tutta la famiglia investe nelle lezioni settimanali, in denaro e tempo e spostamenti e tagliando del parcheggio, per potersi recare, con nonna e zio con telecamera al seguito, dentro un teatro/auditorium/salaconcerti ad applaudire il pulzello di casa.

I ragazzini vengono agghindati con camiciola e gilet (che non metteranno in altra occasione se non al prossimo saggio), le fanciulle con gonnellina e ballerine, e non di rado un’acconciatura fresca di parrucchiere. Hanno il loro spartito sottobraccio, studiano muovendo le dita silenziosamente su strumenti o tastiere immaginarie, perché una strana logica li induce a credere che sia fondamentale ripassare fino all’ultimo momento, ripetendosi “non mi ricordo niente, non mi ricordo niente” fino al salire sul palco e, non di rado, fermarsi dopo la prima battuta. Una legge di Murphy dice che studiare in camerino due minuti prima dell’esecuzione porta regolarmente alla stecca, ma è ancora presto per insegnargliela.

Gli allievi sono di tipologie fisse, solitamente.

L’allievo giudizioso tuttogiusto

Educato, preciso, non sempre estremamente dotato ma votato al sacrificio, studia musica secondo uno specifico planner familiare, suona tutto giusto ma sbaglia sempre lo stesso passaggio (lo sbaglierà anche sul palco) e non ha emozioni. O meglio, le ha ma solo se esce dallo schema (tipo, dimentica il libro a casa, non è riuscito a studiare, tutte cose normali in un altro ragazzino ma che per lui equivalgono ad una tragedia). La madre solitamente non parla con l’insegnante. A meno di non volersi vantare dei successi di figli (e della madre “ai suoi tempi”).
I suoi libri non sono mai sciupati, li tiene aperti con le mollette.

L’allievo dotato

…che per una strana congiuntura astrale, non studia mai una mazza. Ha la testa altrove, è disordinato, perde la concentrazione e porta l’insegnante a quasi pregarlo di ripassare a casa, un poco, ogni tanto. Ha una primavista spettacolare, che gli salva il didietro ogni volta, un buon orecchio, capacità incredibili associate a studio quasi nullo. Solitamente le ipotesi di carriera sono due: si folgora e trova il modo di studiare con piacere (sempre poco ma in modo funzionale), oppure inciampa in un saggio/concerto disastroso (per il suo standard) e molla tutto. I suoi libri sono spesso spiegazzati (arrotolati, con macchie di ogni tipo), la pagina dello studio non rimane mai aperta sul leggio. Arriva sempre, sempre, in ritardo.

L’allievo appassionato

Adora il suo strumento. Ascolta tutti i dischi, legge le biografie dei grandi solisti, studia come un matto. Ha qualche problema di ritmo, odia il sei ottavi, non è intonatissimo ne’ particolarmente sincronico con le dita. Bisogna spiegargli le cose da diverse angolazioni, perché spesso la prima spiega non funziona, ha bisogno di continui input su come studiare ogni passaggio. I libri sono pieni di annotazioni, cerchi, diesis di salvezza. Inizia lo studio e si ferma alla prima battuta per ricominciare di nuovo almeno una ventina di volte. Un diesel insomma. Fa una fatica bestia a fare ciò che l’allievo dotato fa a prima vista, ma spesso arriva molto più in là. E’ quello che arriva sempre in anticipo, talmente in anticipo che spesso studia già anche lo studio successivo. Ai saggi combina spesso mezzi disastri per l’ansia, ma alla fine è quello che più riempie d’orgoglio l’insegnante.

L’allievo perennemente giustificato

Arriva in ritardo per motivazioni nobili. E’ morto il nonno (5, 6 nonni all’anno), l’incidente davanti a casa, il contrattempo incredibile (c’è da farne una letteratura straordinaria in merito). Prima di iniziare il pezzo deve chiedere qualcosa. Qualsiasi. Quando inizia suona le prime due righe ignorando gli accidenti in chiave, o aggiungendone a piacimento. E non se ne accorge finché non lo si ferma. L’orecchio non funziona, la primavista non è un granché. Se si pone la questione “non hai studiano una cippa” ricomincia la farsa delle giustificazioni fantasiose, quindi conviene mettere a frutto quell’ora di tempo senza troppe riflessioni. Solitamente è pure un peccato, ha delle doti ma se ne frega altamente. La pagina dello studio non rimane aperta, ma a dire il vero non si ricorda mai quale sia lo studio che doveva fare per casa, quindi è ininfluente.  Al saggio va con brani semplici, studiati da settembre, ma ad ogni lezione avrà accumulato un errore nuovo che si sommerà agli altri. Dimenticherà le prove, chiederà se per favore può suonare per primo perché ha un appuntamento fondamentale. Sbaglierà ma sarà colpa di chi lo accompagna. Agli esami è sempre tutta colpa della commissione.

