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Categoria: lezioni di musica

L’oboe esiste.

L’oboe esiste.

Flauta per il sociale: inauguro oggi l’iniziativa “Conosci sto piffero”, ovvero farò una bella carrellata di strumenti musicali (a fiato, per ora) e loro suonatori (“buonanotte ai”).

Vedo una domanda rimbalzare nelle vostre menti: perché?
Molto semplice: perché il piffero è quello delle medie. Il flauto è solo quello traverso (l’altro è flauto dolce), il clarinetto e l’oboe non sono la stessa cosa, il corno inglese e quello francese non sono parenti, e soprattutto se lei suona il piano non è detto che lui la tromba.
Fine preambolo. Non parliamone più.
Mi avvarrò di amici orchestrali oltre ad attingere ai miei trascorsi e a milioni di luoghi comuni, tipo Brescia. Potevo dire Mestre, ma Mestre non fa comune.

Si diceva: l’oboe.

L’oboe NON è un clarinetto. Primo enunciato.

E’ la spalla dei fiati (ovvero, è il rappresentante unico, il boss, l’amministratore delegato) e sta a fianco del primo flauto. Il suo leggio lo becchi subito, ha la macchinetta (l’intonatore, visto che dà il La a tutta l’orchestra) e una scatolina cilindrica dove immerge l’ancia per inumidirla. Quindi: l’oboista ha un saaaaacco di saliva e un saaaaacco di vecchi contenitori di pellicole.

O meglio: i portarullini sono vintage, quindi stanno tornando di moda alla grande, ma sono stronzi perché ti si aprono in borsa allagando tutto. Le alternative: contenitori per le urine, provette, tubi Falcon (chicche per gli scienziati), contenitori delle marmellatine. Tanto lo so che state ancora pensando “CONTENITORI PER LE URINE??”.

Sono amabilmente chiamati Geppetti perché si fanno le ance da soli. (Anche per altro, ma no, vabbé, son cattiverie).
La leggenda dice che passino ore ad intagliare lamelle di canna (non quella canna, su, dai, fate i bravi), affilandole col coltellino, legandole a due a due attorcigliandogli un filo colorato, ed inserendole in scatoline di cuoio, tipo i proiettili in Roger Rabbit.

Per costruirle ci vuole del tempo, molto tempo. Molti oboisti comprano i pezzi di canna di bambù grezza da sagomare o gìà sagomata. Questa deve essere piegata e legata al cannello (quel supporto cilindrico foderato di sughero che viene inserito nell’oboe). Tra bestemmie varie, questo richiede una ventina di minuti per ancia. Lo step successivo, senza dilungarmi troppo, è aprire l’ancia e cominciare a grattarla e levigarla con il coltello. Questo passaggio può richiedere giorni perché, se si vuole ottenere una buona ancia, ci sono dei tempi di “riposo” del legno.
Non è dato sapere se un’ancia si sia mai trasformata in un bambino vero.

Ogni ancia può uscirti bene come meno bene, può essere adatta al solo della vita, all’anatra di Prokofiev o al solo di Pulcinella di Stravinskij, o a cacciare i piccioni dal balcone studiando lo staccato.
La mia amica Elena dice che devono starti addosso come scarpe su misura. Scarpe piene di segatura.

Prima di inserire l’ancia nello strumento, frullano. Ovvero: fanno PEEEEEEE. Serve a capire se l’ancia è umida o meno. Non so se sia vero, non ho mai avuto un moroso oboista.

Ecco. Le buone notizie finiscono qui. Il resto, ve lo anticipo con infografica:

L’oboe è fottutamente #maiunagioia.

Ha un suono figo, è nasale (un po’ come il clarinNO NON E’ UN CLARINETTO!) ma molto più elegante, femminile, struggente.
Si mescola coi timbri degli altri strumenti in modo sublime, talmente sublime che se lo magnano e non lo si riconosce più. A meno che non ci sia quello: lo SQUAK. E’ quel gracchio (detto in termine tecnico scrocco) che si ottiene calpestando per sbaglio un’anatra. E’ inversamente proporzionale alle ore di note lunghe studiate dallo strumentista, ma a volte arriva, bastardo, nel bel mezzo dell’assolo. E i colleghi, regolarmente, si voltano verso il colpevole scuotendo il capo con riprovazione.
L’oboista cercherà di dare la colpa all’ancia fatta male (quindi è colpa sua) o soffiando sulla meccanica mimando invisibili bolle d’aria che chiudono i tasti (certo, certo).

Come dice Elena: “Noi non scrocchiamo mai. Essendo l’oboe uno strumento semiautomatico, a volte la diteggiatura non è comoda come si vorrebbe, per cui in alcuni passaggi, le dita devono muoversi veloci e in posizioni anguste ed ecco che viene fuori lo scrocco”. Semiautomatico, dice. Pure noi flauti siamo semiautomatici, ma non scrocchiamo mai. Mai, eh? Mai mai mai.

