Umilia

Umilia

Vale la pena fare un disco?

Mah. In epoca in cui i dischi non si comprano, in cui la qualità dell’audio sta bene giusto come mp3 da caricare sull’Iphone, le foto te le fai con Instagram e i concerti, ah i concerti, trovarne di concerti.. Chissà cosa ci ha spinto a metter su questo ambaradan.
E che la questione meramente artistica, la scrittura dei pezzi, le prove, l’incisione, ah quello è stato facile. Facile e divertente.
Ed emozionante.

Poi è arrivato l’editing. L’editing è quella fase in cui puoi cambiare tutto, suono, note, intonazione, ritmo. Tutto. In teoria.
Perché poi lasci tutto com’è, ed esalti solo il suono, perché sta bene sia pulito, immediato, …è già perfetto così. Non è mica un disco di pop.
E ascolti le tracce, e ti emozioni. E le riascolti, e cerchi di modificarle, di esser obiettivo, ma dopo qualche ora vai in palla e non capisci più quale sia il tuo suono e quale quello suo. E non sai come spiegarlo, che lo vuoi più normale, più naturale, perché quel suono che senti dentro mentre soffi dentro un flauto, ah, vallo a spiegare a parole. A di là della poesia della cosa. Più medi, meno alti, più cupo, più avanti, meno riverbero. No aspe’… togli tutto. Daccapo.
Poi fai le foto. E pensi, ostia, non ho più vent’anni ma devo far finta di essere ancora figa come a vent’anni, che ti comprano la faccia, prima della musica. Eh. E allora spendi un patrimonio in improbabili outfit da copertina, fai le foto dal camerino per vedere come vieni. E pensi ai dettagli, e capisci che non è il tuo mestiere, tu fai il musicista, non ne capisci un tubo di look.
Poi magari fai le foto, le guardi e ti emozioni, che in fondo esprimono tanto di quello che c’è in questo disco.

Poi decidi il packaging: a due, tre ante, col booklet o senza, e una foto qui e qui i titoli. Scegli il preventivo, cerchi di trovare il giusto equilibrio tra “non spendo una cifra perché metà se lo scaricheranno col torrent” e “è un disco a cui tengo, facciamolo bene, come fossero le bomboniere”. E ti emozioni, pensando a quando ti arriverà lo scatolone con  le copie, uno dei 5 scatoloni che poi giacerà in soffitta con gli altri, ‘che tanto il disco se lo scaricheranno coi torrent, si diceva.

Ecco. Poi arriva la mazzata. Quella che ti fa passare la voglia, di scrivere musica, di registrare dischi, di smazzarti per far uscire un progetto che magari vale un pochetto di più dell’unz unz di un dj qualsiasi, che taglia e incolla campioni e chissenefotte.
Si chiama Siae. Si chiama “società che ti chiede soldi perché così ti salvaguarda i tuoi diritti come autore dei tuoi brani, sempre che tu paghi una tassa annuale, ma poi è anche uguale, che poi i soldi li devo dare ai big e non a te povero pirla”.
Quando fai il borderò a fine concerto, ci pensi, ti rode, ma amen.
Ma quando fai un disco, quando cerchi di mantener ogni spesa e poi devi dare un euro a disco alla Siae, allora ti girano le palle. Peggio, ti senti offeso, defraudato della tua musica. Suoni le tue note, tue tue, e devi pagare una tangente per poterla pubblicare. E’ un obbligo. Come se piantando le carote nel mio orto, dovessi comunque pagarle al fruttivendolo. Solo che le carote, forse, sono un poco meno nobili di una creatura artistica.

E questo no, non emoziona. Svilisce. Offende. Umilia.

 

3 pensieri riguardo “Umilia

  1. Registra negli states e non dare una lira alla SIAE che è solo da abolire.

  2. la Siae dovrebbe (risate in sottofondo) tutelare gli autori. Se tu sei iscritta alla Siae allora mi sa che devi per forza pagare il pizzo (immagino: non essendo iscritto non ho sottomano il modulo di iscrizione e non so se ci sia una clausola al riguardo), ma nessuno ti obbliga ad iscriverti.

    (che poi la clausola potrebbe essere considerata come vessatoria, ma non sono un avvocato)

  3. @silvia, puoi registrare ovunque, ma per far circolare un disco in Italia devi avere il bollino Siae.
    @.mau. lo so purtroppo. ma che uno sia iscritto o meno, la si paga uguale. se inserisci brani di altri autori ha un senso, sempre che i soldi arrivino agli autori, che AHAAHAHAHAHA insomma.

    l’unica è tirar qualche madonna, e andar oltre, tapparsi occhi e naso e pensare solo a quanto sia bello il disco.

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