Preparare i saggi è un terno al lotto: devi scegliere i brani a seconda di capacità, resa, tempo. La preparazione si alterna tra spiegazione millimetrica del brano, due settimane di studio, assestamento del brano (con salvifichi tagli ed adattamenti d’emergenza), prove. C’è un momento di picco nella preparazione del brano del saggio, se si sfora di una settimana (quindi se non lo ha sufficientemente assimilato oppure se è oltre la soglia della noia nel ripeterlo) siam fregati.
La penultima settimana è quella fatidica: arriva il cazziatone. Tutte le categorie degli allievi, vuoi perché arriva la primavera e ne hanno due balle di stare a casa a studiare, vuoi perché non si rendono conto che mancano solo due lezioni, sono allo stallo. A seconda di età e di appartenenza alle suddette categorie, si insiste sulla musicalità o sul passaggio ancora insicuro o sull’ansia da dominare. Oppure si minaccia di non far fare il saggio, lasciando a casa nonna e zio con la videocamera.

Al saggio son tutti belli. Le mamme son tutte sorridenti. Le nonne son parcheggiate e spesso dimenticate lì a fine saggio. Dietro il palco, il panico. Ho pauura ho pauura, nonmiricordoniente, aspettaprofquicomedevofare, chimivoltalapagina, e in ogni angolo a provare e riprovare gli stessi passaggi, incrementando la legge di  Murphy.
Per ognuno di loro il Maestro dovrebbe stare lì a vegliarli, solo loro, con il fluido miracoloso. Salgono, e il fluido ci si prova davvero a farlo passare. Iniziano a suonare, e respiri con loro, e muovi le dita con loro, e provi telepaticamente a dirgli di prender fiato, di non correre, di non esser troppo crescenti. Spesso funziona. Quando finiscono, ti cercano mentre il pubblico applaude, e allora tu sorridi, comunque, qualsiasi cosa sia accaduta. Qualcuno scenderà dicendo “ho sbagliato tutto”, allora rispondi “non è vero, comunque non dirlo a nessuno, son segreti nostri, vai a festeggiare, ne parliamo a lezione”. Altri si dimenticheranno di te, andandosene senza salutarti. E pazienza.
Poi se ne vanno tutti, e stai lì a smontare leggii, raccogliere gli spartiti dimenticati, arrotolare cavi e traslocare amplificatori. Come l’usciere che scopa via il riso davanti al municipio, mentre tutti gli altri sono al banchetto di nozze.

Magari ti riprometti che l’anno prossimo ti sbatterai meno, niente ore di prove fuori dalla lezione, studietti per tutti e basta adattamenti e trascrizioni per fargli far bella figura, facendoti smadonnare per settimane.

Poi, gli sms:
“son andato via di corsa, ho avuto un contrattempo” (L’allievo perennemente giustificato)
“ho sbagliato tutto, scusami, la terza battuta del primo movimento e poi anche il crescendo della terza eppoi ero crescente e accelleravo e…” (L’allievo appassionato)
“ciao, la prossima settimana c’è lezione?” (L’allievo giudizioso tuttogiusto)
“ho dimenticato lì lo strumento e le parti e il leggio e la giacca?” (L’allievo dotato)
“abbiamo dimenticato lì la nonna?” (La mamma dell’allievo dotato)

Ed ogni volta assale la solitudine, l’aver fatto da madre a quei ragazzetti, tenendoli per mano in equilibrio sul pentagramma, riempiendoti d’orgoglio, con poca riconoscenza. Poi ti volti, e a fianco a te c’è il volto sorridente di chi crede ancora in te, che ti dirà grazie anche quest’anno, dopo il saggio.
Dopo che l’avrai portata a casa.
La nonna.

Non sto mica bene (ho bisogno di studiare)

Non sto mica bene (ho bisogno di studiare)

Mi piace studiare.

Non sono mai stata una secchiona, anzi. Il minimo sforzo era il mio motto, tutto e subito, una letta la sera prima del compito in classe, grande fantasia per l’interrogazione. Gli ultimi esami della vita invece, ormai madre di famiglia, li ho fatti meglio, prendendomi tempo, facendo riassunti e schemi e mappe, appassionata delle mie materie preferite, come se prima dei 35 anni non avessi conosciuto il piacere dello studio.

La musica è sempre stata argomento diverso. Avevo creato una scaletta anche per lo studio quotidiano: venti minuti di note lunghe, poi tecnica, scale, staccato, flessibilità, almeno un’altra buona ora. Poi lo studio del repertorio, a seconda dei concerti che avevo in programma. Era vitale. Le giornate in cui il leit-motiv era “oggihounsuonodimerda” erano nerissime, come se mi fossi riempita di brufoli il viso nella notte, come se mi fosse caduto un incisivo, tutti ad un solo sguardo avrebbero visto che “hounsuonodimerda”, peggio di una crisi depressiva acuta. Che poi, il brutto suono spesso è solo la percezione aumentata, l’orecchio che chiede di più, tant’è che se non suoni per due mesi ti sembra di avere un suono bellissimo… mentre è solo che ti sei scordata cosa voglia dire “suono bellissimo” coi tuoi paramentri.

Studiare è come un allenamento: è alienante, assorbe energie e pensieri, ti ripropone limiti e paranoie, senza filtri. C’è la rassegnazione del passaggio che non esce, per il quale ti affidi al tempo, che asciuga ogni ferita e ripara ogni incertezza tecnica con la magica forza della ripetizione.

Io ho un leggio, con appeso il metronomo e l’intonatore, varie matite e cartine. Di fronte lo sgabello. Spartiti pochi, dopo tanti anni le cose quotidiane sono tutte a memoria. Il mio microcosmo.