Ed ora, sveliamo una grande verità: perché è proprio l’oboe a dare il LA all’orchestra?

Perché gli consentono di fare una nota all’inizio, per contratto. Poi gli si suona sopra. Tutti. E’ il bullismo orchestrale, baby. E comunque, se non gliela lasciassero fare da solo, poraccio, non si sentirebbe mai per tutto il concerto. Pucci.

Infine: l’oboe è bello, ma c’è sempre uno più bello di lui, per l’apoteosi del #maiunagioia di cui sopra. C’è lui, il corno inglese. E’ un oboe ma più figo, più grande, con qualche cupola sulla canna manco fosse una chiesa ortodossa. E fa i soli, da figo. L’oboe il lavoro sporco, l’inglese lo snob. E’ l’evoluzione, come i pokemon.
E non è il corno francese. Quello è n’altra roba. Non c’entra un corno.

Concludendo: se vedi un oboista, digli “Ma ciao! Ma suoni L’OBOE!” ed abbraccialo.

Perché instintivamente risponderà No è un obOH WAIT, hai detto proprio oboe!” e scoppierà in un pianto dirotto.

E non dire altro. Non dire “Mio zio suonava il clarinetto”, non dire “Dai fammi la papera!” e nemmeno “Abbellooo, anche oggi ti sei fatto le canne!”.

Chiedigli invece se ha un’ancia buona, oggi. Digli che domani sarà migliore. Digli che c’è sempre, in fondo al tunnel, un’ancia migliore. Diglielo.

Ovviamente, parlandogli sopra.

(Grazie alla mia amichetta Elena Giusto, oboista, per aver verificato che tutto ciò risponde a verità, il #maiunagioia in particolar modo..)

 

Incidere un disco – 3. Prima di entrare in studio

Incidere un disco – 3. Prima di entrare in studio

Insomma, ce l’avete fatta.

Avete definito i dettagli del progetto, avete la band, domani sarete in studio a registrare il vostro capolavoro.

Ovvio, mica vi mollerò qui sul più bello.

Per le prossime due puntate, mi avvarrò dei consigli e l’esperienza di tre amici: Claudio Zambenedetti, fonico dell’Imput Level Studio, Mario Marcassa del CatSound Studio e Max Trisotto, sound engineer, che mi hanno raccontato cose che voi umani, eccetera, al fine di darvi qualche dritta in più.

Per tempo fate una pre-produzione a casa (ovvero registratevi un pre-disco in sala prove), in modo da definire già la bozza definitiva del risultato che volete ottenere in studio.
Io di solito preparo un bel block notes con una pagina per brano, con tutti i dettagli: ve lo consiglio vivamente. Fate una tabella precisa con: tonalità, bpm (tempo metronomico, fondamentale per impostare il click) e struttura (intro, strofe, chorus, assoli) ben definiti. In caso di incisioni su tracce diverse, è bene fare uno schema preciso su quali strumenti suonano e dove, quali assoli fa la chitarra, i cori in che pezzi e in che ritornelli servono, eccetera. Servirà a gestire al meglio il tempo e il lavoro di ogni singolo, oltre ad evitare di dimenticare, alle dieci di sera, che manca l’ukulele nel quarto brano (ed il fonico ha già spostato i microfoni). (Che poi, poco male, se manca l’ukulele, ma vabbé).

(cos’è il click? è una sorta di metronomo che sentiremo in cuffia mentre incidiamo, che ci farà andare tutti a tempo. E’ obbligatorio se registrate uno strumento alla volta, è utile se suonate contemporaneamente ed avete una sensazione di “mal di mare” nel tempo metronomico. Il metronomo è il miglior amico dell’uomo).

Verificate gli arrangiamenti, eventualmente chiedendo a qualcuno di più esperto. Mi capita di sentire dischi di miei allievi in cui piano e chitarre suonano contemporaneamente il medesimo accordo nella medesima ottava, cacofonie che esprimono onomatopeicamente il termine. Come è vero che un buon arrangiamento rende bella anche una canzone mediocre, il pessimo arrangiamento assicura delle porcherie inenarrabili.

NON C’E’ TEMPO DI DECIDERE NULLA o quasi IN STUDIO, QUINDI PIANIFICATE TUTTO A CASA, A GRATIS.