Ora il tempo è poco. Lo studio è razionalizzato, deve ampliarsi con l’ascolto, il pianoforte, la scrittura. Spesso ho giusto il tempo per mettere a memoria i pezzi, ripassare qualche giro di accordi più caustico, fare fiato, leggere le parti.

Studiare mi manca. E’ stato il mio compagno di vita da sempre, conosco ogni dettaglio dei miei difetti, ogni meccanismo mentale che mi porta a fare una cosa o l’altra, le tonalità in cui incespico, le note in cui cresco. Una sorta di meditazione, di necessario contatto con se stessi, di bisogno primario. E quando non posso studiare, sento davvero che non sto bene.

Tipo adesso. Non mi sento proprio bene.

Cosa sto facendo.

Cosa sto facendo.

Si raggomitolò nel pullover indossato confuso, la borsa, con le cose della sua vita che spuntavan da dentro, aggrappata  sulla spalla. Sotto di lei l’asfalto rotolava sotto i suoi passi, senza che un marciapiede, una strada, un incrocio, fossero differenti. Solo strada, quella che prima o poi avrebbe esaurito i suoi pensieri.

L’occhio a terra, l’angoscia liquida che le riempiva gli occhi, la vergogna di non potersi compatire per le proprie azioni deboli.
Aveva agito quasi d’abitudine, le era tornata addosso quella debolezza, forse mista all’essere annoiata, demotivata, masochista, sbagliata. Le erano tornati addosso quei gesti, che le riuscivano così bene, così naturali da convincerla che in fondo sarebbe nata per esser così.

Sbatteva le ciglia, e nel frammento di buio tornavano le immagini della penombra, la casa di un’altra, l’uomo di un’altra. Carezze e gemiti fuori dal tempo, senza un aggancio ad una buona ragione. Nei suoi gesti, non quelli da innamorata, quelli di chi sa che non deve confonderlo con l’affetto, continuava a dirsi, di continuo, “cosa sto facendo”.
Di nuovo, il ruolo dipinto addosso dell’evasa, della criminale, della cattiva ragazza. Lo stomaco chiuso e il benessere della sofferenza dell’uccidere ciò che di buono aveva ricostruito.
Chissà cosa pensava lui. Chissà perché incastrarsi in una cosa simile, pensava alla sua vita perfetta, senza motivo di cercare altro svago sporco. Ma anche no, non ci pensava a lui. Aveva scopato con lui, aveva scopato con l’idea d’odio che ritrovava in quel gesto, odio per ciò che non era capace di diventare … pulita.
E non c’era amore, non c’era tenerezza, solo l’incontro di due solitudini insulse, senza nulla in comune, se non l’angoscia e la codardia di cercare una vita normale.
Si strinse addosso la borsa, per abbracciarsi un po’. Per un istante tutti attorno si fermarono. Le auto immobili, spente. La gente affacciata fuori dai negozi, dalle finestre dei piani più alti. Vecchi, bambini, famiglie, innamorati, abbandonati. Tutti, all’unisono, alzarono un braccio, il dito puntato su di lei.

Oscena, per non saper fuggire dalla perversione.
Sbagliata, per non aver saputo accontentarsi di un amore normale.
Condannata, perché quell’angoscia le nutriva l’anima, la teneva in vita.

Le braccia puntate come armi, alla sua consapevolezza di non saperne fare a meno, di non essere convinta che quell’amore normale andava protetto, e difeso, e premiato dal sacrificio, dalla fedeltà.
Le carezze del tradimento ancora addosso.
Attorno il mondo andava, senza accorgersi di lei. Nessun braccio alzato, se non quello della sua se’ stessa carnefice.
Riprese la strada, mise in piedi un castello di bugie a caso, sorrise al ragazzo coi fiori, si fece stringere nell’abbraccio, accolse il suo bacio. E si lacerò, per non riuscire a provar vergogna.

 

Tengo le unghie corte.

Tengo le unghie corte.

Tengo sempre le unghie corte. Voglio evitare la tentazione di arrampicarmi sugli specchi per giustificare i miei errori.
Non ci metto lo smalto. Non mi piacerebbe vedere del colore sulle mani, con sotto la tastiera del pianoforte, potrei confondere la dinamica.

Ci metto la crema, sulle mani. Sono sempre molto grata al loro lavoro, allora le spalmo con affetto e riconoscenza.

Mi è capitato di avere tagli profondi, o brutte storte, o contratture pericolose dopo cadute da cavallo. Le ho viste rosse di geloni, blu di ematomi, bianche ed indirizzite, abbronzate col segno degli anelli. Anelli che non porto più.

Le guardo, ora che saltellano sulla tastiera sopra le lettere, ci rivedo tutte le coccole date, gli schiaffi repressi. Le mani strette, i saluti da lontano. Il mignolo poi, in cui vedo ancora la mano di un neonato  che lo stringe forte.

Oggi queste mani le userò bene. Per farne solo carezze.

 

 

 

Le regole di Robert Schumann

Le regole di Robert Schumann

(Le avevo perdute. Oggi le ho ritrovate, quasi per caso, sul blog di Heinrich von Trotta, e le riporto qui. E’ l’idea di esser musicista con cui sono cresciuta, assolutamente attuali).