I miei tre fonici di fiducia mi hanno ribadito, all’unanimità, un punto principale: avere TUTTA la strumentazione a posto. “Ossia no pedali della cassa che cigolano o pelli distrutte per i batteristi, corde troppo vecchie sulle chitarre (mentre sul basso vanno bene) e ottave non regolate, fiati con problemi (una volta perdemmo mezza giornata per un bocchino di un clarinetto che “oh, ma a casa non mi dava tutti questi problemi”“(Trisotto).
Non serve avere chissà che strumentazione, l’importante è che funzioni bene e sia di pratico utilizzo. Non serve a niente avere l’ultimo modello di testata per ampli o l’ultima pedaliera con effetti stratosferici se poi si usano dei cavi Jack ossidati, saldati male che generano ogni tipo di ronza” (Zambenedetti).
Ed è bene arrivare in studio già abituati ad accordare perfettamente il proprio strumento: “Sembra banale, ma specialmente i chitarristi si basano sul loro accordatore trovato nelle patatine, una corda alla volta e via… credendo sia tutto a posto. Inoltre bassisti e chitarristi non controllano quasi mai l’esattezza della regolazione del manico nelle ottave, per cui fanno un accordo di Do maggiore e sembra a posto, ne fanno uno di La bemolle ed è un disastro, ma per le loro orecchie va bene. L’accordatura vale anche per la batteria. Una batteria bene accordata suona mille volte meglio di una scordata…” (Marcassa).

Quindi, prima di uscire di casa, verificate bene i cavi, l’accordatura del Rhodes, rivedete l’uso degli effetti (il pedalino che gracchia da anni, in studio continuerà a gracchiare) ed eliminate il superfluo, imparate ad accordare la batteria (perché diciamolo, a qualcuno che ora sta leggendo sorge nuova che anche la batteria si debba accordare…), verificate che il proprio strumento a fiato sia intonato, che tutte le chiavi chiudano, che si abbia l’ancia giusta.
Portate tutto ciò che può servirvi (partiture, fogli pentagrammati, cavi di riserva, reggichitarre, bacchette di ogni tipo, scatoloni di ance, eccetera).

Per i/le cantanti: registratevi seimila volte prima di entrare in studio, da soli e durante le prove e controllate dove rischiate di stonare, la pronuncia e la comprensibilità delle parole, le dinamiche e l’interpretazione delle varie frasi. Se registrate a tracce separate, segnatevi dove prender fiato e dove eventualmente spezzare l’incisione (prima le strofe, poi i ritornelli, eccetera). Segnatevi dove vorreste un rinforzo, dove fare le seconde voci o i cori. E ricordatevi, non serve gridare, lavorate di sfumature e chiaroscuri, esasperate i dettagli più di quanto lo possiate fare live.

Se dovete fare un assolo, riprovatelo quanto potete, strutturatelo se non vi sentiti sicuri, trascrivetelo al limite. E’ matematico che arrivati in studio andrete in panico e magari inciderete dei pasticci. La verità è che più li ripeterete e peggio sarà. Ne rifarete una trentina di versioni, di seguito. E terrete buona la seconda track.

Bene.
Ora, passate dal supermercato e prendete qualche bottiglia d’acqua, qualche biscotto, un pacco di merendine. Se l’incisione vi occuperà tutta la giornata, prevedete una pausa pranzo in qualche posto nei dintorni, è meglio uscire all’aria aperta e ricaricare le pile per il pomeriggio/sera, il lavoro in studio è estremamente stancante.

In studio NON portatevi dietro figli, amici, morosi/e, genitori, avvisate tutti che non esisterete per tot ore (e che spegnerete quindi il telefono). Dovete stare tranquilli, a vostro agio, liberi anche di andare in crisi e piangere davanti al microfono alla sesta volta che sbagliate un’entrata, concentrati su ciò che fate e orientati verso il miglior risultato possibile. Anche un videomaker o un fotografo possono sconcentrarvi, fate tutto prima o dopo, o in una track di prova.
Bene, andate a dormire. Domani dovrete arrivare puntuali, lucidi, riposati e carichi.

 Ho detto lucidi. Mettete giù quella birra.

 

 

Puntate precedenti:

Incidere un disco – 1. da dove partire 

Incidere un disco – 2. La scelta della band

Incidere un disco – 2. La scelta della band

Incidere un disco – 2. La scelta della band

Nel caso siate già una band completa in tutti i ranghi, siete a cavallo.
Se avete solo un dubbio sulla possibilità di aggiungere o di “litigare casualmente” con uno dei vostri compagni di merende, allora leggete qui di seguito.

Lavorare in una band, fare concerti, passare del tempo in sala prove è snervante.
Se lo si fa con anche solo un elemento del gruppo che crea incomprensioni o difficoltà, è ancor più pesante e richiede tanto autocontrollo.
Entrare poi in sala d’incisione con “qualche problema umano” tra gli elementi della band è suicidio.

Registrare per tot ore porta stanchezza, irritabilità, crisi isteriche, tensioni inenarrabili, soprattutto se non si è preparati psicologicamente a tale evenienza. Vi elenco una serie di situazioni che possono accadere in studio, voi ragionate bene se avete nella vostra band elementi a rischio:

– Il musicista ritardatario cronico, dimentica in toto o in parte lo strumento a casa, non ha stampato le parti (ma “tanto le so'”), di punto in bianco non può rimanere oltre le 19.

– Il musicista che porta ovunque la morosa. La morosa spaccaballe. Che alle 19 è stanca e vuole andare a casa. Limonano sui divanetti e non c’è verso di farlo concentrare.

Il bastian contrario, che giunto in regia avrà da contestare arrangiamenti, scaletta, strutture, già decise minuziosamente durante i mesi di prove, facendo perder tempo, denaro, ma soprattutto irritando i nervi.

L’insicuro. L’insicuro è subdolo: spesso non è quello timido e perfezionista che si lamenta di se’ durante tutto l’anno… Più spesso è il leader, magari sufficientemente egocentrico da esser messo in crisi dallo specchio di una incisione. E’ capace di bloccare il lavoro per ore per rifare mille volte lo stesso suo ritornello, rimanendo da solo col fonico tutta la notte per rifare tutti i suoi assoli a session conclusa.

Ecco, se avete riconosciuto/vi siete riconosciuti in queste tipologie, sappiate che ci sono solo due metodi: cambiare gli elementi (rischiando di sostituirli con casi peggiori), oppure tenerveli previo chiarimento e identificazione di un ruolo di mediazione e contenimento in voi o in uno della band. Fate a sorte e trovate una badante che sappia arginare i picchi autodistruttivi del caso umano.

Nel caso in cui non abbiate ancora definito la vostra band?

Un consiglio spassionato: investite su ottimo materiale, al di là degli amici. Non dovete fare una cena con quel che avete in frigo, ma cercare i miglior ingredienti, anche se sotto casa. 

Scegliete la formazione essenziale in base agli arrangiamenti che vorrete scrivere. Vagliate bene i musicisti, che siano affini al vostro stile, che siano disponibili e capaci, professionali quanto basta e possibilmente ben disposti a collaborare al vostro progetto. Ci sono molti sideman che metton anima e corpo in ogni produzione, ed altri che si mettono in gioco solo per le proprie cose e sul resto timbrano il cartellino.

L’ossatura della band, basso/contrabbasso e batteria, sono fondamentali: dovranno esser perfettamente coesi fra loro, quindi non scegliete due bravi musicisti singolarmente, verificate che abbiano feeling strumentale fra loro.

Personalmente sono estremamente scettica nei confronti della tattica dell’ospite famoso, ovvero un musicista noto che dietro compenso suonerà in alcuni brani del vostro disco, dandovi lustro (“..ho fatto un disco con la Flauta, eh”…) e recensioni quasi automatiche, visto che la vostra opera sarà trainata dal Vip di turno. Vip che però metterà in ovvio secondo piano sia le vostre arti musicali che l’integrità del vostro progetto.

Altra cosa quella di allargare il numero di musicisti in base al brano, che ne so, prevedendo un quartetto d’archi per una ballata, un coro alpino per la seconda voce della terza track, un controfagotto solista che duetta con l’ukulele.

(Ecco. Sull’ukulele dovrei aprire molte inflazionate parentesi, ma vabbé). 

Comunque sia, ricordate che lo studio costa, microfonare e far bene delle riprese audio con strumenti diversi allunga i tempi dell’editing (che costa, l’abbiamo detto?), quindi valutate sia davvero fondamentale inserire altri strumenti alla band di base.
In tal caso, chiamate dei professionisti, che non vi facciano perder tempo e che sappiano leggere una parte senza errori. Quindi: non chiamate vostra cugina a farvi i cori, anche se zia insiste che ha una bella voce, a meno che non sia Aretha Franklin (con ciabatte e grembiule rosa d’epoca).

Ecco, apriamo una parentesi sulle cantanti.
Se il vostro/la vostra cantante non è mai stato un simbolo di intonazione, non pensiate che in studio si facciano davvero miracoli. E comunque, i miracoli si pagano a tariffa oraria al fonico. Valutate bene se avere la gnocca in copertina valga tutto quell’Autotune.

 

– La puntata precedente: Incidere un disco – 1. da dove partire –
– La puntata successiva: Incidere un disco – 3. prima di entrare in studio –
Incidere un disco – 1. da dove partire

Incidere un disco – 1. da dove partire

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Ecco un piccolo viaggio a puntate che vuol essere un supporto pratico per chi, in barba al momento storico avverso, voglia incidere un disco. Affronteremo ogni aspetto, giusto per dar due dritte e magari discuterne nei commenti, sai mai.

Innanzitutto bisogna chiarire cosa vogliamo fare:

1. Il primo Demo da lasciare ai locali per poter tirar su un po’ di date

E’ un bell’oggetto che regaleremo ai locali, ammortizzato con (si spera) una data almeno per ogni cd. Quindi sarebbe bene contenere i costi, preparare giusto quei 4-5 brani (vari, accattivanti, di buona qualità e con copertina con la vostra faccia sopra, contatti e quant’altro) e contare sul fatto che il gestore ascolterà quasi solo la prima traccia, che dovrà essere una bomba.  Purtroppo per noi, le cover sono sempre il miglior modo per attirar l’attenzione.

2. Il Disco di esordio (ma anche di prosieguo)

Partiamo da un concetto di base: questo disco deve dire qualcosa. Quindi, pensiamoci bene, a cosa sia per noi quel qualcosa.