 

La formazione dell’orecchio è la cosa più importante. Esercitati sin dall’inizio a riconoscere note e tonalità. La campana, i vetri delle finestre, il cuculo – tenta di cogliere quali suoni producono.

Suona con diligenza le scale e gli studi di meccanismo. Ma ci sono molti che sono convinti di poter giungere ai più alti risultati solo perché, quotidianamente, per anni, passano ore a esercitarsi negli studi per le dita. Questo è un po’ come se ci sforzassimo ogni giorno di recitare l’alfabeto il più veloce possibile, e tentando ogni volta di aumentare la velocità. Impiega pure il tuo tempo in modo migliore.

Sono state inventate le cosiddette “tastiere mute”; usale pure per un po’, quanto basta per accorgerti che non servono a nulla. Dai muti non si può imparare a parlare.

Suona a tempo! La maniera di suonare di certi virtuosi è come l’andatura di un ubriaco. Non sono questi i modelli per te.

Impara prima che puoi le leggi fondamentali dell’armonia.

Non avere paura di certe parole come teoria, basso continuo, contrappunto,ecc… ti verranno incontro amichevolmente se tu fai lo stesso con loro.

Non strimpellare mai! Suona sempre con tutta la tua attenzione e non interrompere mai un pezzo a metà.

Andar lenti e correre sono errori di pari gravità.

Sforzati di suonare bene i pezzi facili; è molto meglio che eseguire in modo mediocre i pezzi difficili.

Devi preoccuparti che il tuo strumento sia sempre perfettamente accordato.

I tuoi pezzi non soltanto devi conoscerli con le dita, ma devi saperli cantare dentro di te, senza tastiera. Devi acuire la tua immaginazione sino al punto di poter fissare nella memoria non solo la melodia di una composizione, ma anche la sua armonia.

Sforzati, anche se non hai molta voce, di cantare leggendo a prima vista, senza l’aiuto dello strumento; così la precisione del tuo orecchio diventerà sempre maggiore. Ma se hai una bella voce sonora, non perdere un solo momento e coltivala, considerandola il più bel dono che il cielo ti ha dato.

Devi arrivare al punto di poter capire una musica alla sola lettura.

Quando suoni, non preoccuparti di chi ti sta a sentire. Suona sempre come se ci fosse un maestro, ad ascoltarti.

Se qualcuno ti presenta una composizione che non hai mai visto per fartela suonare, per prima cosa percorrila tutta con lo sguardo.

Se hai finito la tua giornata di lavoro musicale e ti senti esausto, non costringerti a lavorare ancora. Meglio riposarsi che lavorare senza piacere e senza freschezza.

Quando sarai più maturo, non suonare pezzi alla moda. Il tempo è prezioso. Già si dovrebbe disporre di cento vite, se solo si volesse imparare tutto quel che di buono c’è già.

Con dolci, biscotti e leccornie non si fanno crescer uomini sani. Il cibo spirituale, come quello materiale, deve essere semplice e corroborante. I maestri ce ne hanno provvisto in quantità sufficiente: attieniti a ciò che da loro ti viene.

I pezzi virtuosistici mutano con il tempo; l’agilità ha valore soltanto quando serve a fini superiori.

Non devi in alcun modo diffondere le composizioni brutte, anzi devi contribuire con tutte le tue forze a tenerle fuori dalla circolazione.

Le composizioni brutte non devi suonarle affatto, e neppure ascoltarle, a meno che ti costringano a farlo.

Non puntare mai sull’agilità, sul cosiddetto virtuosismo. In ogni pezzo tenta di produrre l’effetto che il compositore aveva in mente; di più non si deve fare; tutto ciò che va più in là è una deformazione.

Devi giungere a sentire una vera ripugnanza per qualsiasi cambiamento apportato ai pezzi dei buoni musicisti, come anche ogni omissione o qualsiasi abbellimento alla moda. Sono questi il più grande oltraggio che puoi fare all’arte.

Se devi scegliere quali pezzi studiare, chiedi il parere di chi ha più anni di te, così risparmierai molto tempo.

A poco a poco devi arrivare a conoscere tutte le opere più importanti di tutti i maestri importanti.

Non ti far trarre in inganno dagli applausi che i cosiddetti grandi virtuosi spesso riscuotono. Aver l’applauso degli artisti deve avere per te più importanza dell¹applauso del grande pubblico.

Tutto ciò che è di moda passa di moda, e se continui a coltivarlo negli anni diventerai un bellimbusto che nessuno tiene in considerazione.

Suonare molto in società porta più danno che vantaggio. Studiati bene chi ti trovi intorno; ma non suonare mai qualcosa di cui nell’intimo tu abbia a vergognarti.

Non perdere mai un’occasione di suonare insieme con altri, in duo, in trio, ecc… Servirà a darti scioltezza e slancio nel tuo modo di suonare. Tenta di accompagnare spesso dei cantanti.

Se tutti volessero essere primi violini, non riusciremmo mai a mettere insieme un’orchestra. Giudica perciò ogni musicista in rapporto al posto che occupa.

Ama il tuo strumento, ma non cedere alla vanità nel considerarlo lo strumento supremo e unico. Ricorda che ve ne sono altri, e altrettanto belli. Ricordati anche che vi sono i cantanti e che nel coro e nell’orchestra si manifesta l’aspetto più alto della musica.

Man mano che cresci, frequenta sempre più le partiture e sempre meno i virtuosi.

Suona con tutto il tuo impegno le fughe dei vecchi maestri, soprattutto quelle di J.S.Bach. Il Clavicembalo ben temperato dovrebbe essere il tuo pane quotidiano. Allora diventerai senz’altro un bravo musicista.

Fra i tuoi compagni cerca sempre quelli che sanno qualcosa più di te.

Riposati dai tuoi studi musicali leggendo con attenzione buona lettura. Vai all’aria aperta appena puoi!

Dai cantanti, uomini e donne, si possono imparare parecchie cose, ma non credere a tutto quel che ti dicono.

Anche al di là delle montagne ci sono persone che vivono. Sii modesto! Ancora non hai inventato o pensato nulla che non abbiano già inventato o pensato altri prima di te. E, se così invece fosse, lo dovresti considerare un dono del cielo, che devi condividere con altri.

Per guarirti da ogni boria e vanità, non c’è cura più rapida che studiare la storia della musica, aiutandosi con l’ascolto dal vivo dei capolavori delle varie epoche.

Un bel libro sulla musica è “Sulla purezza dell’arte musicale” di Thibaut. Leggilo spesso, negli anni che ti aspettano.

Se passi davanti a una chiesa e senti suonare un organo, entra e mettiti ad ascoltare. Se poi hai la fortuna di poterti tu stesso sedere a un organo, prova la tastiera con le tue piccole dita e rimarrai stupito dinanzi a quell’immane potenza della musica.

Non perdere mai l’occasione di esercitarti sull’organo; non c’è strumento che sappia vendicarsi con tanta prontezza di tutto quel che può esserci di impuro e impreciso sia nella musica stessa sia nel modo di eseguirla.

Cerca di cantare in coro, soprattutto le parti interne. Questo ti renderà musicale.

Ma che cosa significa essere musicali? Non lo sarai certamente, se tieni gli occhi fissi ansiosamente sulle note e così vai avanti faticosamente sino alla fine del pezzo; non lo sarai certamente, se ti blocchi e non sai andare avanti, magari perché qualcuno ti ha voltato due pagine insieme. Ma sei senz’altro musicale se riesci in qualche modo a intuire che cosa troverai più avanti in un nuovo pezzo che stai leggendo o se sai a memoria che cosa ti aspetta in un pezzo che già conosci; in due parole, se hai la musica non soltanto nelle dita, ma nella testa e nel cuore.

Ma come si diventa musicali? Caro ragazzo, la cosa più importante, come sempre viene dall’alto ­ ed è la precisione dell’orecchio, la prontezza nel percepire. Ma la nostra costituzione può essere sviluppata e rafforzata. E certamente non ci riuscirai se ti rinchiudi per giorni interi, come un eremita, a suonare meccanicamente un po’ di studi; mentre ci riuscirai senz’altro, se ti terrai in un continuo, vivo rapporto con le molteplici realtà della musica, e soprattutto se ti farai una buona pratica di coro e di orchestra.

Fatti prima che puoi un’idea precisa dell’estensione della voce umana nei suoi quattro registri fondamentali; studiali soprattutto quando ascolti dei cori, tenta di scoprire in quali intervalli essi raggiungono la loro massima forza e in quali altri possono essere usati con effetti più morbidi e delicati.

Ascolta sempre con attenzione tutte le canzoni popolari; sono una miniera delle melodie più belle e ti permettono di farti un’idea del carattere delle varie nazioni.

Esercitati sin dall’inizio a leggere nelle chiavi antiche. Altrimenti tanti tesori del passato ti rimarrebbero inaccessibili.

Osserva sin dall¹inizio il suono e il carattere dei vari strumenti; tenta di imprimerti nell’orecchio le peculiarità del loro timbro.

Non perdere mai l’occasione di ascoltare una buona opera.

Venera l’antico, ma va incontro al nuovo con tutto il tuo cuore. Non covare pregiudizi verso nomi che non hai mai sentito.

Non giudicare una composizione al primo ascolto; ciò che ti piace in un primo momento non è sempre il meglio. I maestri vanno studiati. Molte cose ti diventeranno chiare soltanto quando sarai nella piena maturità.

Quando dai giudizi su delle composizioni, distingui bene se appartengono all’arte o hanno soltanto un fine di intrattenimento dilettantistico. Alle prime dà tutto il tuo appoggio; dalle altre non lasciarti neppure irritare.

“Melodia” è il grido di battaglia dei dilettanti ­ ed è vero che una musica senza melodia non è musica affatto. Ma devi capire bene che cosa intendono quelli per “melodia”: per loro le uniche melodie sono quelle facili da ricordare, con un andamento ritmico piacevole. Ma ci sono anche melodie di ben altro genere, e ti basterà aprire Bach, Mozart, Beethoven perché ti vengano incontro nelle loro mille varietà: sicché si può sperare che presto ti verrà a noia la misera uniformità delle altre melodie, in particolare di quelle dei recenti melodrammi italiani.

Se ti metti al pianoforte cercando di costruire delle piccole melodie, è già una bella cosa; ma se un giorno quelle melodie ti verranno da sole, senza bisogno del pianoforte, rallegrati ancora di più, perché vuol dire che è vivo in te il senso interno della musica. Le dita devono fare quel che la testa vuole, non il contrario.