– Pensiamo ad un progetto, quindi un sound che ci definisca, che sia personale e non una brutta copia di altri. Se non ce l’abbiamo, aspettiamo che ci venga in mente e stiamo fermi lì.

– Se abbiamo agganci con un’etichetta o un editore, valutiamo bene se è adeguato alle nostre esigenze, se ci conviene a livello di distribuzione e a cui magari possiamo delegare tutta la questione amministrativa (Siae, distribuzione digitale ed affini). E’ anche vero che ormai non è più strettamente necessario avere alle spalle una major, a volte è più conveniente uscire in autoproduzione, godendo di tutti gli eventuali utili.

– Facciamo una lista ampia di brani che ci identificano, come autori o come gruppo. Da questi tiriamo fuori un “repertorio” che abbia una sua logica, una strategia musicale. Se abbiamo fatto bene il passo precedente, l’aver già idea del progetto complessivo farà uscir fuori i brani da soli.

– Se non abbiamo già un gruppo, pensiamo con calma ai musicisti che ci accompagneranno nell’avventura.

– Ascoltiamo dischi di altri, guardiamo i vari formati, come son fatte le copertine, le foto, dove sono messi i credits. Ma soprattutto, in vista di decidere dove registrare il nostro capolavoro e da chi far seguire la fase di editing, ascoltiamo i lavori delle sale di registrazione che possono fare al caso nostro. Iniziamo a farci un’idea di cosa chiedere e a chi potersi rivolgere.

Okay, abbiamo le idee chiare. Quindi? Quindi si va in sala.

In sala PROVE, che pensavate. E’ ancora lunga.

 

 

Puntate successive:

Incidere un disco – 2. La scelta della band

Incidere un disco – 3. Prima di entrare in studio

 

Come trovare una buona insegnante di canto (e non aver più scuse)

Come trovare una buona insegnante di canto (e non aver più scuse)

Avete deciso che il karaoke ferragostano ha svelato definitivamente la vostra indole canterina, indi tornate dalle ferie e decidete di trovarvi una bella scuola di canto, e di fare il cantante. O magari solo metter su un gruppo con i vecchi amici del liceo. Oppure solo studiare musica, per il piacere di imparare, di dedicarsi ad una passione che vi fa star bene.
Proviamo con qualche piccolo input utile per ottimizzare la vostra ricerca dell’insegnante perfetto per voi.

1. Come per molte cose, l’esperienza di amici e conoscenti può esser utile. Non tutti sbandierano a chiunque che studiano musica, magari perchè non più giovanissimi, per timore d’esser presi in giro, o magari solo per difendere un proprio spazio di intimità. Ma se ne parlate e chiedete in giro, sicuramente troverete chi vi darà indicazioni e dritte su dove poter andare a parare. Quindi, chiedete, vagliate. Trovate informazioni, anche su internet: però bada, non giudicate una scuola dal suo sito… molte non hanno bisogno di investire in un portale perchè funzionano bene senza, mentre spesso chi vende fuffa deve infiocchettarla per bene su web…

2. Preferite la scuola all’insegnante privato, soprattutto se siete alle prime armi. Una scuola può offrirvi molti insegnanti diversi, un ambiente stimolante, contatti con altri allievi (anche adulti, eh, è tipico iniziare a studiare musica quando i figli sono ormai grandi, o si va in pensione..) ed attività parallele, come musica d’insieme, teoria e solfeggio, oltre ai saggi. E’ fondamentale, soprattutto per un cantante, avere più possibilità possibili di confrontarsi col pubblico. Spesso una scuola consente di lavorare con una band, magari di allievi stessi, e non con le solite INEDUCATIVE basi.

3. Se volete studiare canto lirico, cercante un insegnante di lirica. Se volete studiare canto moderno, scegliete un’insegnante di canto moderno. Le due impostazioni, sebbene con elementi di base comuni, sono differenti. L’uso della voce, dell’espressività, e la conoscenza del repertorio è troppo diversa. Spesso i docenti di canto moderno hanno studiato anche lirica (come me d’altronde), certo. Ma è anche vero che i docenti di lirica non hanno studiato anche canto moderno, e no, non sono al “livello superiore” per cui possono insegnare tutto. Ad ognuno il suo. Siate ligi, perché nell’impostazione della voce nulla è più deleterio di mille informazioni ed indicazioni a far confusione.

4. Valutate la vostra insegnante, sul piano umano. Dovrete affidarle il “vostro” strumento, quindi deve avere la vostra piena fiducia. Una docente con molta esperienza è ovviamente preferibile, nulla come gli anni di lezione ci insegnano come gestire una didattica complessa come quella del canto: uno strumento che devi suonare, senza vederlo!
Se non scatta il feeling, non mollate: semmai chiedete di cambiare docente, in una scuola spesso ci sono più insegnanti di canto. Magari una meno brava può avere un approccio che più vi si addice, ed avere migliori risultati.