Se cominci a comporre, sviluppa tutto nella tua testa. Solo quando avrai in mente un pezzo compiuto, provalo sullo strumento. Se la tua musica è venuta dall’intimo e così l’hai sentita, anche sugli altri farà lo stesso effetto.

Se il cielo ti ha donato una fantasia viva, ti capiterà spesso di sedere per ore al pianoforte come incantato, e di voler esprimere il tuo mondo interno in armonie. Allora ti sentirai attratto in un cerchio magico da una forza tanto più misteriosa quanto meno chiaro magari è ancora per te il regno delle armonie. Sono ore felici della gioventù queste. Ma intanto guardati bene dall’abbandonarti troppo spesso a un talento che ti induce a dissipare forze e tempo seguendo una sorta di gioco di ombre cinesi. Il dominio della forma, la capacità di articolarla con nettezza si possono raggiungere soltanto grazie al preciso segno delle note. Preoccupati perciò più di scrivere che di improvvisare.

Tenta di procurarti non appena puoi le prime nozioni dell’arte del dirigere e osserva spesso i buoni direttori d’orchestra; permettiti pure di dirigere in silenzio insieme a loro. Ti darà chiarezza.

Abbi pratica della vita, come anche delle altre arti e scienze.

Le leggi della morale sono anche le leggi dell’arte.

La diligenza e la perseveranza ti faranno ascendere sempre più in alto.

Con una libbra di ferro, che costa pochi centesimi, si possono fare migliaia di molle da orologio, che valgono centomila volte di più. Quella libbra che hai avuto da Dio devi saperla utilizzare fedelmente.

Senza entusiasmo nulla riesce bene nell’arte.

L’arte non è fatta per conquistare ricchezze. Cerca soltanto di diventare un artista sempre più grande; tutto il resto verrà da sé.

Soltanto quando la forma di una composizione ti sarà veramente chiara, anche il suo spirito diventerà chiaro.

Forse è vero che soltanto il genio può capire totalmente il genio.

Qualcuno disse che il musicista perfetto dovrebbe essere in grado di vedersi davanti agli occhi, come sulla partitura, un pezzo per orchestra ascoltato per la prima volta, fosse anche molto complesso. Questo è il punto supremo che possiamo pensare.

Non si finisce mai di imparare.

Robert Schumann

Umilia

Umilia

Vale la pena fare un disco?

Mah. In epoca in cui i dischi non si comprano, in cui la qualità dell’audio sta bene giusto come mp3 da caricare sull’Iphone, le foto te le fai con Instagram e i concerti, ah i concerti, trovarne di concerti.. Chissà cosa ci ha spinto a metter su questo ambaradan.
E che la questione meramente artistica, la scrittura dei pezzi, le prove, l’incisione, ah quello è stato facile. Facile e divertente.
Ed emozionante.

Poi è arrivato l’editing. L’editing è quella fase in cui puoi cambiare tutto, suono, note, intonazione, ritmo. Tutto. In teoria.
Perché poi lasci tutto com’è, ed esalti solo il suono, perché sta bene sia pulito, immediato, …è già perfetto così. Non è mica un disco di pop.
E ascolti le tracce, e ti emozioni. E le riascolti, e cerchi di modificarle, di esser obiettivo, ma dopo qualche ora vai in palla e non capisci più quale sia il tuo suono e quale quello suo. E non sai come spiegarlo, che lo vuoi più normale, più naturale, perché quel suono che senti dentro mentre soffi dentro un flauto, ah, vallo a spiegare a parole. A di là della poesia della cosa. Più medi, meno alti, più cupo, più avanti, meno riverbero. No aspe’… togli tutto. Daccapo.
Poi fai le foto. E pensi, ostia, non ho più vent’anni ma devo far finta di essere ancora figa come a vent’anni, che ti comprano la faccia, prima della musica. Eh. E allora spendi un patrimonio in improbabili outfit da copertina, fai le foto dal camerino per vedere come vieni. E pensi ai dettagli, e capisci che non è il tuo mestiere, tu fai il musicista, non ne capisci un tubo di look.
Poi magari fai le foto, le guardi e ti emozioni, che in fondo esprimono tanto di quello che c’è in questo disco.

Poi decidi il packaging: a due, tre ante, col booklet o senza, e una foto qui e qui i titoli. Scegli il preventivo, cerchi di trovare il giusto equilibrio tra “non spendo una cifra perché metà se lo scaricheranno col torrent” e “è un disco a cui tengo, facciamolo bene, come fossero le bomboniere”. E ti emozioni, pensando a quando ti arriverà lo scatolone con  le copie, uno dei 5 scatoloni che poi giacerà in soffitta con gli altri, ‘che tanto il disco se lo scaricheranno coi torrent, si diceva.