5. Come spesso accade, non è detto che un bravissimo cantante sia un eccezionale docente. Anzi, chi ha avuto difficoltà conosce più tecniche, più esercizi, più metodi per risolvere delle difficoltà della voce che poi possono aiutare nella didattica. C’è chi insegna musica svogliatamente, concentrato nella propria carriera. Tuttavia, siate comprensivi se vi spostano la lezione ogni tanto, per i loro concerti: meglio un insegnante che è in contatto continuo col palco, che una maestra in pensione.

6. L’ideale è una cantante-musicista. E’ una definizione sottile, che i musicisti comprenderanno bene…. è notorio che le cantanti sono spesso le “ignoranti” della band, forse per un’antica comoda credenza di ritenerle immuni da ogni obbligo di conoscere la musica, in quanto già debbono pensare allo spazzolarsi i capelli… Scherzi a parte, se volete davvero un insegnante completo, che sia anche musicista: vi potrà così accompagnare al piano (evitando le dannate basi!) insegnandovi davvero a cantare, vi daranno gli input armonici elementari per dialogare con una band, vi insegnerà la musica, e non il karaoke.

7. Se avete occasione, andate a sentire i saggi: comprenderete il clima della scuola, i mezzi, la collaborazione tra i docenti. E, consiglio spassionato, se la maestrina di canto toglie il palco agli allievi (e purtroppo succede spesso), meditate bene sulla scelta: un docente che ha bisogno di farsi vedere sul palco dei saggi degli allievi, al netto della dovuto protagonismo caratteriale del cantante, non so quanta attenzione potrà concentrare sulla vostra, di carriera.

8. Scappate dagli insegnanti “guru”: cercante un insegnante che vi faccia da mamma chioccia solo finché è necessario, per poi esortarvi a prendere il volo da soli. Certo, spesso la maestrina diventa amica e psicologa, ed a volte è anche utile didatticamente, per sciogliere inibizioni che si riversano nell’esecuzione musicale. Ma il guru no, il protagonista dovete sempre essere voi, il vostro maestro è solo il vostro trainer. Ricordatevelo.

9. Per lo stesso motivo, è un trainer, non uno che fa miracoli: il miglior maestro rimanete voi stessi. Se non studiate, nemmeno il miglior docente del mondo riuscirà ad insegnarvi qualcosa. Certo, anche il solo andare a lezione una volta a settimana, come hobby, come momento di relax nella settimana può essere una scelta. Ma sappiate che ciò che si impara con l’inerzia è davvero poco… conviene studiare. Poi è molto più divertente!

10. Una volta trovato il docente giusto, dovete fidarvi. Se vi dice che quel brano non va bene per voi, è fortemente probabile abbia ragione. Se quella tonalità è impossibile, idem. Se la nota cala, probabilmente cala. Ogni cosa che l’insegnante vi dice è spesso una scelta oculata dell’informazione, magari per isolare un problema alla volta. Se insiste sul fatto che quella nota è sbagliata, probabilmente ritiene sia più grave della pronuncia sbagliata del testo inglese. Tutti nasciamo “cantanti”, quindi insegnare il modo corretto di gestire un timbro, o il sostegno, o la frase musicale, è una riabilitazione di cose che già abbiamo imparato a fare. E’ più complesso che iniziare da zero, ad esempio, di suonare uno strumento, ed allo stesso tempo più facile, in quanto alcune cose le sappiamo già fare fin da bambini.

11. Siate costanti nelle lezioni. Pensate alla musica come ad un allenamento sportivo: dedicate tempo allo studio ogni giorno, approfondite gli argomenti delle lezioni. Seguite il vostro trainer vocale e non fate i furbi: anche se non ve lo dirà chiaramente, lui ha scoperto tutto già dal primo vocalizzo….  E possibilmente, non cambiate docente in continuazione. La chiarezza è fondamentale, avere mille insegnanti che vi dicono cose differenti vi manderebbe in confusione e basta. Semmai, allargate le conoscenze e studiate (è assolutamente fondamentale per un cantante!) uno strumento, magari armonico, come il piano o la chitarra.

12. Ed infine: cantate. Fate i cori ai saggi, trovatevi un gruppo di amici con cui formare un gruppo amatoriale, o fatevi accompagnare da un amico con la chitarra. Ascoltate di tutto, cantate di tutto, anche i brani che non vi piacciono. Traete insegnamento dagli altri colleghi di corso, guardate i video dei live su youtube, imparate dai grandi cantanti, non solo per scegliervi le canzoni. Il miglior insegnante siete voi, si diceva.

Se avete ancora un dubbio, se magari state cambiando idea, se magari arriva la riflessione “ma figurati, alla mia età… ma son ridicola..”, toglietevela di testa. Ho allievi che han passato da mo’ i 50 che mi danno soddisfazioni immense.
Se invece siete giovani, e volete arrivare a X-Factor… beh, iniziate a studiare. Forse poi avrete ambizioni ancor più belle.