Ecco. Poi arriva la mazzata. Quella che ti fa passare la voglia, di scrivere musica, di registrare dischi, di smazzarti per far uscire un progetto che magari vale un pochetto di più dell’unz unz di un dj qualsiasi, che taglia e incolla campioni e chissenefotte.
Si chiama Siae. Si chiama “società che ti chiede soldi perché così ti salvaguarda i tuoi diritti come autore dei tuoi brani, sempre che tu paghi una tassa annuale, ma poi è anche uguale, che poi i soldi li devo dare ai big e non a te povero pirla”.
Quando fai il borderò a fine concerto, ci pensi, ti rode, ma amen.
Ma quando fai un disco, quando cerchi di mantener ogni spesa e poi devi dare un euro a disco alla Siae, allora ti girano le palle. Peggio, ti senti offeso, defraudato della tua musica. Suoni le tue note, tue tue, e devi pagare una tangente per poterla pubblicare. E’ un obbligo. Come se piantando le carote nel mio orto, dovessi comunque pagarle al fruttivendolo. Solo che le carote, forse, sono un poco meno nobili di una creatura artistica.

E questo no, non emoziona. Svilisce. Offende. Umilia.

 

Come trovare una buona insegnante di canto (e non aver più scuse)

Come trovare una buona insegnante di canto (e non aver più scuse)

Avete deciso che il karaoke ferragostano ha svelato definitivamente la vostra indole canterina, indi tornate dalle ferie e decidete di trovarvi una bella scuola di canto, e di fare il cantante. O magari solo metter su un gruppo con i vecchi amici del liceo. Oppure solo studiare musica, per il piacere di imparare, di dedicarsi ad una passione che vi fa star bene.
Proviamo con qualche piccolo input utile per ottimizzare la vostra ricerca dell’insegnante perfetto per voi.

1. Come per molte cose, l’esperienza di amici e conoscenti può esser utile. Non tutti sbandierano a chiunque che studiano musica, magari perchè non più giovanissimi, per timore d’esser presi in giro, o magari solo per difendere un proprio spazio di intimità. Ma se ne parlate e chiedete in giro, sicuramente troverete chi vi darà indicazioni e dritte su dove poter andare a parare. Quindi, chiedete, vagliate. Trovate informazioni, anche su internet: però bada, non giudicate una scuola dal suo sito… molte non hanno bisogno di investire in un portale perchè funzionano bene senza, mentre spesso chi vende fuffa deve infiocchettarla per bene su web…

2. Preferite la scuola all’insegnante privato, soprattutto se siete alle prime armi. Una scuola può offrirvi molti insegnanti diversi, un ambiente stimolante, contatti con altri allievi (anche adulti, eh, è tipico iniziare a studiare musica quando i figli sono ormai grandi, o si va in pensione..) ed attività parallele, come musica d’insieme, teoria e solfeggio, oltre ai saggi. E’ fondamentale, soprattutto per un cantante, avere più possibilità possibili di confrontarsi col pubblico. Spesso una scuola consente di lavorare con una band, magari di allievi stessi, e non con le solite INEDUCATIVE basi.

3. Se volete studiare canto lirico, cercante un insegnante di lirica. Se volete studiare canto moderno, scegliete un’insegnante di canto moderno. Le due impostazioni, sebbene con elementi di base comuni, sono differenti. L’uso della voce, dell’espressività, e la conoscenza del repertorio è troppo diversa. Spesso i docenti di canto moderno hanno studiato anche lirica (come me d’altronde), certo. Ma è anche vero che i docenti di lirica non hanno studiato anche canto moderno, e no, non sono al “livello superiore” per cui possono insegnare tutto. Ad ognuno il suo. Siate ligi, perché nell’impostazione della voce nulla è più deleterio di mille informazioni ed indicazioni a far confusione.

4. Valutate la vostra insegnante, sul piano umano. Dovrete affidarle il “vostro” strumento, quindi deve avere la vostra piena fiducia. Una docente con molta esperienza è ovviamente preferibile, nulla come gli anni di lezione ci insegnano come gestire una didattica complessa come quella del canto: uno strumento che devi suonare, senza vederlo!
Se non scatta il feeling, non mollate: semmai chiedete di cambiare docente, in una scuola spesso ci sono più insegnanti di canto. Magari una meno brava può avere un approccio che più vi si addice, ed avere migliori risultati.

5. Come spesso accade, non è detto che un bravissimo cantante sia un eccezionale docente. Anzi, chi ha avuto difficoltà conosce più tecniche, più esercizi, più metodi per risolvere delle difficoltà della voce che poi possono aiutare nella didattica. C’è chi insegna musica svogliatamente, concentrato nella propria carriera. Tuttavia, siate comprensivi se vi spostano la lezione ogni tanto, per i loro concerti: meglio un insegnante che è in contatto continuo col palco, che una maestra in pensione.

6. L’ideale è una cantante-musicista. E’ una definizione sottile, che i musicisti comprenderanno bene…. è notorio che le cantanti sono spesso le “ignoranti” della band, forse per un’antica comoda credenza di ritenerle immuni da ogni obbligo di conoscere la musica, in quanto già debbono pensare allo spazzolarsi i capelli… Scherzi a parte, se volete davvero un insegnante completo, che sia anche musicista: vi potrà così accompagnare al piano (evitando le dannate basi!) insegnandovi davvero a cantare, vi daranno gli input armonici elementari per dialogare con una band, vi insegnerà la musica, e non il karaoke.

7. Se avete occasione, andate a sentire i saggi: comprenderete il clima della scuola, i mezzi, la collaborazione tra i docenti. E, consiglio spassionato, se la maestrina di canto toglie il palco agli allievi (e purtroppo succede spesso), meditate bene sulla scelta: un docente che ha bisogno di farsi vedere sul palco dei saggi degli allievi, al netto della dovuto protagonismo caratteriale del cantante, non so quanta attenzione potrà concentrare sulla vostra, di carriera.

8. Scappate dagli insegnanti “guru”: cercante un insegnante che vi faccia da mamma chioccia solo finché è necessario, per poi esortarvi a prendere il volo da soli. Certo, spesso la maestrina diventa amica e psicologa, ed a volte è anche utile didatticamente, per sciogliere inibizioni che si riversano nell’esecuzione musicale. Ma il guru no, il protagonista dovete sempre essere voi, il vostro maestro è solo il vostro trainer. Ricordatevelo.

9. Per lo stesso motivo, è un trainer, non uno che fa miracoli: il miglior maestro rimanete voi stessi. Se non studiate, nemmeno il miglior docente del mondo riuscirà ad insegnarvi qualcosa. Certo, anche il solo andare a lezione una volta a settimana, come hobby, come momento di relax nella settimana può essere una scelta. Ma sappiate che ciò che si impara con l’inerzia è davvero poco… conviene studiare. Poi è molto più divertente!

10. Una volta trovato il docente giusto, dovete fidarvi. Se vi dice che quel brano non va bene per voi, è fortemente probabile abbia ragione. Se quella tonalità è impossibile, idem. Se la nota cala, probabilmente cala. Ogni cosa che l’insegnante vi dice è spesso una scelta oculata dell’informazione, magari per isolare un problema alla volta. Se insiste sul fatto che quella nota è sbagliata, probabilmente ritiene sia più grave della pronuncia sbagliata del testo inglese. Tutti nasciamo “cantanti”, quindi insegnare il modo corretto di gestire un timbro, o il sostegno, o la frase musicale, è una riabilitazione di cose che già abbiamo imparato a fare. E’ più complesso che iniziare da zero, ad esempio, di suonare uno strumento, ed allo stesso tempo più facile, in quanto alcune cose le sappiamo già fare fin da bambini.

11. Siate costanti nelle lezioni. Pensate alla musica come ad un allenamento sportivo: dedicate tempo allo studio ogni giorno, approfondite gli argomenti delle lezioni. Seguite il vostro trainer vocale e non fate i furbi: anche se non ve lo dirà chiaramente, lui ha scoperto tutto già dal primo vocalizzo….  E possibilmente, non cambiate docente in continuazione. La chiarezza è fondamentale, avere mille insegnanti che vi dicono cose differenti vi manderebbe in confusione e basta. Semmai, allargate le conoscenze e studiate (è assolutamente fondamentale per un cantante!) uno strumento, magari armonico, come il piano o la chitarra.

12. Ed infine: cantate. Fate i cori ai saggi, trovatevi un gruppo di amici con cui formare un gruppo amatoriale, o fatevi accompagnare da un amico con la chitarra. Ascoltate di tutto, cantate di tutto, anche i brani che non vi piacciono. Traete insegnamento dagli altri colleghi di corso, guardate i video dei live su youtube, imparate dai grandi cantanti, non solo per scegliervi le canzoni. Il miglior insegnante siete voi, si diceva.

Se avete ancora un dubbio, se magari state cambiando idea, se magari arriva la riflessione “ma figurati, alla mia età… ma son ridicola..”, toglietevela di testa. Ho allievi che han passato da mo’ i 50 che mi danno soddisfazioni immense.
Se invece siete giovani, e volete arrivare a X-Factor… beh, iniziate a studiare. Forse poi avrete ambizioni ancor più belle.

Cantare, e studiare canto, può essere un’esperienza personale di scoperta, di crescita, oltre che di soddisfazione personale. E fa bene, all’ego, alla propria timidezza, al proprio orecchio musicale (che migliorerà esponenzialmente) ed alla propria cultura.

Secondo me, poi, vi divertirete un sacco.

Oh, fatemi sapere!

Il nuovo progetto discografico, in uscita in autunno!

Il nuovo progetto discografico, in uscita in autunno!

 

E’ ormai alla fase di trucco e parrucco il nuovo lavoro discografico, il primo in duo con lo straordinario pianista Paolo Corsini.

Brani originali, quasi equamente distribuiti (la bilancia pende sempre verso le bionde..), oltre a qualche affettuoso omaggio.

L’accoppiata pianoforte e flauto profuma di jazz “da camera”: l’essenziale per tirar fuori riflessioni ed emozioni, scherzi e discussioni, affetto ed erotismo. Un discorso preparato a tavolino nei dettagli, che poi se ne esce a braccio, spontaneo. Un lavoro d’unione di due percorsi musicali, rimandi classici e contemporanei che si immergono confondendosi all’anima del jazz genuino, quello che sa ridere, piangere e prender a schiaffi, per poi tornare daccapo, senza prendersi per forza sul serio.

Ogni aggiornamento dello stato dei lavori, nella pagina dedicata, seguendo il link in alto a destra.

 

In uscita per l’autunno 2012 ….ci siamo quasi!

Anna Maria Dalla Valle, Flauto – Paolo Corsini, Pianoforte

 

Disclamer: chiunque ritrovasse lo scoiattolo è pregato di restituirlo in Direzione. Grazie.