Cantare, e studiare canto, può essere un’esperienza personale di scoperta, di crescita, oltre che di soddisfazione personale. E fa bene, all’ego, alla propria timidezza, al proprio orecchio musicale (che migliorerà esponenzialmente) ed alla propria cultura.

Secondo me, poi, vi divertirete un sacco.

Oh, fatemi sapere!

…come imparerai a cantare.

…come imparerai a cantare.

E così Lei digita il titolo su google, e ci aggiunge “lyrics”. Trova il testo, fa per stamparlo ma le appare l’ologramma della sua maestrina di canto, che aborra i testi con tutti i banner pubblicitari intorno.

Poi prende la base da YouTube, ignora il foglio del testo e si legge le parole sul video, e “studia”. Studia il pezzo. Stile karaoke. E ne è sicura, è il modo giusto. Veloce, pratico, soddisfacente, poco faticoso. “Ottimizzato” per un’esecuzione senza variabili.

Lei, e non solo lei, costruisce castelli di carta pensando di abitarci. E si perde il mondo strardinario e poetico dell’architettura.
E che già il mondo del canto ha così sfortuna di avere un solo filo da seguire, con sillabe che nascondono, sotto, le note, ritmi, le estremità di armonie, senza che la voce li lasci carpire.

Quando poi Lei entra in classe, col suo foglio lindo e la sincera convinzione di esser pronta, alla prima domanda banale della maestrina spalanca gli occhi, come se davvero le si stesse chiedendo un altro argomento, su cui non si è preparati, non si ha studiato.
Piano piano le parole del foglio si mettono insieme, si spostano ballando da un lato della struttura all’altro, e diventano frasi, e sensi, e colori.
Parole che stavano lì ad attendere che qualcuno le raccogliesse ed intonasse con attenzione, sillaba per sillaba, come strumento appoggiato sul tavolo, già accordato.

Ed ogni fiato, a regolare il ritmo della storia, che ora prende tutto un significato che prima era confuso, da quella frettolosa ignoranza pigra di chi viaggia in treno, leggendo il libro senza mai guardare il mondo scorrere fuori dal finestrino. E si perde le cose disegnate dal tempo.

La maestrina appoggia gli accordi sul piano, svestendo la canzone con delicata decisione, e lascia l’ultimo suono col pedale, attendendo che Lei attacchi. L’indecisione, la lieve rabbia per non esser messa a proprio agio, con la base rassicurante che è tanto comoda. E poi attacca, il foglio tra le mani e parole che aveva visto, ma mai osservato. E che strano, dicevano un sacco di cose diverse ora. E salivano, e scendevano come a dipingere un immenso paesaggio attorno.

E non c’era bisogno di spiegare il crescendo, il diminuendo, lo stringere le frasi fremente di arrivare ad esplodere nel ritornello, già, quella cosa che Lei prima ripeteva quasi annoiata, tutto uguale. Il ritmo sotto, quasi un paio di rotaie solide a portarla avanti. E un cuore che batte forte, e quasi la commozione per la propria voce, e per tutte cose che non aveva ancora conosciuto.
Ogni tanto chiude gli occhi, allunga le note e le vibra, ed appena perso il controllo spalanca le palpebre per timore d’essersi “persa”, dentro le note.

E piano piano, finendo l’ultima delle parole, chiudendo l’ultima delle frasi, con dentro il fiatone di chi aveva compiuto una grande impresa, attende l’ultimo accordo del piano, sparire.

E così oggi ha imparato  cosa vuol dire, cantare.

 

Come imparare a scrivere canzoni

Come imparare a scrivere canzoni

C’è sta fissa che uno deve scrivere una canzone, una volta nella vita. Come se ziliardi di musica già scritta non fosse sufficiente, come se gli stessi ziliardi si fossero già studiati, smontati, riarrangiati, reinterpretati e ci fosse ancora qualcosa da scrivere che non sia già stato scritto.
Sarà che il fascino di dire al pubblico “questo è un mio brano, scritto nella mia stanza buia guardando la pioggia in un momento di profonda introspezione e domande sulla collocazione dell’io nella società moderna” è insanamente affascinante.

Per scrivere un brano, non si parte dal testo.
Sembra una banalità, ma è come pensare ad un matrimonio e scegliere l’abito prima del marito. (Che poi c’è anche gente che, ecco).
Facciamo una lista di cose da sapere, prima di scrivere un brano.

1. Suonare uno strumento. Armonico, possibilmente, tipo pianoforte o chitarra. Non serve arrivare a Chopin, basta avere le basi per capire come diamine si scrive un brano. O meglio, cosa scrivere in modo che mentre voi enunciate il vostro testo con una casuale melodia, tutti l’artri non suonino altrettanto a casaccio accompagnandovi.

2. Imparare quattro acche di armonia. L’armonia è la grammatica della musica, se odiate chi sbaglia gli apostrofi, siate buoni, imparate che una dominante ha la settima minore, che non tutti i brani sono fatti sul giro di do o sui four chords, e che si possono usare altri accordi invece che riproporre la stessa minestra modulando la tonalità quando si son finite le idee (…)

3. Imparate a trascrivere. Prendete un brano, magari iniziate da una ballad, e trascrivete. Prima il basso, poi gli accordi, poi la melodia. Controllate la struttura, com’è formata la strofa, poi il ritornello, poi l’interlude. Analizzate la melodia, se parte in levare, se cade con l’accompagnamento, che note fa rispetto all’accordo che sta sotto. Cercate di capire il segreto di quel brano, il tipo di arrangiamento particolarmente figo, un riff di chitarra funkettone, la batteria choc. Scoprirete che c’è dell’altro oltre alla bella topa che canta il brano con la scollatura di fuori. Sebbene anche questa sia fondamentale, spessissimo.

4. Trovatevi un buon Maestro di Musica, possibilmente moderna, e ricominciate sotto la sua supervisione, tutta sta menata dal punto 1. Nel contempo, fatevi lasciare dalla morosa, andate in viaggio in India, fate bambini, insomma, cercate di avere qualche emozione che possa indurvi a scrivere qualcosa.

5. Provate a scrivere una canzone. Giurate a voi stessi che non la farete sentire a nessuno, state imparando, quindi risparmiate amici, fidanzata (che tanto vi ha già mollato) e soprattutto I SOCIAL NETWORK dei vostri insani primi passi da cantautori. Provate ad inventarvi tutto insieme, testo e musica. Mettetevi al piano, o alla chitarra, e cercate un giro di accordi interessante, e provate a cantarci sopra una melodia, delle parole. Scrivete mano a mano il tutto, volendo registrate (ma poi sbobinare le 6 ore di impeto artistico saranno deliranti). Suggerisco di partire dal ritornello, vero fulcro del brano, invece che iniziare con i tipici 20 minuti di introduttivi con il mantra di un arpeggio minore mentre voi ci ululate sopra, che non portano da nessuna parte (ad eccezione, inserendoci i grilli, che alle musiche d’atmosfera dei centro benessere).

Quindi: ritornello. Bello, figo! Poi, strofa, almeno due. Poi un interlude (alias parte che c’entra un piffero col resto ma dà respiro al pezzo, e slancio per il finalone con ritornello figo declamato ai posteri). Intro, coda. Fatta.

Visto? Non ho detto niente del testo. Non  ho detto se serve la rima. Non ho detto se dovete parlar d’amore o di cotoletta alla milanese. Non ho detto se è meglio in inglese o in italiano o in burundese.

Perchè, e questo ve lo dico alla fine, ma sarebbe bello lo capiste dall’inizio, una bella canzone ha le note belle, anche se decantate la lista della spesa. Altrimenti, è solo l’ennesima noiosissima opera onanistica con la quale impesterete You Tube ed affini.

La prossima puntata vi spiegherò come diventare intonati.

No vabbè. Parleremo della cotoletta alla milanese.

 

..cosa vuoi fare da grande?

..cosa vuoi fare da grande?

Quando ero ragazzina c’era un film di riferimento, Flashdance. Una saldatrice che sognava di ballare all’Opera. C’era il primo loft come appartamento finto-povero, c’era il balletto che termina con la doccia sul palco, c’era il miliardario che s’innamora della povera operaia, e la scena dell’audizione, la più copiata che la storia ricordi.
Ma non volevo mitizzare Flashdance, eh.

Ci ho pensato perchè siamo un esercito, di saldatrici che la sera ballano. Di impiegate che la sera suonano, di cameriere che la sera recitano. E ancora, poeti e scrittori, pittori, cuochi e maratoneti, che hanno il vizio di mangiare, e quindi di dover fare un lavoro normale.

Normale. Aggettivo che mi atterrisce. Come se fare il mestiere per cui invece si è dotati fosse anormale.

Ci pensavo perché noto da anni che a mio figlio non fanno mai la domanda tipica della mia infanzia: cosa vuoi fare da grande?… non lo chiedono più. Eppure era una di quelle domande automatiche, quelle a cui, appena arrivi all’età del sarcasmo, rispondi random, per spaventare con risposte avventate i convitati del momento.

A mio figlio non lo chiedono. E ora che ci penso, i miei allievi non mi dicono mai “voglio fare il musicista da grande”. Nemmeno i miei amici sanno cosa fare, da grandi. Non sappiamo nemmeno cosa faremo domani: è già tanto se ci rimarrà addosso il lavoro normale, è già tanto se riusciremo, ogni tanto, a sognare col naso per aria la carriera che avremmo dentro, mentre staremo al nostro posto, dietro alla saldatrice.

Oggi sono stata alle lauree in jazz delle mie amiche. Stasera ho preso la bomboniera della mia, di laurea, l’ho guardata e mi son detta che sono una pessima saldatrice, ma una musicista coi controcazzi, ed è quello che voglio (continuare) a fare da grande.

Ma i miei non sono sogni. Sono progetti.